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Bingo Hell – Un’ora e mezzo d’ottimo intrattenimento, tra horror e comedy

Nuovo mese, nuove cose da vedere. Il primo ottobre è stato lo starting point di un gran numero di novità su tutte le piattaforme. Prima tra tutte Amazon Prime Video che ha rilasciato due nuovi episodi – Bingo Hell e Black as Night – della serie antologica sperimentale Welcome to Blumhouse, prodotta dalla casa di produzione Blumhouse in diretta collaborazione con gli Amazon Studios. Avevamo già parlato della Blumhouse Productions in merito a Cul-de-sac e visto gli importanti progetti degli ultimi tempi (tra cui Get Out e Split), ci sembrava interessante parlare di questo nuovo progetto. Nata con l’intento di “includere visioni distintive e prospettive uniche su temi comuni”, la serie gioca con l’horror e soprattutto con l’horror comedy per confezionare prodotti particolari anche se non sempre riusciti.

I primi quattro episodi – The Lie, Black Box, Evil Eye e Nocturne – furono lanciati nel 2020 e accolti con recensioni contrastanti. La prima forza e la prima debolezza di una serie antologica è la possibilità che un “episodio” sia completamente diverso dall’altro per personaggi, trama e anche qualità (come ci ha purtroppo insegnato True Detective, le cui due stagioni iniziali non potrebbero essere più diverse). Il 2021 ha visto appunto il rilascio del secondo ciclo di episodi, altri quattro, di cui Bingo Hell è il primo. Pur mantenendo rate piuttosto bassi, bisogna sottolineare che la pellicola ha comunque dei meriti, ma è il caso di parlarne in modo più approfondito.

Bingo Hell: la trama e le tematiche di fondo

Siamo nella piccola cittadina di Oak Springs, svuotata dal suo nucleo originario a causa della disoccupazione. Attraverso gli occhi della protagonista – l’anziana messicana Lupita (Adriana Barraza) – osserviamo una periferia disgregata, dove i cartelli di locali in vendita e disoccupazione si moltiplicano ogni giorno di più. Gli unici a rimanere sono loro, i vecchi, gli avamposti di un mondo che sta andando sparendo. Da subito notiamo l’esistenza di due anime, che si toccano ma non si mescolano: quella della riqualificazione senza cuore, rappresentata dai localini hipster che spuntano come funghi a soppiantare il passato e quella della comunità marginale, di cui fanno parte i nostri.

Oltre a Lupita, che scopriamo essere una delle fondatrici simboliche della comunità, abbiamo la nera Dolores (L. Scott Caldwell), anziana in guerra con la nuora bianca e povera e Caleb (Joshua Caleb Johnson), il nipote; lo squattrinato tuttofare Morris (Clayton Landey); il meccanico nero Clarence (Grover Coulson), la parrucchiera Yolanda (Bertila Damas), l’ex tossicodipendente Eric. Operai, manovalanza, latinos, minoranze ed emarginati quindi, tutti stretti in una famiglia allargata che fa da scudo contro il cambiamento.

E non è difficile capire il collegamento, a dire la verità piuttosto spiattellato, tra la resistenza di Lupita ad andare via e la nascita, nella piccola cittadina, di un enorme centro bingo che sembra essere innaturalmente grande, caleidoscopico, ricco, potente per un posto del genere. Quella che all’inizio potrebbe sembrare normale reticenza dell’anziano alle novità, diventa una reale lotta per l’anima. Così come è simbolica la lotta per la vera anima della cittadina, che sta sparendo sotto i colpi della modernità. Ancora più chiara diventa la lotta, quando ci presentano il misterioso proprietario della sala bingo: Mr. Big (Richard Brake) è ricco, pacchiano, moderno, bianco. Allora il gioco è fatto.

Assistiamo quindi al lento gioco del diavolo, che spiattella davanti a una comunità affamata tutti i suoi più grandi desideri: una nuova vita senza problemi, ricchezza, libertà, dipendenza. Ognuno è dipendente da qualcosa, tutti sono dipendenti dalla possibilità di diventare sempre di più. Non è difficile qui trovarci una critica al sistema capitalistico – il dio denaro che ci fa correre come trottole per arrivare a nulla, dimenticando il passato fatto di cose genuine, oneste, tranquille, pulite. L’unica immune sembra essere proprio Lupita, ancorata al passato, mentre tutti i suoi amici crollano uno a uno nella diabolica macchina che gli mette di fronte i loro più profondi desideri e la smania di possesso.

È interessante notare come alla fine uno dei vincitori fisici, morali e simbolici sia Caleb, il più giovane dei protagonisti e della comunità che – seppur ha perso tutto – si trova immune alle lusinghe del diavolo e alle sue macchinazioni. Caleb risulta immune perché è flessibile al cambiamento ed è ancora abbastanza giovane da nutrire speranza nel futuro. Speranza che alla fine attecchirà anche a Lupita, finalmente consapevole che comunità non è un luogo, ma sono le sue persone. C’è tanto da dire quindi, le idee e i simbolismi sono posti in modo sicuramente non nuovo, ma decisamente divertente. In alcuni casi le scelte tematiche risultano fin troppo didascaliche, una didascalia che si legge bene nei dialoghi fin troppo confezionati.

Eppure le tematiche di fondo risultano proprio l’aspetto più riuscito e interessante di questa horror-comedy che vede nel tono, nella recitazione e nel ritmo i suoi punti più deboli.

Tono, ritmo, genere: dove vuole andare a parare la storia?

Bingo Hell ha di base un grosso problema di esecuzione, che rimane povera nonostante l’enorme quantità di tematiche aperte. Innanzitutto non è ben chiaro a che genere vorrebbe davvero appartenere: si propone come un horror-comedy, ma le atmosfere horror sono quantomeno cartoonesche, a essere buoni. Certo, ci prova. E ci prova con King. Da Carrie a Cose Preziose, Bingo Hell prova in ogni modo a riproporre le atmosfere del maestro dell’horror, scadendo (probabilmente inconsapevolmente, anche se si spera di no) nel grottesco più caricaturale. La comedy è più presente, ma anch’essa è forzata, poco naturale. Gran parte è dovuto forse alla prova attoriale, ma ne parleremo dopo.

La confusione di genere non permette di settare un tono convincente, né tantomeno di elaborare una buona commistione tra toni diversi. Ci ritroviamo quindi con scene di vita marginale e periferico à la haine, nel tentativo di strappare la lacrime e la critica sociale come con Eric e Caleb o scene di intensa commozione psicologica come con Dolores e Lupita; poi però vortichiamo nella girandola pacchiana da pubblicità con il Bingo Mr. Big e affondiamo nel gore e nel creepy involontariamente ridicolo con le scene horror à la Piccoli Brividi. Il tutto confezionato male al punto che sembra tagliato con l’accetta: non riesci completamente a divertirti, né a terrorizzarti, né a emozionarti, né a intenerirti. La caricatura sottintesa è sempre così presente e pesante da non permettere l’immersione.

Ovviamente correlato è il ritmo, che risente di tanta confusione fin dall’inizio ma soprattutto verso il finale: affettato, pesante, veloce, caricaturale, maniacale. Un misto tra Tarantino, Piccoli Brividi, i Goonies della Terza Età che ti lasica incredulo e spiazzato. La tensione creata si rilascia con una risata di scherno invece che con la soddisfazione e si arriva a momenti di “vabbé sì” talmente forti da perdere totalmente interesse nella realizzazione dell’intreccio. Come quando Lupita, vecchina gagliarda, prima resiste all’essere schiacciata contro una teca per ben quattro volte e poi fa esplodere tutto con una sorta di bazooka. Scena finale, lei imbrattata di sangue come neanche La Sposa di Tarantino. Il ritmo ne risente anche nel passaggio tra i momenti sentimentali, quelli comici, quelli drammatici e quelli grotteschi, tutti tagliati con l’accetta.

Bingo Hell: i personaggi e le caricature

Bisogna dire che Bingo Hell riesce efficacemente a tratteggiare i personaggi con poche battute. Si capisce subito l’importanza, la risolutezza e il diniego di Lupita dal modo in cui cammina e si rivolge alla comunità; capiamo al volo il suo rapporto con Dolores e il background doloroso di quest’ultima, come della relazione tra Morris e Yolanda, la disperazione di Raquel (Kelly Murtagh) e il suo rapporto comunque complice col figlio. Riusciamo persino a capire tantissimo, da subito, dell’unico membro della comunità già morto all’inizio del film. Il problema è la mancanza di consistenza e costanza, che porta le prove attoriali a diventare man mano sempre più caricaturali nel corso del film. L’esempio più importante di questo sono soprattutto Lupita e Mr. Big.

Lupita è un personaggio con un background decisamente più interessante che il suo presente. Più volte lungo la storia ho pensato che avrei voluto più assistere alle avventure sue e di Dolores in gioventù – e di cui non si fa altro che parlare – che al film. Rispetto infatti alla sua compagna di giochi, Lupita ha una storia piuttosto noiosa e riesce a fatica a portare avanti la storia. Il suo fare da detective infatti non pota ad altro se non a ciò che si era comunque prefissata fin dall’inizio: colpire la nuova sala bingo e il misterioso Mr. Big.

Quest’ultimo poi si presenta inizialmente come un villain molto affascinante: inquietante al punto giusto, riesce a trasmettere terrore con un solo ghigno, ma anche a essere abbastanza carismatico da rendere credibile la dipendenza del villaggio dalle sue parole. Mr. Big è il vero proattivo della storia, colui che porta avanti le vicende attraverso le sue macchinazioni magiche. Eppure, sia lui che Lupita hanno un problema fondamentale: una recitazione sopra le righe, talmente caricata da rendere i personaggi, alla fine, delle macchiette. La recitazione di Lupita è meccanica, costruita, poco genuina: le relazioni che pure dovrebbero essere spontanee con i suoi amici d’infanzia ne risultano così inficiate. Mr. Big si trasforma in un tipico cattivo da cartone animato, al punto da andare oltre il ridicolo verso la fine.

Le recitazioni degli altri attori sono decisamente più naturali, alcune molto buone soprattutto nei momenti più “piccoli” e inaspettati: piccola menzione d’onore per Raquel allo specchio e per il discorso di Dolores, a tratti commovente. Personalmente ho anche apprezzato Eric e la sua scena delicata con Caleb. Fuori luogo in un film così, ma bella. L’idea di rendere la magia di Mr. Big con scene raccapriccianti dalla recitazione folle è stata azzeccata, anche se verso la fine è tutto troppo esagerato e cartoonesco per poter essere davvero apprezzato. La parabola finale sulla comunità e la famiglia è sicuramente scontata, ma giusta perché rappresenta una chiusura al character arc del personaggio di Lupita. Meno giusta forse la scelta dei sopravvissuti: sembra quasi che siano stati eliminati solo i personaggi più “scomodi”, lasciando in vita quelli con una relazione sentimentale da avviare e la protagonista.

Per concludere, potremmo dire che, se si soprassiede sul finale molto caricaturale, Bingo Hell è un accettabile B-movie. Se qualità è indiscutibilmente bassa, la recitazione e la regia sono “campy” come ci si aspetterebbe da un qualsiasi B-movie degno di questo nome, il film propone qualche spunto interessante sia a livello di background personaggi che di tematiche. Il genere horror è rappresentato in modo grottesco e goffo e fatta eccezione per una scena, Raquel allo specchio, non strappa alcun brivido. La comedy è più presente, anche se in forma un po’ ingessata. Nulla di veramente indimenticabile, ma buono per un’ora e mezza di svago.

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