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Penny Dreadful, tra modernità e tradizione

Chiunque sia appassionato di letteratura inglese non può non aver amato alla follia Penny Dreadful, una serie che, tra le altre cose, è un enorme omaggio a un immenso patrimonio artistico. Ambientata sul finire della lunghissima età vittoriana, in quella Londra che è stata, in quel periodo, la vera e propria capitale del mondo, la serie tv con protagonista una sublime Eva Green ci porta nei meandri più oscuri della city, tra mostri, spiriti e continui richiami alla tradizione letteraria inglese e alla cultura religiosa ed esoterica che ha sempre costituto un enorme bacino d’influenza nella narrativa britannica.

L’apporto letterario e concettuale di una serie come Penny Dreadful è davvero enorme e, per analizzarlo nella sua totalità, occorrerebbe un vero e proprio trattato capace di scavare a fondo nei meandri della cultura inglese. Tra i temi che spiccano, però, nelle tre stagioni della serie, ma specialmente nella prima, c’è il complesso rapporto che si pone tra la modernità e la tradizione, uno snodo fondamentale specialmente nell’età vittoriana.

Il periodo di tempo segnato dal lungo regno della Regina Vittoria è stato una grandissima fase di transizione nella storia europea e del mondo intero e sotto questo punto di vista il conflitto tra la modernità e la tradizione, in questa delicata fase di passaggio, è stato molto aspro e Penny Dreadful restituisce a pieno la durezza di questo scontro grazie ai suoi numerosi riferimenti letterari. Andiamo, dunque, a tracciare un compendio di come la serie tv di Showtime tratta questo delicatissimo e interessantissimo tema.

Penny Dreadful
Penny Dreadful (640×360)

La fotografia del conflitto tra modernità e tradizione in Penny Dreadful

C’è un momento, in particolare, nella prima stagione di Penny Dreadful in cui questo conflitto viene non solo sottolineato, ma addirittura teorizzato, e costituisce un’ottima base di partenza per ragionare intorno a questo tema. Stiamo parlando del passaggio in cui la prima creatura che ha ricevuto la vita dal dottor Freankenstein uccide, a tradimento, la nuova creazione del medico, rimproverando al suo creatore l’l’impossibilità di sfuggire dai demoni della modernità con la sua utopica volontà di preservare la tradizione bucolica. In questa scena fondamentale abbiamo, dunque, due personaggi che sono le incarnazioni di modernità e tradizione: da una parte il mostruoso John Clare, dall’altra il candido Proteo. In mezzo il dottore, l’uomo che si pone dinanzi a queste due forze.

Clare uccide Proteo e qui vediamo un primigenio ma già significativo trionfo della modernità, ma questo passaggio è solo la summa di un ragionamento molto più ampio. La prima creatura del dottor Frankenstein è in realtà molto più complessa di quanto sembrerebbe e si fa massimo esempio della perversione e della degenerazione dei tempi moderni. Il suo volto sfigurato viene visto con orrore dal mondo esterno, poco interessato a scoprire la vera faccia, quella intima, del “mostro”, che è invece una creatura sensibile, intelligente e colma di sofferenza, la cui mostruosità è attribuita dall’esterno, certamente non creata internamente. Il grande demone della modernità non è il volto di John Clare, ma è piuttosto proprio questo trionfo dell’apparenza, che non lascia spazio a nulla che non sia esteriore e superficiale.

In opposizione a questa condanna della degenerazione moderna c’è un’esaltazione cieca e anacronistica della tradizione, incarnata da Proteo, un essere dolce solo perché cullato sin dal suo primo giorno di vita, ma destinato a soccombere, palesemente inadatto a resistere al ciclone della modernità. La tradizione è superata, anche quando viene difesa ostinatamente. La modernità è destinata al dominio, ma è accompagnata dalla paura di cosa il progresso possa portare e, quando si prova terrore, si cerca il primo riparo possibile, che può essere un bel viso come quello di Dorian Gray, contraltare perfetto di Clare perché bellissimo e immacolato. In fin dei conti, poi, poco importa se dietro quella bellezza c’è un’anima ripugnante intrappolata in un quadro.

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Penny Dreadful è perfettamente calata nel suo tempo

Questo conflitto tra modernità e tradizione si gioca, in Penny Dreadful, sullo sfondo di una Londra vittoriana di fine secolo, in una città che ha ormai accolto i demoni della modernità, ma cerca comunque di tenerli lontani da determinati ambienti. Questo, d’altronde, è il grande tema dell’età vittoriana, quello del doppio, è Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, è Il ritratto di Dorian Gray. Il rifiuto della modernità e l’esaltazione, che in fin dei conti è puro retaggio, della tradizione, costituiscono il principale bagaglio di un’età che si è letteralmente fondata sull’ambivalenza, sul mostrare una faccia rassicurante per nascondere tutte le crepe allo sguardo esterno.

La modernità in Inghilterra ha iniziato a prendere il sopravvento a partire dalla Prima Rivoluzione Industriale e l’età vittoriana è la prima che assorbe in pieno tutti i progressi, ma ne risulta anche, comprensibilmente, sopraffatta. Questa sensazione possiamo vederla in gran parte della produzione di questo periodo, abbiamo prima citato due dei romanzi più celebri ma ci sarebbe un’infinità di esempi da fare, e viene replicata anche in Penny Dreadful, che riesce a mettere in scena tutti gli aspetti di questo conflitto, incarnando la modernità con la proliferazione di mostri e forze oscure che minacciano Londra, ma sancendo anche il suo trionfo tramite la messinscena dell’estrema debolezza della tradizione, perché questi demoni sono, semplicemente, irresistibili senza conseguenze. A certe forze, come lascia intuire Vanessa Ives, bisogna semplicemente arrendersi e questa è, alla fine, l’eredità dell’età vittoriana: il trionfo definitivo della modernità in ogni suo aspetto.

La letteratura dietro al racconto

Ad arricchire questo ragionamento nella serie creata da John Logan c’è un immenso apporto di citazioni letterarie e artistiche che rappresentano un vero e proprio godimento nel guardare la serie. La straordinaria produzione inglese è ovviamente la base di partenza per questo lavoro e in Penny Dreadful troviamo riferimenti continui, che partono dallo straordinario teatro di Shakespeare e arrivano fino alla poesia di Keats e Byron. Il Bardo, d’altronde, è stato tra i primi a mettere in scena questo tema del doppio, l’illusione che connatura la vita e che, di fondo, permette l’esistenza stessa del teatro, che di per sé si costruisce sull’illusione, sia pur scenica.

Oltre al sublime teatro di Shakespeare o ai grandi poeti dell’Ottocento, Penny Dreadful mette in scena anche creature mostruose, dal mostro di Frankenstein a Dorian Grey, i prodotti degenerati di una società che si è ormai spinta oltre, sia nella scienza che nell’ambizione. Tuttavia, queste due dimensioni non sono separate, ma sono poste in continuità e per questo arriviamo al trionfo della modernità, perché non è una forza spuntata fuori dal nulla, ma è figlia proprio di quella tradizione che gli viene contrapposta.

I demoni della modernità nascono dalla tradizione, John Clare è figlio di John Milton e in fondo la stregua difesa della tradizione è tanto inutile quanto la stigmatizzazione della modernità. Penny Dreadful pone in rapporto consequenziale queste dimensioni, le mischia insieme grazie a personaggi e riferimenti letterari e mostra come, il trionfo della modernità, in fin dei conti è semplice evoluzione e proprio per questo certi demoni, come dicevamo insieme a Vanessa, non si possono respingere totalmente. Grazie allo straordinario patrimonio letterario inglese, Penny Dreadful fotografa al meglio il periodo storico, delicatissimo, che sceglie di raccontare, col filtro dell’horror perché il progresso è sempre spaventoso però, al contempo, è estremamente necessario e va accolto, con tutti i suoi demoni.