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Cosa non ha funzionato nella terza stagione di True Detective

Mentre Mahershala Ali vinceva il suo secondo Oscar per Green Book, in contemporanea sulla HBO e in Italia su Sky Atlantic andava in onda il finale di True Detective 3. Questo nuovo capitolo dell’antologia crime firmata Nic Pizzolatto, atteso con ansia e speranze dai fan, ha mostrato delle falle nonostante si sia tornati alla apprezzatissime atmosfere della prima stagione. Pur restando un prodotto di punta nel panorama delle serie tv, purtroppo True Detective 3 ha deluso in parte le aspettative del pubblico.

Un’attesa lunga 7 episodi

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Siamo stati incollati allo schermo per scoprire chi fosse il responsabile della sparizione della piccola Purcell e della morte di Will. Abbiamo scoperto però che un responsabile non c’era. Anche la scelta, molto in stile Peter Jackson, della successione di più finali risolutivi non soddisfa a pieno pur chiudendo la vicenda. Probabilmente la scelta di arrivare al finale con una narrazione per un certo verso “estenuante” non è adatta al tipo di finale scelto.

Sono i dissidi interiori dei protagonisti a muovere la trama

In True Detective 3 si è sempre data la precedenza all’interiorità dei personaggi. In effetti i due protagonisti, anche in questo caso, sono tormentati da una lotta interna che prevale sullo svolgersi della narrazione. Wayne e Roland sono in cerca di giustizia e arriveranno a gesti estremi per placare la loro ossessione. A tutto ciò aggiungiamo l’instabilità mentale di Wayne che lo porterà a dubitare delle sue stesse indagini.

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Oltre a questi tormenti personali, che i due attori sono bravissimi a incastrare perfettamente nel loro rapporto ricco di alti e bassi, la storia risulta troppo slegata e allungata. La trama non esplode mai, regalandoci lunghi momenti di suspense senza una vera Spannung e la tensione ne risente.

Anche la storia d’amore tra Wayne e Amelia (Carmen Ejogo) è accantonata in maniera frettolosa e con una vena di isteria. A questo si collega direttamente il discorso sulla gestione della timeline. Probabilmente nei vari salti temporali molti aspetti della trama non sono volutamente spiegati. Il risultato però risulta approssimativo, lasciando al pubblico l’arduo compito di creare un background per i personaggi e le vicende che li colpiscono. Pensiamo alla figura di Woodard: è messa nella trama e poi tolta senza alcuna spiegazione.

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Ci si aspettava inoltre, visti i continui rimandi alla prima stagione portati dall’intervistatrice, che la storia riprendesse le vicende della crooked spiral e del circolo di pedofili su cui avevano indagato Rust e Marty (Matthew McConaughey e Woody Harrelson). Nic Pizzolatto ci aveva dato l’idea che i colpevoli del caso al centro della terza stagione fossero gli stessi visti due stagioni fa, ma alla fine i collegamenti che troviamo sembra servissero come una sorta di contentino per i fan.

Più drama che thriller, True Detective 3 ha disperso via via la sua vena soprannaturale, la sua ambiguità di genere. E questa era la parte più affascinante di tutta la creatura di Pizzolatto.

Quindi inutile continuare a cercare queste caratteristiche. La stagione da poco conclusa ha scelto di perdersi in un groviglio di sentimenti e ricordi, di tracciare scorciatoie imprevedibili tra epoche lontane, provando a utilizzare il dolore della perdita (tutti i personaggi di True Detective 3 hanno perso qualcosa o qualcuno) per dare senso alla trama e alle vite dei protagonisti. Si può dire tranquillamente che il tema della “perdita” qui snaturi a volte la vena crime/thriller che aveva compiaciuto il pubblico nelle prime due stagioni (non me ne vogliate ma True Detective 2 è un prodotto sopraffino). Qui invece il caso Purcell è un pretesto per raccontare le turbe dei protagonisti e non il motore della vicenda.

La terza stagione di True Detective rimane sfocata e annebbiata come la mente del protagonista disattendendo le aspettative, quanto meno quelle del pubblico più esigente.

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