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Non c’è bisogno di presentazioni  1×06 – Howard Stern, l’Hulk della Radio

“Sono molto più divertente di Obama!”

Si presenta così l’ospite dell’ultima puntata di Non c’è bisogno di presentazioni e, francamente, si fatica a dargli torto. Tuttavia, prima di introdurlo e di parlare dell’episodio in sé, sarebbe giusto spendere due parole per lo show che a malincuore ci apprestiamo a salutare. Cerchiamo a caldo di tirare le somme su cosa sia stato Non c’è bisogno di presentazioni e, più in generale, di stabilire se il ritorno sulle scene di Letterman sia stato all’altezza delle aspettative.

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Mettiamo subito le cose in chiaro: David Letterman è e resterà sempre un’istituzione della televisione americana e mondiale. La sua scelta di tornare in pista dopo il suo ritiro dalle scene, datato 2015, ha rallegrato molta gente, lasciandone perplessa altrettanta. Ci vuole fegato a rimettersi in gioco quando non si ha più nulla da dimostrare. Il rischio di apparire patetico come il vecchio leone che non ci sta ad accettare l’ineluttabilità del tempo rifiutandosi di imboccare il proprio viale del tramonto era quindi più che mai elevato.

Ma Letterman, a 71 anni suonati, aveva un motivo per accettare l’offerta di Netflix (una delle tante che sono arrivate al suo tavolo). Un motivo a lungo tenuto nascosto. Tra il serio e il faceto infatti, nel corso delle puntate, ce l’ha rivelato.

Letterman non ha lasciato di sua iniziativa il proprio show, è stato accompagnato alla porta.

Quello che sembrava essere cioè un addio consensuale al Late Show e alla TV di stato, si è trattato in realtà di una decisione della CBS. Anche se ad oggi non esistono conferme ufficiali, i suoi continui riferimenti nemmeno troppo velati (“Quando sono stato licenziato…” ) nel corso delle puntate sembrano lasciare pochi dubbi a riguardo.

Rimboccatosi le maniche e accettata la nuova sfida con tanta – immaginiamo – voglia di rivalsa, Dave ha scelto di fare ciò che sa fare meglio: chiacchierare con una celebrità di fronte a un pubblico e una telecamera.

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Il solo fatto di non essersi tagliato il barbone hipster e di non essersi rimesso in ghingheri sembrava un proclama che potremmo così riassumere:

“Hey, sono David Letterman, questo è il mio show e posso fare quello che mi pare”.

La libertà concessagli dalla grande N è stata pressappoco totale, a fronte anche di un cachet da record. In questi mesi Non c’è bisogno di presentazioni ci ha intrattenuto nei modi più disparati. Dave ha fatto coincidere il suo grande rientro con una vera e propria bomba: un’intervista di quasi un’ora all’ex Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, in un momento storico politicamente grigio per l’America. È riuscito a far suscitare interesse intorno a uno show completamente diverso e meno sfarzoso dal Late Show, e tutto solo grazie al suo buon nome come garanzia di qualità. Più che gli ospiti, la gente era curiosa di rivedere Letterman in azione.

Non c’è bisogno di presentazioni è un talk show intimo, minimalista, volutamente ispirato al vecchio modo di pensare e fare la televisione. Il fatto di proporre un prodotto del genere su una piattaforma streaming, con episodi a cadenza mensile, è stato un esperimento inedito e interessante e il risultato finale si può dire che sia più che apprezzabile. Non sappiamo se e quando Non c’è bisogno di presentazioni tornerà, quello che possiamo dire è che è stato un appuntamento sempre atteso e gradito, pur avendo avuto al suo interno ospiti di genere e caratura totalmente differenti.

Dopo esserci dilungati su un dovuto bilancio dello show, torniamo al suo finale di stagione. L’ospite della puntata è lo speaker più famoso d’America, Howard Stern.

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Se il nome non vi dice nulla, vi basti sapere che Stern è da oltre trentanni il conduttore radiofonico più celebrato degli Stati Uniti. Il suo stile provocatorio e senza peli sulla lingua, i suoi battibecchi telefonici con celebrità o con semplici radio ascoltatori hanno fatto segnare indici di ascolto e di popolarità inimmaginabili per il mezzo. Per farvi un’idea del personaggio, il nostro Giuseppe Cruciani ha più volte detto di essersi ispirato a Stern per il suo celebre programma su Radio 24, La Zanzara. In effetti il format del suo show ricalca quasi pedissequamente quello del collega statunitense.

Come avrete sicuramente intuito, Howard Stern è un ospite tutt’altro che diplomatico e di poche parole, come poteva essere ad esempio Malala. La 1×06 si rivela così un gran finale su tutta la linea, risultando a pieno titolo la puntata più divertente e con più ritmo di tutto Non c’è bisogno di presentazioni. Arrivato con una barba finta e incitando il pubblico a votare “barba sì o barba no” per convincere Dave a sbarazzarsene, Stern come di consueto si dimostra un fiume in piena.

Battute, aneddoti, dissacrante satira su Clooney e i precedenti ospiti. Dopo pochi minuti si intuisce che è questo il tipo di ospite più adeguato al format di Non c’è bisogno di presentazioni.

Stern svolazza a ruota libera da un tema all’altro, dal sesso alla famiglia, dalla psicoterapia alla sua infanzia difficile. Letterman fatica non poco a seguire la classica scaletta in cui l’ospite inizia a rompere il ghiaccio raccontando le proprie origini. Nessuno spazio questa volta viene rivolto all’attenzione verso il sociale e di conseguenza non abbiamo nessun collegamento in esterna durante l’intervista. Solo nel finale potremo apprezzare brevemente degli straordinari e maestosi paesaggi dello Utah, con un Dave in formato cowboy a cavallo. Il motivo è il solito Trump, reo di voler contaminare l’eccezionale bellezza naturale di questi posti avendo avallato la possibilità di costruirci sopra.

È interessante a tal proposito il pensiero di Stern sull’attuale Presidente, protagonista negli anni di numerose interviste nel suo programma radiofonico. Nonostante si dichiari ancora amico di Big Donald, l’ex Fartman prende le distanze dalle sue idee politiche. A dimostrazione che non per forza si debba appoggiare una persona cara prescindendo dalla bontà dei suoi ragionamenti.

Il momento forse più interessante dell’intera intervista è legato all’aneddoto che lega i trascorsi difficili tra Stern e Letterman. Lo speaker in principio attaccò duramente Dave nel suo programma, confrontando impietosamente i suoi indici di ascolto con il suo rivale storico, Jay Leno. I due ebbero insomma un inizio turbolento ma, dopo essersi conosciuti meglio, seppellirono l’ascia di guerra, arricchendo i propri programmi confrontandosi e prendendo spunto l’uno dall’altro. Sono tante le analogie lavorative e i modus operandi tra questi due giganti della conduzione, che nel finale ci ricordano quanto sia vero il messaggio con cui abbiamo aperto la prima recensione di Non c’è bisogno di presentazioni:

Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare.

Entrambi sono stati accusati negli ultimi anni di essersi fin troppo ammorbiditi con l’età. Dopo trent’anni di carriera sul groppone, per molti sono passati dallo status di truci provocatori a quello di bonari rammolliti.

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A nostro modo di vedere non è da accogliere in senso totalmente dispregiativo il detto che si nasce incendiari e si muore pompieri. Semplicemente nella vita si cambia, si matura e si cresce. Vale per tutti e ovviamente vale anche per il nostro Dave. Non c’è bisogno di presentazioni non è e non sarà mai il Late Show. Non avrà quell’energia e quella freschezza, ma non per questo bisogna fargliene una colpa. È un talk show, è qualcosa di diverso, così come è diverso lo stesso Letterman da quello di due anni fa, non solo per la barba.

Stavolta tocca a noi dirgli Thank you and goodnight, sperando che sia solo un arrivederci piuttosto che un addio.

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