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Lettera di Lenny Belardo al suo amore californiano

Dal tuo Lenny Belardo

Dolce sposa mancata, amore di un momento, compongo per te questa lettera anche se non avrai mai modo di leggerla. Mia silenziosa confidente, oggetto dei miei pensieri più cari, tu non puoi saperlo ma sei il conforto ai miei momenti più cupi. Il tuo ricordo vive in me, ed è per me un rifugio. Sono trascorsi molti anni e il tuo volto si fa più nebuloso. Soffro per questo, mi danno, mi incolpo perché insieme a quel viso sfocato temo di perdere anche una parte di me. La parte migliore e più delicata. Eppure di quel tempo trascorso qualcosa si è mantenuto intatto.

Non ricorderò forse il giorno esatto e cosa mangiammo; di cosa scherzammo complici l’uno dell’altro. Non riuscirò a visualizzare pienamente il tuo viso, a tracciare l’andamento delle tue tenere lentiggini e della sottile ruga che ti corrucciava la fronte imbronciata. E ti prego di perdonarmi per queste mie mancanze.

Maledico il tempo che tutto divora. La fuggevolezza dei nostri pensieri e gli strani scherzi della mente.

Ma di una cosa ho memoria indelebile: la pace. Tu sai cos’è la pace perché l’hai vissuta con me in quel pomeriggio su una spiaggia deserta della California. La pace vera. Tu mi guardavi e ridevi di me. E io, goffo e involontario oggetto del tuo divertimento, arrossivo e abbassavo la testa. Ricordi? Allungasti la mano morbidamente e mi toccasti il mento. Ci guardammo. Ora terribilmente seri. E in quello sguardo sentii la pace vera. Amore mio, ricordi quell’emozione? La rivivo ogni giorno e la porto con me. Ogni giorno tu sei con me.

Per un’istante appena colsi la sconcertante bellezza di contemplare l’amore più puro. L’amore che sfugge al mondo e alla sua volgarità. Alle brutture del vivere quotidiano. Nulla ha potuto intaccare quel momento e nulla potrà mai. In quello sguardo silenzioso e sconcertante s’è consumato tutto il nostro amore. Come sarebbe stato se fossi rimasto? Ci pensi mai?

Saresti stata sposa e madre, figlia e sorella. Saresti stata ciò che ho sempre disperatamente ricercato. Una famiglia.

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Lettera di Lenny Belardo al suo amore californiano

Ma sarebbe potuto esserci qualcosa di più perfetto di quel momento? Avremmo davvero voluto che l’indicibile bellezza di quell’istante si macchiasse con la normalità di una vita vissuta? Avremmo resistito alla noia della quotidianità? Questo non è dato saperlo. Ma non è fatto per me il mondo, sposa mia. Non sono mai appartenuto al mondo, alle sue convenzioni sociali, all’ansia del successo, al consumo.

Guardo i novizi che assieme a me si preparano per prendere i voti. Li vedo esclusi come me da quel mondo. Esteti di una bellezza che forse non esiste. Semplici e ingenui come bambini. E non posso fare a meno di chiedermi se viviamo davvero. Ricordi quella poesia? “Com’è felice il destino dell’incolpevole vestale, del mondo dimentica, dal mondo dimenticata”.

C’è un certo mistero affascinante nella clausura, in quell’allontanamento dalla materialità dell’esistenza.

Vorrei anch’io poter vivere solo d’essenza, abbandonare questo mio ridicolo abito e rimanere immobile. Fissare estasiato il tuo volto ormai sbiadito, la sottile, dolce bellezza delle tue labbra. Guardare nei tuoi occhi e come in uno specchio riscoprire me stesso. Perché tu, amore mio, mi ha restituito alla mia essenza più profonda.

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Lettera di Lenny Belardo al suo amore californiano

Chissà se pensi a me. Io ti penso, sai. Immagino la vita che sarebbe potuta essere e mi rifugio nei ricordi di ciò che non è stato. Quanta bellezza c’è nell’immagine dell’amore mancato! Creo questa vita nella mia mente e tutto acquista sapore: i baci sfuggiti, le carezze non date, gli abbracci inespressi. Vedo te e penso che tutto questo sia reale. Che, in un senso che non so spiegare, io viva realmente tutte queste emozioni. È forse meno reale la visione di un futuro che sarebbe potuto essere, della memoria di un passato che non tornerà? No, sposa mia, convivono entrambi e nessuno è meno degno di meritare il mio tormento.

Non sono certo di nulla. Sono continuamente oppresso dal dubbio.

Sono e sarò sempre un orfano: non ho la sicurezza di un bambino stretto nel petto materno, difeso dall’abbraccio sicuro del padre. Non è qui mia madre. Non è qui mio padre. Pure Dio fugge da me. Quel Dio che è insieme vita e Spirito femminile generatore. Intorno a me c’è il silenzio dell’orfano. Non ho fatto esperienza del confuso calore delle voci dei fratelli, del canto dolce della madre prima di dormire. Mi ha sempre avvolto il silenzio. Il silenzio di Dio.

Tu sola sei per me voce vera. Sposa di una vita sfuggita, amore di un istante, sola compagna. Lascia che ti custodisca con me. Lasciami pensare che esista qualcosa di autentico in tutto questo. Perché né il tempo né lo spazio ci hanno inghiottito. Viviamo per sempre in quell’istante in cui tutto si fa infinito e il tempo non esiste più. È dolorosa la mia vita, alla costante ricerca di un senso. Ma un senso, amore mio, a tutto questo non c’è.

Non c’è un senso all’assenza di Dio, all’abbandono dei miei genitori, a questa esistenza incerta.

Troppo spesso ci nascondiamo dietro i nostri impegni quotidiani e non ci accorgiamo che c’è un grosso vuoto tutto intorno. Fa male pensarci. Forse per questo ci distraiamo come possiamo. È più facile non pensare. Ma io ho bisogno di pensare. Io voglio pensare. Devo farlo. Deve esserci qualcosa. Tutto questo deve essere qualcosa. E allora indugio sulla tua bocca screpolata appena dal sale del mare, sulle tue guance arrossate un po’ troppo dal sole, sui tuoi capelli leggeri che danzano liberi mossi dal vento.

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Lettera di Lenny Belardo al suo amore californiano

E ti rivedo. Finalmente ti rivedo.

E sei tu, sei reale, sei qui, sei insieme a me. E tutto finalmente mi appare vivo, tutto acquista valore e riscopro la pace. Il cuore rallenta il suo battito, il petto attutisce il respiro, lo sguardo vaga lontano. Lontano da qui, lontano da questa stanza stretta e spoglia. Solca libero la tavola piatta del mare, le increspature delle onde che appaiono improvvise, il giallo della spiaggia e il verde pallido di una pineta arrostita dal sole. Posso vedere una folla confusa, persone che parlottano, bambini che giocano.

Ma non è questa la grande, finale bellezza. Dietro a tutto il bla bla bla c’è il silenzio. Quel silenzio di cui tanto ho paura e che pensavo fosse una mancanza; e invece è la contemplazione più profonda. È lo sguardo che ci scambiammo senza dirci nulla. È quello scoprirsi intimi, senza toccarci.

È tutto qui il senso della mia ricerca.

Della mia eterna, inappagata, inesauribile ricerca. Come vorrei che il mondo sentisse quello che ho sentito io! Che provasse quell’attimo incostante di eterna beatitudine. Non vale più di quell’unico istante un’intera vita. Tu sola lo sai, amore di una gioventù mancata.

Cos’altro c’è? Nulla, amore mio, nulla. Solo questo momento esiste. Solo io e te. Eternamente io e te. Sospesi in quello sguardo. Questo rimarrà. Di mille parole, di tanti pensieri, di tante opere non rimarrà altro che questo. Un’intera esistenza riscattata da un unico momento.

Già mi sembra chiudersi davanti a me questo grottesco palco che è la vita. Non c’è altro che buio. In quell’istante, quando i miei occhi stanchi finalmente si chiuderanno, guardando null’altro che il cielo infinito, non mi aggrapperò che a te. Fisserò nella mia mente il tuo sguardo. Rivivrò per l’ennesima ed estrema volta quell’emozione. Questo e soltanto questo resterà di Lenny Belardo. Nient’altro che quell’inebriante, serena, finale bellezza di un amore mancato.

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