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The Woman in the Wall – Recensione della nuova miniserie su Paramount+

ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste imbattervi in spoiler su The Woman in the Wall.

Lo scorso weekend è uscita su Paramount+ l’ultima puntata di una miniserie anglo-americana (BBC e Showtime) creata da Joe Murtagh, intitolata The Woman in the Wall. Il giovane sceneggiatore inglese è alla sua prima assoluta come autore ma ha già lavorato in American Animals e Gangs of London.
I sei episodi complessivi della durata di cinquanta minuti l’uno sono dirette da Harry Wootliff, già nota per Queste oscure materie e Deep Water, e Rachna Suri. Si Bell (Peaky Blinders, attualmente in lavorazione il film, e The Serpent) ha curato una fotografia meravigliosa. David Holmes, invece, dopo Ocean’s Eleven – Fate il vostro gioco, Killing Eve e This England ha composto la colonna sonora, davvero inquietante.

The Woman in the Wall è una miniserie angosciante, a tratti sconvolgente.

Fin dalle prime immagini lo spettatore avrà l’impressione di venire avvolto da una opprimente cappa di incertezza destabilizzante. La miniserie, infatti, si apre con l’immagine di una donna, sdraiata in una strada nella verde Irlanda. Sembra stia dormendo. Indossa soltanto una camicia da notte bianca. Dietro di lei pascolano tranquillamente un paio di mucche. La donna si sveglia mostrando allo spettatore una macchia di sangue che spicca sulla veste bianca. Confusa, dopo qualche momento si incammina, a piedi nudi, sull’asfalto bagnato, diretta verso casa.

Nel minuscolo centro rurale in cui vive questa donna non gode di buona fama. Tutti, infatti, la considerano un po’ come la matta del villaggio. Del resto lei non fa nulla per impedire queste dicerie. Come se non bastasse soffre di sonnambulismo ed è incapace di gestire la propria rabbia che la porta a comportarsi in maniera piuttosto aggressiva verso tutto e tutti. Lei è Lorna Brady magnificamente interpretata da Ruth Wilson, già conosciuta, tra le altre cose, per Jane Eyre, The Lone Ranger, una intrigante Alice Morgan in Luther, Marisa Coulter in Queste Oscure Materie e The Affair: Una relazione pericolosa.

The Woman in the Wall, una storia che racconta la Storia

The woman in the wall
Ruth Wilson è Lorna Brady in una scena molto intensa

Diciamo subito che le sei puntate di The Woman in the Wall non sono adatte a tutti. L’argomento trattato, infatti, è una terribile storia di soprusi, di violenze fisiche e psicologiche. Di morti e di abbandoni. Disgraziatamente vera. Il personaggio di Lorna, come gli altri, sono inventati, certo. Ma basati tutti su una realtà inimmaginabile e crudele. Quella delle Lavanderie della Maddalena, argomento già trattato in un bellissimo film del 2002 di Peter Mullan, premiato con il Leone d’Oro a Venezia.

Non vi spiegheremo qui cosa fossero le Lavanderie della Maddalena, definitivamente chiuse alla fine del XX secolo, per non rovinarvi la sorpresa, diciamo così.
Lorna, poco più che adolescente, viene cacciata dalla sua famiglia e rinchiusa in una di queste lavanderie, gestite da un gruppo di suore cattoliche. La sua colpa è quella di esser rimasta incinta al di fuori del matrimonio. Le suore la trattano così male che al confronto quella di Nun è una santa. Soprattutto le impediscono di occuparsi di sua figlia che una volta nata viene dichiarata morta e fatta sparire.

Una continua lotta

Lorna ha una giusta ossessione per questa figlia morta. Una volta fuori dalla lavanderia continuerà a pensare e ripensare a quanto accaduto non riuscendo a trovare pace. Questa sua ossessione la mette in difficoltà con il resto degli abitanti del paese. Soprattutto con le donne, molte delle quali come lei finirono in quella lavanderia. Ma a differenza di Lorna le sue sfortunate compagne di avventura sono riuscite a voltare pagina. Almeno apparentemente.

Quelli che vengono definiti deliri di una pazza cominciano a prendere sostanza quando muore un prete collegato alla lavanderia e, soprattutto, quando una donna misteriosa fa recapitare a Lorna un messaggio inequivocabile: tua figlia è viva e so dove si trova.
Queste parole risvegliano l’istinto materno mai sopito della protagonista che si mette a investigare finendo per intralciare le indagini ufficiali della polizia gestite da un giovane sergente, Colman Akande, interpretato da Daryl McCormack (Peaky Blinders).

The Woman in the Wall ci ricorda che nessun horror fa più orrore della realtà

The woman in the wall
Daryl McCormack è Colman Akande, sergente investigativo della polizia irlandese

The Woman in the Wall porta avanti questa duplice indagine obbligando i due protagonisti a scavare a fondo nel proprio passato in quello di tutti i personaggi in scena. La storia va avanti in maniera abbastanza lineare, inframmezzata dai ricordi di entrambi, mettendo lo spettatore di fronte ai rispettivi, dolorosi traumi. E più passa il tempo più quello che sembra un racconto horror diventa la più cruda delle realtà. Perché la cattiveria umana fomentata dall’interesse economico è, probabilmente, il più terrificante degli orrori.
L’impressione che si a guardando gli episodi di questa miniserie che speriamo non venga ignorata dal pubblico è quella di camminare sul filo del rasoio. In ogni momento lo spettatore vacilla insieme alla protagonista col rischio di cadere giù nel suo delirio.

A un certo punto tutto si confonde in The Woman in the Wall. Si perde la bussola, tra edifici abbandonati che sembrano infestati da presenza maligne e figure spaventose che si trincerano dietro status e simboli religiosi. Un angosciante miscuglio tra sogno e realtà nel quale si possono udire le urla strazianti delle madri cui vengono portati via neonati piangenti.
Joe Murtaugh però è davvero bravo a gestire tutto. Dimostrando grande capacità e polso l’autore non finisce nel suo stesso vortice ma riesce a rimanerne fuori trasformando con maestria qualcosa di impalpabile in una narrazione concreta e dolorosa al limite della denuncia politica.

Ruth Wilson mozza il fiato

Al di là dell’ottima regia, di una fotografia che impreziosisce la trama e di una colonna sonora capace di far accapponare la pelle The Woman in the Wall è soprattutto l’interpretazione dell’attrice inglese. Solo per lei vale la pena di guardare questa miniserie. Perché Ruth Wilson è incredibile per come sia in grado di rendere verosimile il suo personaggio. Mentre gli altri recitano tutti, davvero molto bene lei sembra l’incarnazione della sofferenza. La sua recitazione è molto fisica. La sue labbra screpolate, i suoi occhi arrossati, la sua postura goffa e dismessa sono l’antitesi delle moderne eroine televisive, quasi sempre perfette anche in pessime situazioni. Ruth Wilson, invece, rimanda attraverso le sue espressioni non verbali un personaggio dentro il quale il male e la sofferenza patiti hanno potuto covare in pace per anni prendendo le redini della sua vita.

Schiacciata dal peso della sua angoscia la Lorna di Ruth Wilson avanza indomita in un mondo che la rifiuta categoricamente. Lo stesso mondo che ne ha condiviso la pena ma che ha preferito dimenticare invece di rivangare continuamente. Lo stesso mondo che posto di fronte alla realtà scoperta dalla donna è costretto a riconoscerla come l’unica sana di mente e seguirla in una crociata che, almeno nella miniserie, sembra non avere fine.

The Woman in the Wall risveglia la coscienza di tutti

Un po’ crime, un po’ mistery, un po’ thriller psicologico The Woman in the Wall, in realtà, non è niente di tutto questo. Semmai è qualcosa di indefinibile, al limite del capolavoro. Perché capace non soltanto di intrattenere ma anche, e soprattutto, di impattare sullo spettatore in maniera forte, violenta.
Nel lungo viaggio liberatorio di Lorna e Colman si toccano diversi argomenti, alcuni dei quali in maniera quasi impalpabile, lasciando sempre a chi guarda il compito di giudicare.

L’opera prima di Joe Murtagh affronta con coraggio una verità scomoda che troppo spesso è stata volutamente nascosta o semplicemente trasfigurata in un qualcosa di fintamente orrorifico quasi a mitigare sensi di colpa e traumi collettivi.
The Woman in the Wall merita davvero di esser vista proprio per ciò che provoca, per ciò che trasmette. Al netto di qualche imperfezione distribuita qua e là, e con un finale scontato e banale del quale però si ha un enorme bisogno per riappacificarsi con la propria esistenza.