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The Recruit – La Recensione della nuova serie targata Netflix

ATTENZIONE: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su The Recruit.

Lo scorso 16 dicembre, è uscita su Netflix The Recruit, nuova spy story che ha subito scalato le classifiche della piattaforma. Il progetto, annunciato nell’aprile del 2021, è stato creato e scritto da Alexi Hawley, già sceneggiatore di The Rookie, Castle e State of Affairs. Tra i registi che hanno diretto le otto puntate, della durata di poco meno di un’ora, spicca il nome di Doug Liman, già regista di The Bourne Identity, Mr. & Mrs. Smith, Fair Game, Edge of Tomorrow e Barry Seal.

The Recruit, la recluta, è Owen Hendricks, interpretato da Noah Centineo (The Fosters). Hendricks è un giovane avvocato da poco laureato che ha rifiutato prestigiosi studi legali di Washington DC per farsi assumere dalla CIA. Il suo ruolo all’interno della più famosa agenzia di intelligence non è quello di fare la spia quanto quello di proteggerla da se stessa. La CIA, infatti, è una intricata fabbrica di guai molti dei quali rischiano di scoppiare come bolle di sapone creando scandali e convocazioni in Senato.
Assunto da pochi giorni, Hendricks è l’ultima ruota del carro ed è, conseguentemente, bullizzato dai suoi colleghi più anziani che lo incastrano con un lavoro alquanto fastidioso: spulciare tra le lettere che la CIA riceve e individuare eventuali minacce per la sicurezza nazionale.
Detto fatto, Hendricks scopre che in Arizona una risorsa proveniente dalla Bielorussa è in prigione per omicidio e minaccia di rivelare inquietanti storie sull’Agenzia se non verrà liberata. Walter Nyland, interpretato da un elegantissimo Vondie Curtis-Hall (Chicago Hope), responsabile della divisione legale, incarica Hendricks di indagare e valutare la veridicità della minaccia.

Per il personaggio interpretato da Noah Centineo inizia un’avventura che lo porterà più volte a rischiare la vita. Dovrà fidarsi dei suoi nemici perché non potrà fidarsi dei suoi amici e, girando per il mondo, cercherà di sistemare le tessere di un puzzle più grande di lui con la convinzione di stare facendo del suo meglio per salvare la faccia all’agenzia, sua datrice di lavoro, tra intrighi internazionali e giochi politici non propriamente puliti.

The recruit
Owen Hendricks (Noah Centineo) 640×360

La nuova serie Netflix ha un inizio sfolgorante che mette subito in chiaro le cose: niente è come sembra. Soprattutto il giovane Hendricks che, controvoglia, si ritrova a dover lavorare sul campo, tra agenti operativi, forze speciali e mafia russa. Il neo assunto alla CIA, infatti, non ha intenzione di fare il grande salto e diventare una spia. Lui, semplicemente, vorrebbe fare il suo lavoro. E ci riesce pure, e anche bene, ricevendo le lodi del suo capo di divisione. Ma in un ambiente di spionaggio, si sa, non ci si può fidare di nessuno e si è spesso costretti a fare cose che non si vorrebbe perché obbligati dalla necessità di sopravvivere.

The Recruit è una piacevole sorpresa proprio per questo personaggio giovane e inesperto, affetto dal desiderio di compiacere la madre, che gli chiede di non fare la fine del padre, e il bisogno di emulare il padre, ex soldato morto in guerra.

Owen Hendricks non è un Jack Ryan, né un Jason Bourne. Non è un Jack Reacher né tanto meno James Bond. Owen Hendricks è davvero un avvocato al suo primo impiego che sente l’umana esigenza di fare bella figura coi suoi superiori mostrandosi zelante e ligio al dovere. Non ha un passato militare, come Jack Ryan. E non ha ricevuto un addestramento alla Jason Bourne che gli permette di sapere cosa fare sempre e ovunque. Non è un colosso incassatore alla Jack Reacher né tanto meno fornito di gadget alla James Bond. Può contare solo su se stesso, sulla sua intelligenza e sul suo discreto fascino mentre cercano di ucciderlo agenti doppiogiochisti, altri servizi segreti e scagnozzi della mafia.
Al tempo stesso il protagonista di questa spy story è così incredibilmente umano da commettere, in continuazione, una serie di errori e false valutazioni che lo portano a essere, suo malgrado, l’ingranaggio principale di una storia che si ingrossa puntata dopo puntata.

The Recruit
Noah Centineo, Colton Dunn e Aarti Mann 640×360

Accanto al personaggio interpretato da Noah Centineo ci sono un paio di coprotagonisti che rispecchiano certi cliché dello spionaggio televisivo e cinematografico. La cattiva, per esempio, interpretata da Laura Haddock (I Guardiani della Galassia I e II), è spigolosa come i suoi zigomi e glaciale come i suoi occhi. Fredda e calcolatrice, non si fa scrupoli a picchiare e uccidere con una ferocia disarmante chiunque intralci i suoi piani. O l’agente operativa che non si fa problemi a strappare unghie, interpreta da Angel Parker (Runaways), una dura incapace di andare oltre il suo mandato esecutivo cui non importa fare la figura della stupida. Entrambe le donne non hanno alcuno scrupolo nel cercare di far fuori Hendricks pur di ottenere risultati.

Di contro, invece, ci sono i coinquilini di Owen, Hannah e Terence, interpretati da Fivel Stewart (Atypical) e Daniel Quincy Annoh, gli unici a interessarsi alla salute del giovane avvocato, capaci di ritrovarsi a Ginevra, in mezzo all’omicidio di un agente della CIA e pronti a battagliare contro i loro stessi connazionali che li tengono rinchiusi dentro una stanza insonorizzata e protetta, al consolato americano.
Nel mezzo ci sono poi i colleghi avvocati di Hendricks: Violet e Lester, interpretati da Aarti Mann (Priya Koothrappali in The Big Bang Theory) e Colton Dunn (Garrett in Superstore), i quali sono sufficientemente ambigui nei confronti del loro collega e paranoici da renderli simpatici quando in realtà non lo sono per niente; e Amelia e Janus, interpretati da Kaylah Zander (IZombie) e Kristian Bruun, colleghi capaci e, a modo loro, persino leali che, con le loro stranezze e fissazioni, forniscono la linea comica della serie alleggerendo la trama, in maniera pulita, senza mai sbavare, e persino con un pizzico di sottile satira.

Laura Haddock 640×360

The Recruit è una serie capace di sorprendere anche il peggior critico del genere. Le aspettative, dopo aver visto il trailer, sono decisamente basse e l’opinione che ne viene fuori è che ci si trovi di fronte a qualcosa di costruito in maniera raffazzonata e senza il giusto spirito, uno di quei prodotti fatti per l’algoritmo, insomma. In realtà non è così, anzi. È una piacevolissima sorpresa che si guarda davvero volentieri, una puntata dietro l’altra. Perché ha sufficienti colpi di scena per portare avanti la trama che però non sono così eclatanti da risultare eccessivi; l’azione è ben dosata, cade al posto giusto nel momento giusto nel corso delle otto puntate ed è rapida e sufficientemente violenta da soddisfare gli appassionati del genere senza risultare eccessiva e stucchevole; l’ironia è ben calibrata in maniera che i personaggi che ne usufruiscono non risultino esagerati dando l’impressione di prendere tutto sotto gamba; la chimica tra i personaggi crea una bella amalgama e persino quelli che dello spionaggio non sanno e non c’entrano nulla, risultano credibili e piacevoli da vedere; le storie d’amore sono funzionali alla trama e creano sottotrame che si aprono e si chiudono senza lasciare strascichi; infine Owen Hendricks, che potrebbe dare l’impressione di avere la fortuna dalla sua parte, in realtà dimostra di essere un personaggio con un background difficile da digerire e da raccontare in giro, che si mostra disincantato ma che, alla fine, scopre su se stesso e il mondo che lo circonda molto più di quello che si sarebbe immaginato.

The Recruit non è certamente un capolavoro ma è un prodotto fresco e interessante, per certi versi persino innovativo, con un protagonista finalmente un po’ fuori dagli schemi, diverso, invincibile sì ma capace di dimostrarsi stanco e travolto dagli eventi. È piacevole da guardare e perfetto per questo periodo invernale: un bel regalo di Natale anticipato. Difficilmente vincerà dei premi ma si capisce fin da subito che non ha di queste pretese. Non è Homeland, il cui finale è un capolavoro, e nemmeno 24. E per fortuna: finalmente una serie che non vuole sembrare nulla di quanto già visto finora. Fin dalla prima puntata è chiaro che vuole appassionare quanto basta lo spettatore per obbligarlo a continuare la sua visione creando la giusta fidelizzazione. E il colpo di scena finale invoglia ad attendere la seconda stagione. Algoritmo di Netflix permettendo!