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Game of Thrones e l’uso sublime di quel maledetto pianoforte

Gli autori di Game of Thrones, per quanto riguarda la musica, hanno sempre fatto scelte piuttosto lineari. Grandi orchestre, frasi musicali ampie, ariose, con un tono piuttosto classico. L’uso ricorrente di alcuni temi ci ha permesso di associarli a determinati personaggi e situazioni. La parte musicale di Game of Thrones ha sempre funzionato per la sua prevedibilità, anche nelle poche canzoni che ci hanno proposto, in linea con l’ambientazione di ispirazione medievale.

Fino al decimo episodio della sesta stagione. Da qui le intuibili linee degli archi e dell’orchestra di Game of Thrones hanno lasciato spazio a qualcosa di più inquietante.

Siamo ad Approdo del Re, dove Cersei si trova in una gran brutta situazione. L’Alto Passero, che la perseguita dalla quinta stagione, sta per mettere a processo per blasfemia lei, Loras Tyrell e la sorella Margaery. Cersei, reduce dalla terribile Walk of Shame della quinta stagione, decide quindi di liberarsi in un colpo solo di tutti i suoi nemici, radunati nel tempio di Baelor per il processo. Solo Margaery si accorge che qualcosa non va, che l’assenza della spietata donna è strana, ma è troppo tardi. In una sequenza mozzafiato, il tempio di Baelor esplode, sotto gli occhi raggianti della regina.

Calamitati dal susseguirsi convulso eppure stranamente dilatato degli eventi, che ci sembrano allo stesso tempo rapidissimi eppure eterni, non lo notiamo subito. Ma fa la sua apparizione un elemento musicale che non avevamo mai sentito prima in Game of Thrones. Il pianoforte.

Suona un tema musicale dolce e triste, lasciato sospeso nell’aria come un pensiero malinconico e distratto. Poco dopo si aggiungono gli archi, a dare corpo a questo pensiero, a tingerlo di un dolore scuro, opaco. Il tema di pianoforte si biforca poco dopo, generando un’altra frase musicale che pare quasi una lacrima che cade silenziosa. Poi il silenzio. Sentiamo solo questa lacrima rotolare, nella totale assenza di musica, e poi un’altra, e un’altra ancora.

Game of Thrones

Ci pare quasi di vedere Cersei, nella solitudine del suo dolore, piangere in silenzio i suoi figli.

Il tema del pensiero riprende, trasformandosi nuovamente in un rivolo di lacrime, ma da questo dolore nasce qualcos’altro. Con un colpo di genio, arriva un nuovo tema musicale proprio nel momento in cui, sulla scena, realizziamo che qualcosa sta per accadere. Un coro di voci bianche irrompe nelle nostre orecchie, intonando una nenia dissonante, un coro funebre di agghiacciante bellezza.

Ci si rizzano i peli sulle braccia. Il tema di pianoforte non è più malinconico, diventa ossessivo, ripetitivo e martellante, nutrito da un crescendo nel quale compare persino l’organo, strumento religioso per eccellenza. E sul finale siamo letteralmente travolti da questa ondata musicale, che ci fa vedere la scena anche solo ascoltandola.

Con questo tema Ramin Djawadi, talentuosissimo compositore di Game of Thrones, si è guadagnato un posto nel pantheon dei grandi musicisti per il cinema, accanto al suo maestro Hans Zimmer. Per un’intera stagione, non abbiamo più sentito il pianoforte.

Poi, nella 8×03 di Game of Thrones, un vecchio nemico ricompare. No, non il Re della Notte: il maledetto pianoforte, voce della sventura che incombe. Il tema che Djawadi sceglie per caratterizzare il Re della Notte è molto diverso da quello scelto per Cersei, eppure i due brani presentano delle affinità.

Per questa scena, il compositore sceglie un tema etereo, che nasce dalle zone alte della tastiera, e che viene subito replicato dalla mano sinistra, quella che scava nelle profondità del buio. Sintomo di un dualismo luce/tenebra che interessa l’intera puntata, oscura e illuminata a fatica da pochi raggi di luce.

Questa frase musicale si evolve in quello che potremmo chiamare tema della speranza, che ricorre lungo tutta la scena, pur interrotta spesso dalle note cavernose del primo tema, specchio identico di quello etereo. C’è luce nelle tenebre, c’è tenebra nella luce. Questo gioco di specchi va avanti per tutta la sequenza, commentata straordinariamente dalla musica.

Una lotta tra il bene e il male che, come i temi identici suonati in zone differenti della tastiera, si assomigliano eppure sembrano così diversi.

game of thrones

Verso la fine il tema della speranza, fino a quel momento così presente, sembra lasciare spazio al cavernoso tema della morte, quel ribattuto di pianoforte che pare quasi echeggiare i passi del Re della Notte. Tutto si conclude, come per il tema di Cersei, con un crescendo ostinato e incessante che si arresta all’apice. Nel momento in cui, sulla scena, noi vediamo finire tutto.

Che questa puntata ci soddisfi o no, non possiamo fare a meno di notare che solo un’altra volta, in tutta Game of Thrones, siamo rimasti così senza fiato. Il pensiero va alla puntata 6×10, e ci chiediamo che analogie abbia visto Ramin Djawadi nelle due scene, tali da meritare un trattamento musicale così speciale.

La risposta potrebbe essere nella natura dei due personaggi coinvolti.

In Light of the Seven, tema di Cersei, sentiamo una sorta di biografia emotiva della regina, un viaggio nel suo cervello, nel suo dolore e nella sua ossessione. In The Night King buio e luce si scontrano, compenetrandosi l’un l’altro. Si tratta di uno scontro ideologico, e per questo il tema ci appare meno pregno di soggettività. Non sta raccontando un personaggio, sta mostrando una lotta tra entità astratte e sovrannaturali.

Game of Thrones ci sta mostrando due facce del male, e per farlo usa il pianoforte, lo strumento che contiene in sé stesso la luce e la tenebra, nei suoi 88 tasti. Il male umano, fatto di dolore, rabbia, ossessione e follia, e il male ontologico, inestirpabile e insito nelle cose.

Chissà se risentiremo ancora le note del maledetto pianoforte, commentatore delle disgrazie di noi umani e delle maledizioni degli dei. Di sicuro questi due brani, che spiccano come lampi di genio in una soundtrack già sublime, consegnano Game of Thrones alla storia. Anche nel campo più insidioso, personale e misterioso che esista: la musica.

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