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In difesa (parziale) di Luna Nera

Luna Nera è uscita, ne abbiamo parlato, ci abbiamo ironizzato sopra, ed era lecito. Non siamo di fronte a un capolavoro, ma tuttavia non si può parlare di un flop perché come in tutti i casi in cui una serie tv fa parlare di sé, bene o male, di riflesso anche il network ne beneficia. Le nostre aspettative sono state in parte deluse, come era probabile che accadesse: il problema delle aspettative è proprio questo, che il solo fatto di averle va a svantaggio della serie, annientando o ridimensionando di molto le speranze.

C’è un “ma” grosso come una casa. E ha a che fare con le nostre “colpe” di spettatori, più che con il prodotto in sé (che resta criticabile sotto molti aspetti).

Da molto prima che uscisse, Luna Nera è stata oggetto di una campagna quasi denigratoria da parte di molti utenti dei social e appassionati di serie tv. La sua colpa, all’epoca, ancora prima che uscisse il trailer, era di essere una serie italiana. Ho letto personalmente commenti di persone che, al solo annuncio che Netflix avrebbe prodotto una serie tv italiana con argomento la stregoneria, già annunciavano che non l’avrebbero mai guardata, neanche a calci.

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Tralasciando questo tipo di argomentazioni, che lasciano il tempo che trovano e non meritano di essere commentate, il problema più serio che Luna Nera si è trovata ad affrontare ha una radice in comune con questo primo pregiudizio, e si è manifestato dopo l’uscita del primo trailer. Un altro genere di commenti ha impazzato in rete: coloro che criticavano pesantemente la serie (anzi, il trailer) trovando difetti che imputavano proprio all’italianità del prodotto.

Luna Nera è poi uscita e le polemiche sono divampate con la potenza dei roghi di streghe mostrati nella serie: la recitazione degli attori è stata criticata, la scrittura della serie sbeffeggiata, smontato l’intero comparto di produzione e addirittura la scelta delle location (le meravigliose campagne selvagge del Lazio e i borghi dei dintorni, un gioiello che non ha avuto bisogno di ricostruzioni artificiose). L’impressione è che se una serie è italiana nasca già maledetta, soprattutto se, come nel caso di Luna Nera, si sforza di mostrare qualcosa di nuovo nel panorama nazionale, spesso pigro e ripetitivo.

Detto ciò, Luna Nera è un capolavoro? Assolutamente no. La criticheremo, non temete, ma per ora parliamo delle critiche immotivate che ha ricevuto.

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La più mastodontica nella sua mancanza di fondamento (che denuncia anche una certa ignoranza in materia, di certo non imputabile come una colpa ma non per questo giustificabile: il ben tacer non fu mai scritto), riguarda l’avversione verso la recitazione degli attori. Ora, posto che alcuni di loro sono poco più che esordienti o per la prima volta in una grande produzione, altri non lo sono affatto: ma il loro posto è tra le assi di un palcoscenico, non davanti alla telecamera.

Il teatro richiede un’esasperazione delle intenzioni per colmare la distanza che c’è tra attore e pubblico. Questa tendenza, che nel cinema mainstream (grandi produzioni di Hollywood) non è presente, è invece una peculiarità del nostro cinema. Pensate all’artificiosità di un Totò o al ricamo caricaturale di un Gassman e capirete perché quel tipo di recitazione, basata su schemi estranei alle produzioni seriali che siamo abituati a vedere, può apparire talmente aliena a una serie tv moderna da far pensare allo spettatore che quell’attore sia proprio scarso a recitare.

La questione non è se gli attori di Luna Nera sappiano recitare o meno: ma è invece se siamo in grado di accettare un modo di interpretare un ruolo che esula da ciò che fin dall’infanzia ci hanno in qualche modo inculcato dall’estero.

La seconda grande critica mossa alla produzione italiana è la povertà della scrittura e la storia stereotipata, che vede le donne come eroine in pericolo, alfiere dell’empowerment femminile, contro i personaggi maschili dipinti, nessuno escluso, come ignoranti e retrogradi o alla meglio come passionali e manipolabili. In parte queste critiche hanno fondamento: la scrittura è in effetti un po’ ingenua, soprattutto nei dialoghi che procedono con scambi spesso troppo didascalici che tendono a “spiegare” un po’ troppo e a far “sentire” poco.

La trama procede con il classico espediente del “noi contro loro”, il quale inserisce Luna Nera in un genere di femminismo stereotipato che grida contro la persecuzione ma non offre soluzioni in merito, se non una fiacca sorellanza basata sulla magia al posto dell’intrigante ma subito abbandonata via della scienza e del pensiero razionale, rappresentata da Pietro (il personaggio più interessante e penalizzato dalla scrittura).

Posto che, come appena argomentato, queste critiche hanno un fondamento, c’è un altro ma: Luna Nera è comunque, pur con i suoi difetti, un passo avanti gigantesco nel panorama televisivo italiano. Ci voleva Netflix per mostrare una storia che forse non ha giocato nel modo migliore le sue carte, ma almeno non ha riproposto la solita minestra riscaldata di mafia, religiosi simpatici, famiglie problematiche e fiction basate sulla vita di personaggi famosi.

La serie ha, nondimeno, numerosi momenti di pregio: l’evoluzione dei personaggi di Pietro e del padre e il loro rapporto, conflittuale ma non banale che lascia spazio a un interessante svolgimento futuro per il giovane ex studente. La fotografia superba e le musiche che, anche quando usate in maniera rozza e quasi intimorita, segnano molte scene cruciali donando un’impronta moderna che strizza l’occhio ai più giovani. Pensiamo alla bellissima scena del ballo con la versione di Lily Allen di Somewhere Only We Know, e al plot twist finale che apre a una clamorosa evoluzione del personaggio di Ade. I presupposti per una seconda stagione che sappia trarre una lezione dai suoi errori ci sono.

Luna Nera, superate le perplessità iniziali, diventa una serie avvincente e poco impegnativa, che fa desiderare di sapere come andrà avanti.

Certo, il percorso è lungo: per avere una serie tv con la profondità di analisi dei personaggi di Game of Thrones, con la precisione e il respiro drammatico di Dark o anche, più realisticamente, con la gigioneria compiaciuta e irresistibile de La Casa de Papel ne deve passare di acqua sotto i ponti. Speriamo che ne passi abbastanza da spegnere le polemiche sterili sull’italianità vissuta come una vergogna e che anzi proprio il marchio del Made in Italy diventi motivo di orgoglio. Luna Nera, in questo senso, è comunque un impercettibile ma innegabile passo in avanti.

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