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The Gilded Age – La Recensione della nuova Downton Abbey che di Downton Abbey ha ben poco

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su The Gilded Age

Quando Julian Fellowes mette le mani su un period drama, succede sempre qualcosa di speciale. Il creatore di Downton Abbey, serie che gli è valsa un Emmy nel 2011, è tornato a cimentarsi nel suo genere preferito con un dramma storico sulla New York di fine Ottocento, una città sfavillante e piena di opportunità, ma anche dilaniata da innumerevoli contraddizioni. L’ultimo lavoro di Fellowes come sceneggiatore era stato The English Game, una miniserie realizzata con Netflix che ha seguito di poco la realizzazione di Belgravia, altra serie tv in costume ambientata nella Londra del XIX secolo. Con The Gilded Age, il maestro del period drama vira però su scenari diversi, sebbene l’impostazione del suo lavoro sia pressoché la stessa.

La trama di questa serie in nove episodi – ieri sono usciti gli ultimi due su Sky – ruota attorno alle vicende che si svolgono tra la Sessantunesima Strada e la 5th Avenue di New York: da una parte c’è la dimora di Agnes van Rhijn, una nobildonna che vive con sua sorella Ada nello sfarzo ereditato dalla famiglia, dall’altra il palazzo dei Russell, rappresentanti della nuova borghesia che sta emergendo grazie al business delle ferrovie. È subito una sfida tra il vecchio e il nuovo, un vecchio ancora beatamente incrostato in etichette e convenzioni sociali e un nuovo invece straripante, debordante, pronto a contaminare la società con la propria smisurata ambizione. Nel mezzo, c’è la giovane Marian Brook, interpretata da Louisa Jacobson – non vi inganni il cognome, stiamo parlando della figlia di Meryl Streep -, che rappresenta un po’ l’anello di congiunzione tra vecchio e nuovo. La giovane ragazza, rimasta orfana di padre e senza un dollaro, si trasferisce dalla Pennsylvania a New York, bussando alla porta delle due esigentissime zie. Ad accompagnarla c’è Miss Peggy Scott (Denée Benton), giovane donna afro-americana che verrà assunta da Mrs. van Rhijn e diverrà a suo modo parte della famiglia.

the gilded age

The Gilded Age prova a ripetere un po’ il canovaccio di Downton Abbey: ci sono i nobili al primo piano impegnati a mantener alto il proprio buon nome e c’è la servitù del pianoterra che invece si occupa di oliare gli ingranaggi della sfarzosa casa.

Il tutto sullo sfondo di una New York appena uscita dalla Guerra civile e tutta proiettata verso un luminoso futuro. Si inizia a parlare per la prima volta di elettricità e illuminazione delle case, con i primi esperimenti di Edison – resi peraltro in maniera strabiliante sullo schermo -, si costruiscono le grandi ferrovie che metteranno in collegamento l’America e la nuova borghesia si fa largo nella società cercando di soppiantare le logiche desuete del vecchio mondo e della vecchia società. La fine del XIX secolo è un passaggio di grandi trasformazioni, soprattutto dal punto di vista sociale. Il cambiamento procede a ritmo sostenuto, è inarrestabile. Ma come tutti i cambiamenti, ha bisogno però del suo tempo per essere metabolizzato. L’aristocrazia newyorchese fatica a dare una patente di legittimità ai nuovi ricchi che avanzano. Le sorelle van Rhijn – Agnes è quella più ancorata alle vecchie tradizioni, Ada quella più flessibile – si arroccano nel loro superbo snobismo, rifiutandosi di inserire nell’alta società Mrs Russell e suo marito George.

I Russell sono i nuovi arrampicatori sociali, per loro New York rappresenta una scala da salire fino all’ultimo gradino per meritarsi un posto a sedere al piano più alto.

Mr Russell (Morgan Spector) è il rappresentante più spregiudicato di quella middle class che non ha scrupoli, una borghesia affaristica che fiuta il profitto e ci si fionda addosso con slancio famelico. La sua famiglia non ha ereditato la fortuna che si ritrova tra le mani, l’ha conquistata e costruita un pezzetto alla volta, partendo da una situazione decisamente più svantaggiata rispetto ai concorrenti. I Russell sono i nuovi ricchi, la nuova nobiltà che si costruisce da sé, avvertiti come scorie radioattive dalla vecchia aristocrazia già consolidata, perché costituiscono la più temibile delle minacce per le loro dorate – e fino a quel momento intoccabili – posizioni. Ogni epoca ha le proprie rivoluzioni e The Gilded Age ci mostra i grandi cambiamenti sociali che accompagneranno l’arrivo del nuovo secolo.

La paura del cambiamento è il grande tema di questa serie. Le trasformazioni, gli stravolgimenti, persino le alterazioni più silenziose dello status quo producono disorientamento e sconcerto. I punti fermi saltano, le certezze vacillano. E in mezzo al grande caos del cambiamento, c’è chi riesce a mantenersi ritto sulla barca, chi invece traballa e rischia di affondare. È l’inizio del grande sogno americano, una luccicante opportunità pronta a produrre nuove disuguaglianze, nuovi ricchi e nuovi poveri. Dietro la patina dorata apparecchiata da Julian Fellowes, si celano una miriade di contrasti, di distorsioni, di ingiustizie.

The Gilded Age ammanta con colori sfarzosi e fregi sfavillanti il lato più buio di una società che, cambiando, lascia inevitabilmente indietro qualcuno.

the gilded age

La camera è sempre puntata al centro della scena – rumorosa, confusionaria, colorata -, non indugia mai troppo negli angoli, negli anfratti più desolati della casa. Guarda al luccichio abbagliante di una società tutta improntata sull’apparenza e lascia solo percepire le innumerevoli contraddizioni che quello sfolgorio produce nella realtà. Fellowes è il grande aedo della nobiltà in costume, un architetto di storie e di intrecci che si perdono tra convenzioni sociali, etichette, gesti di cortesia, schemi ben consolidati. È un amante delle superfici, le sorvola con gusto impeccabile e il tocco del veterano del genere. Il racconto non si inabissa mai nelle profondità dei drammi umani, non dà l’idea di una verticalità che possa dare le vertigini. Resta sempre sullo stesso livello, plana sullo strato esteriore delle cose. Lascia ammirare le facciate, dando allo spettatore la possibilità di scorgere o meno qualcos’altro dell’interno.

Il paragone con Downton Abbey è ingiusto e forse fuorviante. The Gilded Age non ci arriva nemmeno vicino, ma dovrà pur scrollarsi di dosso l’accostamento per poter essere realmente apprezzata. Nella scenografia, nei costumi, nelle ambientazioni, nella fotografia è tutto naturalmente perfetto, nel senso che dallo schermo traspare una naturalezza della scena che solo grandi firme come Fellowes sanno restituire appieno. La storia è forse un po’ debole in alcuni tratti, non particolarmente incisiva in altri, ma i punti di riferimento del grande dramma storico corale ci sono tutti. Dopo i primi nove episodi – disponibili su Sky e NOW – non ci resta che aspettare la seconda stagione di The Gilded Age, che è già stata confermata dalla produzione.

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