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The Tender Bar è intelligente ma non si applica – La Recensione del nuovo film di George Clooney

Adattamento cinematografico delle memorie Il bar delle grandi speranze di J. R. Moehringer, The Tender Bar è il nuovo film diretto da George Clooney, disponibile dal 7 gennaio su Amazon Prime.

“Per cosa sta J.R.?”. Questa domanda viene posta molte volte al protagonista di The Tender Bar, ed è proprio nella ricerca della risposta che si incentra la sua storia e il suo percorso verso quell’identità bramata e negata dal suo nome. J.R. infatti sta per Junior, la versione ridotta del nome di suo padre, un uomo assente che non ha contribuito in alcun modo alla formazione di quel ragazzo diventato poi il giornalista premio Pulitzer e lo scrittore che oggi conosciamo.

Il film comincia con il J.R. bambino (Daniel Ranieri) che, insieme a sua madre Dorothy (Lily Rabe) in ristrettezze economiche, si trasferisce a casa dei nonni. Qui vive anche suo zio Charlie (Ben Affleck), gestore del Bar Dickens e figura essenziale nel suo percorso di crescita poiché sarà colui che lo indirizzerà verso la lettura dei grandi classici e la passione per la scrittura. Di suo padre conosce solo la voce, una voce senza identità che lavora per diverse emittenti radiofoniche. Dal volto dietro quella voce riceve promesse mai mantenute e costanti delusioni, mentre suo zio gli darà un unico fondamentale insegnamento: “fa’ star bene tua madre”. J.R. segue alla lettera quelle parole e cresce seguendo la volontà di sua madre e il suo sogno di vederlo a Yale per studiare legge e diventare avvocato.

Nel momento in cui mette piede a Yale (in un salto temporale che fa seguire alla versione di sé bambino quella di un giovane adolescente sul treno per il colloqui di ammissione), capisce che la sua vocazione è diversa da quella di sua madre e che il suo destino è nella scrittura. Nel suo percorso di formazione identitaria conosce anche una ragazza, Sidney (Briana Middleton) che, con la sua indisposizione alla stabilità sentimentale, gli spezzerà più volte il cuore, e starà sempre a suo zio Charlie rimettere insieme i pezzi, dimostrando e rimarcando il suo reale ruolo di figura paterna.

The Tender Bar

The Tender Bar è su carta una bella storia di formazione e di riscatto, ritratto del sogno americano di diventare qualcuno partendo dal nulla e che fa del cast il suo maggiore punto di forza (in particolar modo Ben Affleck che regge l’intero film). Il suo più grande difetto però sta nella totale assenza di sbalzi emotivi; la storia di J.R. riesce a rimanere (emotivamente) piatta anche quando mette in scena eventi come il tumore alla tiroide di sua madre (raccontato dalla fredda voce di un narratore esterno) e della corsa in ospedale di suo zio Charlie. Il film si limita ad essere visivamente bello, mantenendo le distanze con l’empatia dello spettatore, che si ritrova un protagonista bambino pronto per Yale senza passare per tutto ciò che occorre per arrivarci a quella meta, caratteristica che dovrebbe essere centrale in un film tratto da un romanzo di formazione. Dal college si passa in modo diretto alla laurea, e dalla laurea al suo primo lavoro al New York Times, in una modalità tanto diretta da sembrare quasi sbrigativa, soprattutto nella seconda metà del film. Anche il difficile rapporto con suo padre risulta completamente svuotato di quell’impianto emotivo che un evento tanto segnante meriterebbe, stessa sorte che ritroviamo nel rapporto con la ragazza, conosciuta troppo poco nell’arco del film per provare gioia/dolore a seguito della rottura. Il film si limita ad essere una catalogazione di eventi segnanti, in cui le tappe fondamentali vengono mostrate in successione risparmiandoci il percorso che intercorre tra queste. Alla fine della visione non proviamo alcun senso di riscatto nella storia del protagonista, né di speranza per noi stessi di ripercorrere le sue orme poiché quelle orme non le abbiamo viste.

The Tender Bar è un film che avrebbe potuto essere molto più di una bella cartolina, un’occasione mancata per George Clooney di affermarsi nel ruolo di regista. L’unica tender che rimane, al termine delle due ore di film, è quella dei Blur : “I’m waiting for that feeling, waiting for that feeling to come”.

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