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Teenage Bounty Hunters – Un’altra americanata di cui avevamo bisogno

Teenage Bounty Hunters è uno di quei titoli che appaiono su Netflix all’improvviso, ma soprattutto senza nessun preavviso né pubblicità. Uno di quelli che – forse già a causa del nome – non ti entusiasmano più di tanto, sopratutto quando i tuoi giorni da teenager sono terminati da un po’.

Ma succede, sempre più spesso, che la noia delle interminabili e bollenti giornate estive cerchi di estinguersi lasciando che l’attenzione venga catturata dai titoli più improbabili. A far da incentivo a questo processo c’è la questione delle serie mainstream che in questo periodo scarseggiano o che abbiamo già consumato avidamente e perciò ci lasciano addosso un senso di insoddisfazione che deve essere colmato dall’inizio di un’altra serie tv.

Durante un’afosa serata di agosto, stanca per una giornata al mare e allergica a qualunque evento sociale – soprattutto a quelli che offrono l’ascolto in loop di tormentoni estivi a cui preferiresti di gran lunga l’espulsione di un calcolo renale come Jerusalema, Karaoke e Non mi basta più – mi sono ritrovata a sfogliare annoiata il catalogo di Netflix con fare scocciato e un po’ robotico. A un certo punto ecco davanti a me due titoli, uno meno invitante dell’altro: Teenage Bounty Hunters e Get Even. Li ho osservati a lungo (che per me corrisponde a un intero minuto) e alla fine, anche solo per le parole Bounty e Hunters che mi ricordano Maze di Lucifer (qui la recensione della 5×01) che amo alla follia, ho deciso di guardare quest’ultima.

Teenage Bounty Hunters

Devo dire che se da una parte l’ho trovata incredibilmente scontata e prevedibile, dall’altra l’ho adorata. L’ho adorata principalmente per i suoi toni canzonatori. L’ho adorata perché disegna un confine sottile tra fanatismo e blasfemia, confine che – più spesso di quanto si creda – viene oltrepassato con espedienti brillanti e ingegnosi.

Ma che c’entra la questione religiosa con una serie che parla di cacciatrici di taglie adolescenti? Beh, c’entra moltissimo. La storia di Teenage Bounty Hunters è questa: Sterling e Blair Wesley sono due sorelle gemelle che provengono da una ricca famiglia repubblicana e dunque fortemente cristiana. Frequentano una scuola cattolica e, per un’assurda coincidenza, rimangono coinvolte in un incidente stradale in cui danneggiano il pick-up del padre che avevano preso di nascosto. Ma non è tutto, durante l’impatto si ritrovano a fermare e disarmare una persona ricercata dalla polizia e fanno la conoscenza di Bowser Simmons, un cacciatore di taglie che riesce a catturare l’obiettivo grazie all’aiuto delle ragazze e decide di dividere il compenso con loro per ringraziarle.

Consapevoli di dover riparare l’auto del padre prima che quest’ultimo se ne accorga e consapevoli di non avere abbastanza soldi per farlo, le due sorelle tornano da Bowser proponendosi come sue stagiste con l’intento di imparare il mestiere e con la loro parte di taglia riparare il danno commesso.

Teenage Bounty Hunters

La storia, come potrete aver intuito dalla trama, è l’ennesima americanata che più americana non si può. Perciò cosa c’è di bello e interessante, ma soprattutto cosa c’è di innovativo in questa serie? Innanzitutto un linguaggio e una scrittura intelligenti, irriverenti, furbi se proprio vogliamo azzardare.

Teenage Bounty Hunters si serve di una sottilissima ironia per delineare, denunciare e allo stesso tempo disegnare il profilo di un tipo di americano ben preciso: il repubblicano, il folle che vota per Donald Trump praticamente. Ne denuncia i difetti, le contraddizioni e le abitudini. Allo stesso tempo tratta in modo molto irriverente e divertente la questione politica. Tocca piano quella razziale, ma senza mai risultare troppo forzata. Ti fa la morale, ma non te ne accorgi nemmeno. Gioca sulle assurdità dei ricchi e denuncia i loro tentativi di mostrarsi sempre perfetti, nonostante nascondano dei grandi scheletri nei loro lussuosissimi armadi placcati in oro.

A questa sottile ironia e irriverenza, si aggiunge una scrittura estremamente realistica del mondo adolescenziale. L’adolescenza – per citare la comica Michela Giraud – quella parentesi di disagio tra i baffi e la tuta pezzata della Diadora, è rappresentata nel modo più onesto e sincero possibile. Gli adolescenti, razza di idioti che inevitabilmente siamo stati tutti, non vengono risparmiati dei loro difetti e della loro superficialità e vengono raccontati senza filtri o censure tramite una scrittura incredibilmente accurata e dialoghi stupidi e perciò realistici. Ho amato quelli tra i ragazzi, ma soprattutto quelli tra le due sorelle perché erano senza senso la maggior parte del tempo. Blateravano e ti prendevano ripetutamente a schiaffi in faccia con le stronzate colossali senza un minimo di spessore e cavolo se erano realistici.

Più le ascoltavo tuffarsi di testa in una conversazione seriosa sul significato subliminale del pomiciare con gli occhi aperti e più mi ritrovavo a pensare a quanto quei dialoghi fossero veri. Reali. Gli stessi che a quell’età facevo io con le mia amiche e che all’epoca ci sembravano questioni di fondamentale importanza. Roba che ci faceva intrippare più di: è nato prima l’uovo o la gallina? Seriamente, potevamo spendere un’intera giornata a sfoltirci le sopracciglia l’una con l’altra mentre esaltavamo i pregi del nostro fidanzatino dei tempi o ci disperavamo finendo per replicare il pianto greco perché il tizio che ci piaceva e che giuravamo sarebbe stato l’unico che avremmo potuto mai amare, non sapeva nemmeno il nostro nome.

I dialoghi tra le due sorelle sono così realistici che ti sembra di stare al bar con le amiche e di origliare due ragazzine – a qualche tavolo di distanza – che si lamentano di quanto è dura la vita del liceo o che si danno consigli sessuali assolutamente inquietanti o sbagliati anatomicamente e che ridacchiano ogni volta che una pronuncia la parola orgasmo e, inevitabilmente, ti ritrovi a seguire quella stupida conversazione piuttosto che il racconto disperato della tua amica che si lamenta di aver perso il lavoro, di non riuscire ad arrivare a fine mese e per finire di aver trovato il suo ragazzo a letto con la sua ex.

Le loro chiacchiere vanno avanti indipendentemente da cosa stia succedendo nella serie. Le loro chiacchiere si protraggono anche in degli spezzoni fantascientifici in cui le gemelle mostrano il loro superpotere, quello di riuscire a comunicare senza effettivamente parlarsi. Una specie di telepatia riservata ai gemelli. Un espediente deficiente, ma allo stesso tempo divertente e – secondo tutte le mie amiche gemelle – con un fondamento di verità.

Sempre rimanendo in tema chiacchiere adolescenziali e rimanendo sulla linea sottile tra blasfemia e fanatismo, una delle cose che più mi sono piaciute dell’intera serie è la scena d’apertura, quella in cui ci viene presentata Sterling. Sterling che è il personaggio che meno mi entusiasma della serie, ma che ha la presentazione migliore. La vediamo intenta a scambiarsi effusioni varie col fidanzato che continua ad inserire nella conversazione discorsi sulla morale e sulla religione e Sterling riesce a convincerlo ad avere un rapporto con lei sfruttando frasi della Bibbia a suo favore, frasi ovviamente decontestualizzate. Cioè un genio del male nel corpo di un’adolescente arrapata ovvero semplicemente un’adolescente arrapata.

Teenage Bounty Hunters

Un’altra cosa bella di questa serie è il rapporto che le due ragazze instaurano con Bowser, il cacciatore di taglie, che le assume a lavorare da lui come stagiste e che diventa una sorta di confidente, parente, una specie di zio apparentemente burbero e scontroso che in realtà è un cuore di panna. Spero vivamente che ci sia una seconda stagione di questa serie soprattutto per vedere come il loro rapporto si evolverà, considerati gli eventi del finale di stagione.

Ora, ecco qualcosa che non mi è per niente piaciuto. Sì, è stato interessante scoprire che la madre perfetta delle ragazze non fosse poi così tanto perfetta. Ma, ripeto, Teenage Bounty Hunters è la tipica americanata quindi intuire la storyline di quest’ultima non è stato per niente difficile. Anzi, già nel secondo o terzo episodio avrei potuto dirvi per filo e per segno cosa sarebbe successo e mi avreste battuto il cinque perché c’avrei preso alla grande.

Perciò io voglio sapere – seriamente – qual è il problema degli americani con i gemelli. Se in una serie c’è una coppia di gemelli, prima o poi ne spunterà un’altra all’improvviso. Se in una serie c’è una coppia di gemelli, uno dei due deve per forza essere malvagio. Perché? È una regola del mondo dell’intrattenimento? È una regola di sceneggiatura? E se sì, su quale libro è scritta? Era l’undicesimo comandamento ricevuto da Mosè, inciso più leggermente sulla tavola di pietra perché aveva cominciato ad avvertire il dolore al polso dopo tutto quel incidere? Vi prego, ho bisogno di saperlo.

Posto questo quesito esistenziale, vi parlerò di un’altra cosa che non mi è piaciuta e che – francamente – non ho capito.

Spoiler!Allert

Nel finale scopriamo che una delle gemelle, Sterling, è in realtà figlia della gemella cattiva di quella che – fino a qualche istante prima – credevamo fosse sua madre. Innanzitutto era super scontato e anche qui mi chiedo perché abbiano sentito la necessità di inserire questo inutile colpo di scena, nonché altro cliché fondante delle americanate più deficienti che esistano. E poi mi viene spontaneo chiedermi: come fanno Sterling e Blair a possedere il potere delle gemelle se non sono realmente gemelle? Non ha senso. Se qualcuno di voi ha visto questa serie, vi prego di espormi le vostre teorie in merito perché sono molto confusa al riguardo.

In conclusione, Teenage Bounty Hunters è certamente un’americanata assurda e non rivoluzionerà il mondo delle serie tv. Ma è scritta davvero bene, è divertente, è esilarante, è irriverente e sicuramente vi farà passare qualche ora in totale leggerezza. E poi sempre meglio guardare questa serie che finire a ballare un reggae in spiaggia, no?

P.S. Blair Wesley è il migliore personaggio della serie.

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