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Black Mirror 6×01 – La Recensione: siamo tutti terribili

Black Mirror
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When we focused on their more weak or selfish or craven moments, it confirmed their innermost fears and put them in a state of mesmerized horror… which really drives engagement. They literally can’t look away!

È sempre apparso come una delle caratteristiche più inquietanti, vale a dire la straordinaria capacità di Black Mirror di profetizzare distopici utilizzi della tecnologia. L’immaginario di mondi fittizi, apparentemente lontani nello spazio e nel tempo, bussava inaspettatamente alla porta di casa nostra. Così, quindi, come è già accaduto che certi incubi diventassero realtà, ancora una volta con “Joan is Awful”, la serie tv si fa Cassandra dei tempi moderni. Un inizio con il botto, dunque, per uno degli show più all’avanguardia di sempre che, nel campo della serialità, ha davvero fatto scuola e dopo scuola.

ATTENZIONE! Se non avete ancora visto la nuova stagione di Black Mirror, la recensione potrebbe contenere SPOILERS.

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Annie Murphy (640×473)

Joan è una donna normalissima che vive la propria quotidianità tra le magagne in ufficio, una relazione monotona e le sedute di psicoterapia. Il tranquillo trantran della sua vita è praticamente simile a quello di quasi ogni altra persona sulla faccia della Terra, se si escludono quelle piccole cerchie esclusive che non rientrano nel concetto di “normalità”. Ne dovremmo farlo, con tanto di ringraziamenti della nostra salute mentale. Come qualsiasi altro essere umano anche Joan ha poi segreti, paranoie e sogni che le fanno desiderare per qualcosa di più nella vita che non siano i soliti piatti insipidi del fidanzato, tanto dolce quanto monotono.

Il desiderio di poter prendere in mano la propria vita, di diventarne protagonista attiva (come lei stessa confessa alla terapeuta durante una seduta) si trasforma in realtà, seguendo però le regole del teatro dell’assurdo imposte da Black Mirror. Ecco, quindi, che Joan è si protagonista ma all’interno di una serie tv in cui non ha alcuna voce in capitolo e dove è interpretata da Salma Hayek, quella vera. Di colpo, quella stessa grigia routine viene esposta in bella vista per chiunque abbia un abbonamento a Streamberry, alter ego malvagio (?) di Netflix. La vita di Joan va letteralmente in pezzi, la sua immagine pubblica rovinata per colpa di una firma di troppo su quei famosi “termini e condizioni” che, da adesso in poi, probabilmente inizieremo a leggere sul serio.

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Il tentativo estremo di Joan (640×427)

Come dentro a una sala di specchi, in cui inizio e fine ci confondono e si annullano, anche Joan si rende conto di non sapere più che cosa sia reale e cosa invece no. L’unico modo è risalire all’origine e distruggere il quancomputer, roba da film di fantascienza, capace di creare multiversi nel giro di pochi secondi. Il finale si chiude su un colpo di scena azzeccato che rimette in discussione l’intera visione dell’episodio e spinge un ‘ultima volta il piede sull’acceleratore del tema centrale di “Joan is Awful”: l’avanzata inesorabile delle AI.

Ecco dunque che Black Mirror, come abbiamo anticipato nell’introduzione, torna a individuare nei suoi ossicini rituali visioni del futuro. Un futuro in cui l’uomo è sempre più asservito alla tecnologia, incapace di controllarla o forse, più semplicemente, troppo pigro per farlo. L‘intera narrazione di questo primo episodio si basa sulla deriva che le intelligenze artificiali stanno giocando soprattutto nel panorama artistico. Basta una scannerizzazione, un download di dati e le fattezze di Salma Hayek sono presto replicabili e adattabili senza più bisogno del materiale originale. Fa paura? Si. Basta solo vendere i diritti di riproduzione. Ed è proprio questo il punto. Basta solo vendere e vendersi, riducendo ancor di più il confine tra artificiale e umano, fino al punto in cui il secondo non servirà più.

In “Joan is Awful”, la spiacevole realtà diventa ancor più amara nel momento in cui le “riproduzioni digitali” non sanno di essere tali e agiscono nella convinzione di essere dotate di libero arbitrio.

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Similmente a quanto visto già in White Christmas, Black Mirror inserisce nuovamente una riflessione sull’autocoscienza e sulla malata ossessione umana per le disgrazie.

Proprio quest’ultimo tema fa da filo conduttore per l’intera stagione con risultati più o meno riusciti. Nel caso specifico di “Joan is Awful”, l’essenza della creatura di Charlie Brooker è presente e scatena qualche brivido lungo la schiena. Il mondo in cui viviamo ci bombarda costantemente con immaginari di perfezione irraggiungibili, con l’idea costante e opprimente che la nostra vita debba essere una montagna russa di viaggi, divertimento, successo e di nuovo tutto da capo. Questa è la fantasia con la quale il pubblico vuole essere imboccato. A nessuno interessa della vita semplice di una persona semplice. Per questo seguiamo i gossip di Hollywood e i content creator di successo ed è lo stesso motivo per cui la vita di Joan diventa appetibile nel momento in cui è Salma Hayek a interpretarla.

C’è solo una cosa che attira l’essere umano più del successo di qualcun’ altro, ovvero la sua sfortuna. Ed è sulla base di questa verità che Charlie Brooker incentra l’intera vicenda di Joan. Però esiste un grande “ma”. Se la prima metà della puntata cattura lo spettatore riportandolo nel mondo di Black Mirror, la seconda metà si perde tra scelte narrative banali e una risoluzione frettolosa. Il problema, di conseguenza, non è il messaggio di fondo, che anzi rimane orribilmente presente anche a conclusione della puntata, ma piuttosto la resa.