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The Handmaid’s Tale 2×09: la sottomissione come scelta

È la sottomissione, l’idea sconvolgente e semplice, mai espressa con tanta forza prima di allora, che il culmine della felicità umana consista nella sottomissione più assoluta.

Due mondi. Due realtà diverse. Due possibilità, o forse più. Infinite possibilità, sì. Infinite e potenziali. Destinate a rimanere irrimediabilmente precluse. Pensabili, improbabili, irrealizzabili. La scelta è libertà. Ma che accade quando si sceglie di essere schiavi? Quando si sceglie di mantenere fede a un ideale tramutatosi in incubo? Quando la scelta è la sottomissione?

Francia, 2022. La vittoria politica della Fratellanza Musulmana porta alla creazione di uno Stato para-islamico nel cuore dell’Europa. Le élite francesi si adeguano con piacere, tutto in nome del rassicurante, protettivo autoritarismo di chi non esige moralmente più alcun “fare”. No, non è l’avvio di questo nono appuntamento di The Handmaid’s Tale. Si tratta della trama essenziale di un romanzo di recente pubblicazione composto da uno degli scrittori più profondi del nostro tempo. Il titolo è “Sottomissione”, lo scrittore Michel Houellebecq.

Houellebecq provoca, stuzzica, risulta spesso e volentieri perfino reazionario. Così il protagonista di “Sottomissione”, come tanti protagonisti dei suoi romanzi, è una figura contorta, fragile, colta ma svuotata. François è l’emblema di un uomo a cui la morale ha chiesto troppo, un uomo che rinuncia alla sua libertà in nome di una pace senza più sensi di colpa.

In lui non possiamo non rivedere la straordinaria, pesantissima protagonista della 2×09 di The Handmaid’s Tale. La protagonista assoluta degli ultimi episodi.

No, non June. Non solo e non tanto, June. Serena. È lei che domina la scena, che restituisce una profondità assurda e meravigliosa a una scelta che non riusciamo a comprendere. Per tutta la prima stagione di lei avevamo nient’altro che un appellativo ripetuto ossessivamente: signora Waterford. Poi, il suo nome, il vero nome, pronunciato con malcelata sfrontatezza da June ed ecco il cambiamento. Ecco che in lei si apre uno squarcio. Un taglio profondo e irreversibile nella donna che è stata e che, ora, ha rinunciato a essere. Serena ha rinunciato e continua a rinunciare al suo ruolo di donna in nome di una sottomissione che dovrebbe portare felicità.The Handmaid's Tale

Quell’atto di sottomissione, quel suo farsi da parte già al momento della creazione di Gilead è un atto dovuto. La diretta conseguenza dell’idea che la muoveva. In nome della felicità, in nome della sopravvivenza della specie, ecco la donna che, volontariamente, si sottomette. Lo fa per quello in cui crede. Perché le rinunce, anche le più pesanti, sono necessarie. Ne è convinta. E la foga con cui si è battuta per questa idea di salvezza ha spinto molti, tanti, troppi a seguirla.

Non c’è spazio per la libertà in un mondo che muore e scivola di bruttura in bruttura. Così, l’alternativa, l’inconfessata, assurda, autodistruttiva alternativa è la sottomissione. I due mondi si scindono. Gilead sorge, la democrazia si allontana. Emigra più a nord, nella terra di una libertà diversa. Nel “vero Nord, forte e libero”. Una libertà alla deriva, una scissione che inizia e si sviluppa anche e soprattutto nell’interiorità di Serena. È in lei che la libertà si scontra con la sottomissione. In lei Gilead si afferma prima che in qualunque altro luogo mentre in un recesso sempre più nascosto della sua anima la libertà non smette di resistere.

Libertà e sottomissione. L’una e l’altra convivono come il Super-Io e l’Es della nostra mente.

La sottomissione, il Super-Io, controlla e domina l’Es, la libertà, dall’alto del suo autoritarismo. L’Es da parte sua non può essere rimosso, non può venire sconfitto. Nonostante i tentativi di rimozione l’Es è lì. A ricordarci che nel profondo di noi ciò che più desideriamo è nient’altro che la libertà. E siamo tormentati da questo tarlo, da questo inesauribile, inesprimibile slancio a voler essere. A voler “essere”.The Handmaid's Tale

Lo è anche Serena in The Handmaid’s Tale. Lo è contro la sua stessa volontà. Nelle pieghe appesantite del suo volto sta l’appena percettibile ma irreprimibile desiderio di libertà. Di rivoluzione. È tutto in un sussulto contrariato alla carezza del marito; nel tenero, incontrollato tremolio del labbro; nell’inconfessata e inconfessabile rabbia che prorompe da ogni suo sguardo infuocato.

Serena è, è stata e sarà la contraddizione di chi mette da parte qualcosa di sé in nome di un ideale. Un ideale distorto e potente, non più controllabile. Così il mondo di Gilead in The Handmaid’s Tale si afferma al grido di “sottomissione”. Ma la felicità, l’agognata, immaginata, ricercata felicità non c’è. E allora il dubbio si ridesta e l’anima emigra di nuovo volando lontano, a nord, là dove l’alternativa c’è e si chiama libertà.

Il viaggio tutto interiore di Serena è il riavvicinamento di un’anima a un desiderio che mai l’aveva abbandonata seppur soffocato sotto l’autoritarismo di un regime volutamente oppressivo.

Ma il viaggio, come ogni viaggio, porta con sé il peso della tentazione. Serena non può soltanto crogiolarsi nell’immagine della libertà senza rimanerne irrimediabilmente attratta. Eppure, da quella tentazione rimane indenne. Il barlume del cambiamento resta sedato sotto il peso della fedeltà a Gilead. La speranza brucia nel fuoco del focolare domestico quando ormai la mente ha trasmigrato nuovamente rituffandosi nell’autoritarismo della propria casa.The Handmaid's Tale

I nomi sui cartelloni, i nomi delle donne, così come le loro confessioni incise in lettere “esplosive” hanno irrimediabilmente precluso qualunque possibilità di riavvicinamento diplomatico. Lo hanno fatto in primo luogo nella mente di Serena consapevole che non c’è possibilità di sintesi, come aveva creduto nel precedente appuntamento. O libertà o sottomissione. Non puoi essere donna di Gilead e donna del mondo. Serena ora lo sa. E la scelta che compie è quella di rinunciare a se stessa.

A volte, la sottomissione è l’alternativa più semplice. Non richiede la forza di prendere in mano la propria vita nell’impegno e nella responsabilità di “fare”, di agire. Perché quando si è liberi si rischia di scoprire di non essere in grado di farsi interpreti di quella libertà. Proprio come quei canadesi che si succedono in più frame in questo episodio di The Handmaid’s Tale incollati allo schermo del proprio smartphone.

Vittime di una libertà a cui, anch’essi, inconsapevolmente rinunciano facendosi schiavi della tecnologia.

E così pure nelle immagini della povertà dilagante ai bordi delle strade del Grande Nord. In quelle contraddizioni, insomma, che la libertà produce. E che Serena nella sua lotta ideologica ha desiderato annullare. A costo della libertà stessa.

Ma dov’è, dove si annida la vera felicità? Nella sottomissione che ci libera da responsabilità o nella libertà che ci chiede di prendere in mano la nostra vita? Perché si può essere schiavi anche nella libertà. E molto spesso questa scelta alla sottomissione la compiamo volontariamente. Perché, in fondo, come Serena anche noi abbiamo paura di muoverci. E finiamo per sottometterci.

La consapevolezza è possibile solo attraverso il cambiamento; il cambiamento è possibile solo attraverso il movimento.
Aldous Huxley

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