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È sempre difficile giudicare The Walking Dead. La Serie ha ormai creato una divisione talmente netta tra quanti la criticano e quanti continuano ad amarla incondizionatamente che è diventato quasi impossibile trovare un punto di incontro a metà strada. Ammettere che sì, ha forse perso un po’ di smalto con gli anni ma che è ancora un intrattenimento godibilissimo. Che si lascia guardare, pur accettandone i difetti. Invece no, o fai parte della prima schiera, e allora hai le fette di prosciutto davanti agli occhi, o sei un criticone, ergo vuoi soltanto sparare sulla croce rossa.

E pensare che forse l’ultimo episodio dell’ottava stagione avrebbe potuto accontentare tutti. Apocalittici e integrati. Avrebbe potuto, ma ha perso la sua occasione. Ma prima di andare oltre è doverosa una premessa.

Chi vi scrive è un fan di The Walking Dead della prima ora che ha amato da impazzire le prime stagioni. Ne ho amato il messaggio provocatorio e la capacità di rappresentare la natura umana in un contesto estremo, quale è l’apocalisse zombie. Vien da sè che io abbia amato soprattutto personaggi come Shane o Il Governatore, disarmanti nel loro essere così verosimili, nella loro rappresentazione del homo homini lupus, in un mondo tornato agli albori e privo di ogni legge sociale. E, di conseguenza, sono fermamente convinto che l’assenza di altri personaggi di tale caratura nel corso delle annate abbia parzialmente indebolito la Serie e il messaggio che essa voleva trasmettere. Non c’è riuscito nemmeno Negan, figura affascinante ma utilizzata troppo spesso in maniera approssimativa, contraddittoria (ho scritto qualcosa a tal proposito qui) e a volta addirittura votata al fan service. Ciò nonostante continuo a seguire la Serie e, soprattutto continuo a volerle bene.

Questa ottava stagione ci ha mostrato cose buone e altre decisamente irritanti. Ma è stata segnata, naturalmente, dalla morte di Carl, in funzione della quale è stata impostata tutta la seconda parte. Ecco, quella è stata una buona idea e proprio da lì bisogna partire per analizzare questo finale di stagione. La morte di Carl è servita, dal punto di vista narrativo, come un insegnamento, un voler dare uno scopo a Rick e al suo gruppo, accecati dal desiderio di vendetta. Accecati a tal punto da non riuscire più a concepire un futuro per l’umanità intera (“deve esserci un dopo“). In effetti, Rick esaudisce l’ultimo desiderio del figlio, risparmiando Negan e gli altri salvatori e gettando le basi per riappropriarsi, come comunità, di un barlume di futuro. Anche gli altri personaggi agiscono di conseguenza, trovando il loro posto nel mondo: Morgan, Carol, Dwight e così via.

Fermatevi un attimo a pensare a quanto sarebbe stata efficace questa situazione come finale di Serie e non come finale di stagione. Certo, non avremmo avuto la concretizzazione del sogno di Carl e Rick. Certo, saremmo rimasti col cliffhanger di una potenziale e inaspettata ribellione da parte di Maggie e Daryl. Certo, non ci sarebbe mai stata la cura (che, d’altra parte non è mai stata la priorità: l’aspetto più interessante dell’apocalisse è il comportamento degli individui, non la malattia in sè).

Non avremmo avuto niente di tutto questo ma, molto probabilmente, saremmo stati felici e appagati.

Perchè la Serie si sarebbe conclusa con un messaggio forte, di speranza ma non un lieto fine in senso assoluto (e qui il riferimento è proprio al possibile tradimento di Maggie): quel che resta dell’umanità, o quasi, supera la sua prova più difficile, Negan, con la forza della collettività, perchè la priorità è assicurarsi un futuro. Quello di Carl sarebbe stato un sacrificio pesantissimo, ma funzionale all’avvento di un domani. DEVE ESSERCI UN DOPO. Il tutto coronato dalla lettera di Rick a Carl, la perfetta chiusura di un cerchio, il culmine dell’impatto emotivo per lo spettatore, sullo sfondo delle immagini di loro due prima dell’apocalisse. È così che The Walking Dead avrebbe dovuto terminare. E sarebbe stato bellissimo.

Valutarlo per quel che è, invece, un season finale, è tutto un altro discorso. Come finale di stagione sarebbe stato meglio ribaltare tutto, enfatizzando la componente distopica della Serie. Rick avrebbe dovuto uccidere Negan, contravvenendo all’ultimo desiderio del figlio. Il grande disegno che Carl aveva in mente sepolto dall’istinto e dagli impulsi primitivi di un padre assetato di vendetta. Siamo pur sempre in un mondo post-apocalittico, no? Avrebbe dato nuova linfa e spessore a un personaggio, Rick, ormai diventato troppo statico.

In funzione di un continuo, la risoluzione dell’episodio risulta un mero esercizio di buonismo. E, soprattutto, una inutile ripetizione di dinamiche trite e ritrite. Il sogno di un futuro verrà messo a dura prova da nuove minacce e nuovi nemici che affievoliranno la potenza del messaggio di Carl e il suo significato. Di fatto qual è la differenza tra questo finale di stagione e quello della terza, dove il sacrificio di Andrea si era sublimato nella speranza di un futuro alla Prigione? Nessuna, a parte il fatto che lì aveva senso continuare e qui no. E anche la scena della congiura che stanno architettando Maggie, Jesus e Daryl appare solamente come un patetico tentativo di rovinare l’idillio che si era venuto a creare, paventando un’eventuale minaccia per la prossima stagione.

Giudicare questa serie è complicato, ma alle volte è molto semplice. E sono le volte in cui riesci a riconoscere da lontano la sensazione di un’occasione sprecata: The Walking Dead ha avuto il suo finale perfetto e non se n’è accorta.

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