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Le due facce dell’horror in The Haunting of

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Quando si parla di serie horror moderne che sono riuscite a ridefinire i confini del genere, è impossibile non citare The Haunting of Hill House e The Haunting of Bly Manor. Ideate da Mike Flanagan per Netflix, queste due stagioni antologiche condividono lo stesso DNA creativo ma raccontano due storie profondamente diverse per tono, atmosfera e impatto emotivo. Lontane dal mero spavento gratuito, queste opere si muovono su un terreno ibrido, dove l’horror diventa un tramite, uno strumento per parlare di lutto, amore, perdita e memoria. Ecco allora che il terrore si mescola alla malinconia, la suspense al dramma umano, e lo spettatore non viene solo spaventato: viene consumato, lentamente e intensamente, come solo certe esperienze emotive sanno fare.

La forza della serie non risiede solo nella scrittura, ma in un linguaggio visivo e sonoro che rende ogni episodio un piccolo film. Flanagan dirige con mano sicura, utilizzando tecniche proprie del cinema horror – lunghi piani sequenza, apparizioni fugaci in secondo piano, silenzi inquietanti – ma con un obiettivo che va oltre il semplice “salt scare”. In Hill House la casa diventa un organismo vivo, che osserva, custodisce, corrompe. In Bly Manor, invece, il soprannaturale si fa sussurro, memoria trattenuta in un luogo che è più trappola che maledizione. Entrambe le stagioni, pur diversissime, riescono a scavare in profondità, mostrando due volti di uno stesso incubo: quello che terrorizza e quello che spezza il cuore. (Puoi guardarla qui)

Hill House: l’orrore come trauma in The Haunting of

Un frame della serie horror con la famiglia Crain

The Haunting of Hill House è, senza mezzi termini, un capolavoro del genere. Non perché sia terrificante – anche se lo è – ma perché utilizza l’orrore per rappresentare il trauma psicologico e i suoi effetti nel tempo. La storia ruota attorno alla famiglia Crain, i cui membri, ormai adulti, si ritrovano a confrontarsi con i fantasmi – reali e metaforici – della loro infanzia. La casa in cui hanno vissuto è infestata, ma lo è in modo sottile, insinuante. I fantasmi non si limitano a spaventare: rappresentano paure irrisolte, lutti mai accettati, dolore che non ha trovato voce.

La regia è straordinariamente consapevole: Flanagan gioca con le inquadrature, seminando presenze invisibili in ogni angolo, costruendo una tensione che cresce lentamente ma inesorabilmente. Il celebre sesto episodio, un unico piano sequenza lungo quasi un’ora, è un esempio magistrale di come la tecnica possa servire la narrazione. La musica, firmata da The Newton Brothers, è un altro elemento fondamentale: mai invasiva, sempre calibrata, accompagna con delicatezza anche i momenti più laceranti. Ma il vero colpo di genio è l’umanità dei personaggi. Ciascuno dei fratelli Crain affronta la propria forma di dolore – la dipendenza, la depressione, l’ossessione per il controllo – e ogni episodio sembra invitarci a non giudicarli, ma a comprenderli. È un horror che fa piangere quasi più di quanto faccia paura, e che lascia addosso una sensazione difficile da definire: un misto di angoscia, nostalgia e profonda empatia (qui trovi 7 ottime Serie Tv che sono puramente horror).

Bly Manor: il dramma sotto il velo gotico

The Haunting of Hill House

Se Hill House è il racconto di un trauma familiare che prende la forma dell’orrore, The Haunting of Bly Manor è, invece, una tragedia romantica mascherata da ghost story. Più lento, più introspettivo, meno urlato, Bly Manor sposta l’attenzione dall’horror psicologico al melodramma gotico, senza però perdere la sua identità stilistica. Ambientata in una villa inglese immersa nella nebbia, la serie segue le vicende di Dani, una giovane americana che accetta di prendersi cura di due bambini orfani, ignara che la casa in cui andrà a vivere è popolata da spettri legati a un passato doloroso.

Anche qui, Flanagan costruisce l’atmosfera con eleganza. La paura è più ovattata, più sottile, quasi sempre legata alla tristezza e alla memoria. I fantasmi non fanno salti fuori dall’armadio: si aggirano lentamente, intrappolati in cicli di dolore. C’è un senso profondo di perdita del tempo, di vite non vissute, di amori mai realizzati o interrotti troppo presto. E l’horror, ancora una volta, si trasforma: da minaccia concreta a simbolo di ciò che ci portiamo dietro e che non riusciamo a lasciar andare. La musica, ancora una volta, è magistrale. Temi ripetuti, ossessivi, ma anche dolcissimi, fanno da sottofondo a una storia che parla d’amore in tutte le sue forme: etero, omosessuale, materno, platonico. Bly Manor non cerca il brivido fine a sé stesso: vuole colpire il cuore. E ci riesce, trasformando l’horror in una meditazione sulla morte, il lutto e il senso del sacrificio (ecco la Classifica delle 10 migliori Serie Tv horror di sempre, secondo gli utenti di Reddit).

L’arte della paura empatica di The Haunting of

Il cast completo della serie horror

Cosa rende The Haunting of… così diversa da altri prodotti horror? La risposta è semplice: l’empatia. Flanagan non vuole solo spaventare. Vuole far sentire. Ogni inquadratura, ogni scelta di regia, ogni nota musicale, ogni dialogo sembra orientato a creare una connessione tra lo spettatore e i personaggi. Anche i fantasmi, in fondo, non sono mai solo mostri: sono vittime. Vittime del tempo, della perdita, della solitudine. L’orrore non è mai gratuito: è sempre profondamente radicato nell’esperienza umana.

La regia sfrutta tutti gli strumenti del genere – jumpscare, giochi d’ombra, ambientazioni claustrofobiche – ma li usa con parsimonia e intelligenza. Un buon esempio è la gestione dello spazio visivo: molti fantasmi compaiono solo se si guarda con attenzione. Sono lì, silenziosi, immobili, a suggerire che il vero terrore spesso non si mostra, ma si percepisce. Ed è questa consapevolezza a rendere la serie così efficace: la paura non è nel mostro che urla, ma nel sussurro che non capisci. In questo, l’uso del suono è determinante. Le musiche non urlano mai: piuttosto, accompagnano. I silenzi sono assordanti, pieni di significato. E il risultato finale è un’opera che ti entra dentro, che ti prende per mano e ti accompagna in un viaggio emotivo profondo, dove si piange tanto quanto si trema. Non è solo horror: è umanità che fa paura (qui trovi le simbologie di Hill House).

Due anime, una sola visione di The Haunting of

the haunting of bly manor

Nonostante le differenze marcate tra Hill House e Bly Manor, ciò che le unisce è una visione coerente e profondamente umana del genere horror. Flanagan non reinventa la ruota, ma la fa girare in un’altra direzione: quella del sentimento. Le case infestate delle due stagioni non sono semplicemente luoghi maledetti. Sono contenitori di emozioni, ricordi, errori, dolori. Sono il riflesso interiore dei personaggi, estensioni del loro inconscio. E lo spettatore, inevitabilmente, ci si riconosce.

Questo è il vero potere della serie: la sua capacità di trasformare l’orrore in catarsi. Di usare il terrore per parlare di ciò che ci rende umani. Non importa che tu creda o meno ai fantasmi. The Haunting of… ti costringe a fare i conti con i tuoi. Con i rimpianti, i sensi di colpa, le parole non dette, gli addii mai accettati. È una serie che non si dimentica facilmente, che lascia un segno – come una cicatrice, ma anche come un abbraccio. In definitiva, siamo di fronte a un’opera che ha ridefinito cosa può essere una storia dell’orrore. Un racconto che non si accontenta di intrattenere, ma che vuole emozionare, far riflettere, smuovere. E lo fa con una grazia rara, quasi poetica, confermandosi non solo come una delle migliori serie horror degli ultimi anni, ma come una delle più belle serie drammatiche mai realizzate.

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