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Under the Dome: quando il fanta-thriller diventa ridicolo

Avete visto Under the Dome?

Io sì e sono ancora qui a chiedermi il perché.

Under the Dome narra della piccola cittadina di Chester’s Mill che, in un giorno come tanti altri, viene rinchiusa sotto un’enorme cupola impenetrabile. Gli abitanti devono convivere con una nuova realtà drammatica: separati da qualcosa di ancora peggiore del muro di Berlino (o del muro di Trump, per dire), imparano a sopravvivere in una realtà che pare rievocare Il signore delle mosche. Si deve creare una nuova società, un nuovo modo di sopravvivere, un nuovo stile di vita: c’è chi impazzisce, chi brama il potere e chi tenta solo di cavarsela.

La serie tv è tratta dal famoso romanzo di Stephen King del 2009 intitolato semplicemente The Dome. Molti non sanno che questo romanzo nasce in seguito a un’idea che King ebbe da giovane. Il progetto avrebbe dovuto intitolarsi The Cannibals, ma, all’epoca King si riteneva troppo inesperto per scriverlo al meglio.

Under the Dome

Lo accantonò per rispolverarlo solo pochi anni fa, arricchendolo di nuovi particolari.

Diciamo che la prima stagione è godibile: c’è lo sgomento, il desiderio di adattarsi, la paura dell’ignoto.

I personaggi sono abbastanza intriganti. C’è James “Big Jim” Rennie, il venditore di auto con velleità di comando, Dale Barbara, l’ex-militare dall’animo coraggioso, e Julia Shumway, una giornalista pronta a tutto. Anche i ragazzini a fare da contorno sono bravi e credibili.

Come molte serie tv, però, anche Under the Dome si è fatta prendere la mano: avrebbe dovuto concludersi con una stagione unica. Invece, s’è trascinata per tre lunghi anni di nonsense, incubatrici, colpi di scena degni di una soap opera sudamericana e attori che sembravano i primi a non crederci più.

Diciamo la verità, la prima stagione di Under the Dome era andata così bene che avrebbe fatto ben sperare anche il peggiore dei pessimisti.

La serie più seguita del periodo estivo dal 1992, insomma, roba grossa.

Solo che, senza l’invenzione immaginifica di King alle spalle, gli sceneggiatori di Under the Dome si sono ritrovati a fare da soli. Ed è stato come mettere un dodicenne alla guida di una Lamborghini.

Under the Dome

C’è spesso la sensazione, almeno per chi mastica serie tv da qualche anno come me, che gli autori siano convinti che il sensazionalismo e il classico colpo di scena attraggano gli spettatori. Beh, non è così!

Non basta uccidere personaggi a raffica, trovare strani sviluppi alternativi a una trama autoconclusiva.

Noi amanti delle serie tv siamo persone semplici e vogliamo trame, bene o male, sensate.

Tutto questo non esiste in Under the Dome.

Io stessa, cultrice di serie tv trash e di quanto peggio possa dare questo mondo, mi sono ritrovata col telecomando in mano a dirmi: “No, basta, adesso spengo la televisione”. Non ce l’ho fatta, ma diamo la colpa alla mia deformazione professionale che non si lasciano le cose a metà.

Under the Dome, a partire dalla seconda stagione, diventa un calderone osceno di escamotage assurdi e trovate da fiera di paese.

Ci sono pseudo-morti, sparizioni, persone che sbucano dal nulla con la spiegazione perfetta, uteri alieni dove gli abitanti di Chester’s Mill vivono in uno stato di stupida inconsapevolezza.

Under the Dome

Insomma, un episodio peggio dell’altro, talmente brutti che anche gli ascolti stellari della prima stagione crollano, perché non sono mica tutti tenaci (o masochisti) come me.

La prima stagione ha una media di spettatori di 11 milioni, per passare a 7 nella seconda e, addirittura, 4 per la terza.

Un crollo vertiginoso che è causato principalmente dal pessimo sviluppo della trama.

Se l’ideatore del libro da cui è tratta la serie, inizialmente, si era pronunciato con relativa positività nei confronti di Under the Dome, è del giugno del 2019 un suo tweet che dice:

“Perché Netflix non riprende in mano Under the Dome, ma ripartendo da zero e trattando davvero la trama del libro?”

Parole sue, non mie, ma speranza anche mia.

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