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Il Principe di Roma – La Recensione del film con Marco Giallini

Dopo aver fatto il proprio esordio in sala nel finale del 2022, Il principe di Roma, film diretto da Edoardo Falcone e interpretato da Marco Giallini, è arrivato anche su Sky, entrando così nelle case degli spettatori. Si tratta di una favola liberamente ispirata al celebre Canto di Natale di Charles Dickens, calata in una Roma di metà Ottocento che pare quasi sospesa nel tempo, se non fosse per alcuni riferimenti storici e politici decisamente espliciti. La storia narrata è quella di Bartolomeo, un signorotto che sogna di diventare nobile dopo essersi arricchito con molta furbizia e insieme al principe Accoramboni elabora un piano per acquisire il titolo tramite matrimonio, ma le visite di tre fantasmi, che rappresentano il chiaro riferimento a Canto di Natale, stravolgono la vita dell’aspirante principe.

A primo impatto domina chiaramente il parallelismo con la straordinaria opera di Dickens, di cui parleremo apertamente più avanti, ma ne Il principe di Roma c’è anche molto altro. Tramite la storia di Bartolomeo, che è quella di un uomo egoista e materialista, che per riscattare un’infanzia difficile tenta di perseguire i propri obiettivi ad ogni costo, vengono disseminati qua e là anche spunti di critica socio-politica che paiono magari un po’ sfumati, ma sono ben presenti, e c’è una ricostruzione storica vaga ma interessante, che come vedremo arricchisce parecchio la struttura del racconto.

Tornando a quei nodi socio-politici presenti nel film, la figura di Eugenio, il rivoluzionario sognatore, è esemplare in tal senso, ma lo è anche quella di Beatrice Cenci, storica nobildonna condannata per avere ucciso il padre violento e divenuta simbolo della ribellione contro la società patriarcale. In generale, nella storia di Meo viene dipinto quel divario tra classe dirigente e popolo che resta un tema molto in voga anche oggi e la cui trattazione aiuta moltissimo a contestualizzare Il principe di Roma anche ai giorni nostri, cogliendo alla grande la metafora ideata da Falcone. Questi rimandi, sfumati ma evidenti, s’intersecano poi alla prestigiosa cornice mutuata da Dickens, che com’è naturale orienta in maniera netta la pellicola.

Marco Giallini e Denise Tantucci (640×340)

Il principe di Roma e Canto di Natale

Passiamo ora, dunque, a quello che è in realtà il tema centrale del film, sia a livello strutturale che poi tematico: il rapporto con Canto di Natale. Il riferimento è evidente ed esplicito e costituisce una definizione importante della pellicola, determinandone in larga parte la resa. Nonostante sia evitato in maniera piuttosto chiara qualsiasi riferimento al periodo natalizio, il modello dickensiano è talmente evidente che questa cornice aveva molta più forza quando il film è uscito al cinema, a fine novembre, che ora, col Natale lontano. Nonostante questo indebolimento, la cornice riesce a funzionare comunque soprattutto a causa dell’ambientazione storica che fa da sfondo dominante, sostituendo quello natalizio, in una delicata operazione di avvicendamento e di ricerca dell’equilibrio tra i componenti.

Questa solida cornice letteraria crea quel clima da favola che domina tutto il racconto, senza cui Il principe di Roma avrebbe perso molta della sua forza. È inevitabile fare un parallelismo anche tra il Bartolomeo di Marco Giallini e il vecchio Scrooge, protagonista di Canto di Natale, ma l’attore al centro del film disponibile su Sky ha dalla sua una vena ironica che dà tutta un’altra intonazione al racconto, aggiungendo al clima favolesco anche quella leggerezza e quel rilassamento che rendono il tono del film leggero e rassicurante e che anche agli inizi dipingono Meo come un personaggio molto meno respingente rispetto a quanto lo era Scrooge.

La grande peculiarità de Il principe di Roma rispetto a Canto di Natale è proprio quest’ambientazione storica introdotta prima, che si costruisce soprattutto tramite l’apparizione dei tre fantasmi, che hanno le sembianze di Beatrice Cenci, Giordano Bruno e Papa Alessandro VI. Ognuno di loro dà un tono importante al racconto, dalla dolcezza della nobildonna all’ironia del pontefice, fino alla carica e alla saggezza del celebre intellettuale arso al rogo. Questa variante storica rende molto più interessante la struttura alla Canto di Natale, nonostante una certa patinatura che ben si sposa al tono da favola, ma che cozza un po’ con la cornice storica.

Il rapporto tra Il principe di Roma e Canto di Natale rimane, quindi, un po’ sospeso tra l’omaggio e l’innovazione. Da una parte questa struttura, ormai ampiamente battuta, risulta un po’ stantia e compassata, legata a una morale facilmente riconoscibile e a stilemi molto prevedibili. Dall’altra però, i vari fattori d’innovazione, dalla cornice storica al tono ironico del racconto, danno quella linfa che rende Il principe di Roma un film decisamente godibile, nonostante una traiettoria chiaramente riconoscibile sin dall’inizio.

Il principe di Roma
Marco Giallini e Filippo Temi (640×340)

Un cast sopra le righe

Ciò che spicca nel film di Edoardo Falcone è senza dubbio il cast, di alto livello e ben calato nel racconto. Marco Giallini è mattatore assoluto in un ruolo che gli calza a pennello. Prima nei panni del principe egoista e cinico, poi in quelli dell’amico, del figlio e del marito che ha ritrovato i veri valori della propria esistenza. Bartolomeo compie la sua metamorfosi dopo la visita dei tre spettri e questo percorso è sempre coerentemente accompagnato da Marco Giallini, che non perde mai quell’ironia e quella sensibilità che fanno parte dello straordinario bagaglio artistico dell’attore, ancora una volta sfoggiato con maestria.

Al fianco del “sor principe”, come vuole farsi chiamare Meo a inizio film, ruotano tutta una serie di personaggi ben riusciti, grazie anche stavolta a ottime prove attoriali. Dalla devota Teta, la donna che salva il cuore di Meo interpretata da Giulia Bevilacqua, all’impetuoso Eugenio, col volto di Andrea Sartoretti. Nota di merito per Filippo Timi, Giuseppe Battiston e Denise Tantucci, ben calati negli storici Giordano Bruno, Alessandro VI e Beatrice Cenci. Qualche limite del racconto è stato sicuramente limato dagli attori protagonisti, ottimi nel costruire un cast corale sopra le righe, che riesce a non risultare caricaturale e a mantenere il giusto equilibrio tra la favola e la cornice storica.

In conclusione, dunque, Il principe di Roma è un film che acquisisce sin da subito una struttura molto riconoscibile, intelligentemente contaminata dall’ambientazione storica, ma comunque impossibile da staccare, nonostante la rimozione di ogni riferimento natalizio, a quel clima creato e idealizzato da Canto di Natale. Il tono leggero e favolistico domina il racconto e l’ironia contribuisce tantissimo ad attenuare quella sensazione di essere davanti a un modello compassato. Nonostante qualche difficoltà qua e là, Il principe di Roma riesce nella sua delicata operazione di stabilire un equilibrio tra le sue diverse componenti e alla fine della visione si ha la sensazione di aver passato una piacevole ora e mezza, col cuore riscaldato da quella morale alla Canto di Natale che sicuramente è vista e rivista, ma in fin dei conti non stanca mai.