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Run Sweetheart Run: tutto bene, ma solo fino a un certo punto – La Recensione del nuovo film di Amazon Prime Video

Run Sweetheart Run è ufficialmente arrivato su Amazon Prime Video dopo ben due anni di attesa. La produzione della pellicola ha infatti rispecchiato l’anima del film cominciando bene e continuando male. Nel 2018 viene infatti ufficializzato il progetto, ma nel 2020 – a causa della pandemia – tutto si ferma e si arresta, compresa la sua distribuzione. All’epoca non potevamo saperlo, ma le cose avrebbero preso questa piega anche all’interno della pellicola, come abbiamo già anticipato. Run Sweetheart Run si presenta infatti in modo quasi impeccabile. Stiamo parlando di un film horror che sembrava possedere qualcosa di più rispetto ad altri prodotti spaventosi degli ultimi anni. Identità, metafora, obiettivi narrativi: tutto questo sembrava una promessa, e per certi versi il suo sviluppo non ha ribaltato questi tre ingredienti riducendoli a non essere niente, ma li ha di certo messi in secondo piano annullandoli nel loro sviluppo. Nel dettaglio, è come se il film fosse diviso in tre diverse parti: la prima viene promossa a pieni voti, la seconda dà i primi segnali di cedimento mentre la terza cede del tutto. Quel che più infastidisce di Run Sweetheart Run è che avrebbe potuto davvero essere un film horror come non se ne vedevano da tempo, ma gli errori commessi durante lo sviluppo e il finale gli impediscono totalmente di ambire a tale posizione.

Shana Feste – dopo diversi lavori drammatici – si mette qui alla prova come regista riuscendo a convincere soltanto nella prima parte. Durante la seconda e la terza sembra aver abbandonato le riprese e aver detto alla troupe <<Fate un po’ come vi pare>> e così hanno fatto.

Run Sweetheart Run (640×360)

Cherie è una madre single che cerca di farcela da sola in tutti i modi. Studentessa di giurisprudenza, lavora per un importante avvocato che le chiede di andare a cena con un suo cliente, Ethan. Cherie non deve assolutamente far nulla, solo presenziare alla cena e far fare una buona impressione alla società per cui lavora. Non è richiesto nulla, se non di andar lì. La foto che vede la incoraggia ad accettare. Ethan ha lo sguardo pulito, affascinante, e il suo avvocato lo conosce. Nulla fa pensare al peggio, ma durante la cena le cose non vanno come Cherie aveva previsto. Dopo esser stati al ristorante, i due passano una piacevole serata insieme che fa pensare alla protagonista di potersi spingere oltre e di poter passare la notte con lui. I due si recano a casa, ma una volta giunti alla porta Ethan rompe la quarta parete volgendo lo sguardo direttamente al telespettatore. Con i suoi occhi pieni di malizia, rabbia, repressione, suggerisce che quel che sta per accadere non ci piacerà, e poi chiude la porta. Non assistiamo a quel che accade, sentiamo soltanto le urla. Poi capiamo: Cherie va via dalla casa dell’uomo completamente sporca di sangue. Ha subito un’aggressione, e adesso cerca di scappare.

Durante la sua fuga – che durerà quasi l’intera durata della pellicola – Cherie si approccia a diversi personaggi. Alcuni l’aiuteranno, altri saranno diffidenti. Dopo aver confessato alla polizia quanto successo, è lei l’animale pericoloso da rinchiudere in una cella, non Ethan. La domanda che le viene posta dai poliziotti è se ha bevuto, non come sta. Non gli interessa Cherie. Lei – per loro – non esiste, non è una vittima, è la complice del suo stesso male. Run Sweetheart Run racconta questa drammatica condizione fin dalle sue prime scene dimostrando una gravissima malformazione nella società. La racconta anche quando Ethan decide di non farci assistere all’aggressione. Questa scelta simboleggia infatti la convinzione di chi aggredisce di non dover mai pagar le conseguenze. Ci guarda, ci sfida. Sa che abbiamo capito, ma sa che non siamo dei testimoni oculari e che dunque la farà franca di nuovo. Non subirà alcuna conseguenza, andrà tutto bene per lui.

Ma Ethan non è l’unico villain in questa storia. Insieme a lui c’è il suo capo (colui che gli procura gli appuntamenti), il ragazzo in autobus che ha molestato Cherie, e anche l’ex fidanzato della protagonista. Tutti e tre, in un modo o nell’altro, sono i cattivi di questa storia nello stesso modo in cui lo è Ethan. Il loro ruolo si discosta nelle azioni, ma non in ciò che hanno dentro. Cherie per loro è una merce di scambio, un bambolotto usa e getta che utilizzi fino a quando ti serve. Questa prima parte fila dunque molto liscia per Run Sweetheart Run riuscendo sia a parlare di una tematica sociale in cui molti telespettatori possono rivedersi sia a spaventare quanto basta. Però poi qualcosa comincia a perdersi, e lo fa proprio quando capiamo che il film che abbiamo di fronte è un horror soprannaturale fatto di tanti, troppi, ingredienti che alla fine lo fanno totalmente discostare dalla sua prima parte. Lo allontanano così tanto da sembrare un film diverso.

Run Sweetheart Run (640×360)

Ethan sembra infatti non essere un comune mortale, ma una sorta di vampiro. Cherie lotta con qualcuno che non rispecchia la tematica presentata durante la prima parte della storia, ma soltanto un mostro che vuole farla fuori. Più si va avanti, più Run Sweetheart Run cambia genere diventando un horror quasi di fantascienza in cui l’eroina cerca di distruggere il villain. La parte interessante che restituiva una forte identità viene così barattata con la voglia di non darsi alcun limite e, semplicemente, dare a tutti i costi un colpo di scena. Sapevamo già tutto d’altronde, quel che ci mancava era l’effetto sorpresa e Run Sweetheart Run ha insistito perché questo non mancasse assolutamente, mandando così tutto il lavoro in aria.

A un certo punto la pellicola è diventata quasi un film della Marvel, e non in modo positivo. Era soltanto lotte e azione, inseguimenti e spargimenti di sangue. Non era questo ciò che aveva promesso durante la sua prima convincente parte, e non era questo ciò che volevamo in questo caso. Il suo così radicale cambio di registro ha disorientato l’intera parte restante, condizionandola in negativo. Probabilmente sarebbe bastato osare un po’ di meno e, semplicemente, lasciare che la storia andasse avanti in modo naturale come nella prima parte.

Run Sweetheart Run rimarrà sempre un film a metà, una pellicola che ha portato avanti una terribile piaga sociale soltanto fino a un certo punto, dimenticandosene poi totalmente. In quel momento eravamo spaventati due volte: una per la tensione dell’horror, e la seconda per la realtà che stava raccontando. Ma quest’ultima era di certo quella che ci terrorizzava più di qualsiasi vampiro esistente, e questo Shana Feste avrebbe dovuto ricordarselo.

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