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Disincanto 3 – La recensione di una stagione a metà

Disincanto
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La terza stagione di Disincanto riprende la narrazione esattamente da dove si era interrotta: Bean, Elfo e Luci sono salvi per miracolo dal rogo che li avrebbe bruciati vivi e, dopo essere precipitati dentro una strana grotta, ritrovano un volto tanto familiare quanto malefico. Nel primo episodio della nuova stagione, la principessa si scontra per la seconda volta con la madre, ormai definitivamente il villain principale di questa serie tv. Dopo lo spiacevole incontro, Bean e i suoi amici tornano a palazzo ma nel frattempo molto è accaduto e molto ancora aspetta i nostri eroi. Da qui in poi la recensione contiene SPOILER, quindi per chiunque non abbia ancora visto la terza stagione di Disincanto vi consigliamo di tornare più tardi.

Nel corso di questi nuovi dieci episodi, lo spettatore ritrova volti conosciuti più alcuni interessanti nuovi personaggi che non vengono, però, approfonditi adeguatamente. Ecco, il problema di Disincanto è proprio questo. La serie tv sarebbe anche un ottimo prodotto se non fosse per quello spiacevole difetto del “lanciare il sasso e ritirare la mano”. Spieghiamoci meglio. La terza stagione conferma i pregi e i difetti di questo prodotto. Se infatti da un lato la serie compie un piccolo passo in avanti approfondendo tematiche interessanti, dall’altro lato rimane una grande incertezza.

Disincanto è una serie a metà, che vorrebbe essere di più ma è come se non trovasse o non volesse trovare il modo giusto per esserlo.

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La creatura di Groening rimane in uno stadio intermedio, senza trovare una precisa collocazione. Infatti, non possiamo considerarla né una serie tv per adulti, anche se i tentativi per esserlo ci sono, né tantomeno un prodotto per bambini. Disincanto ha l’ambizione di voler affiancare cugine più impegnate come BoJack Horseman e ci prova con delle tematiche adulte e uno stile che strizza l’occhio a Rick & Morty. Il problema è che non investe in questa ambizione, accennando soltanto a questioni che altrimenti potrebbero davvero fare centro: la malattia mentale, il ruolo della famiglia, l’auto-accettazione. Allo stesso tempo, la serie tv risente moltissimo dell’influenza delle “sorelle”, ovvero I Simpson (però attenzione a paragonare Bean a Lisa) e Futurama, cedendo spesso alla mera parodia.

La terza stagione (è stato già annunciato un lungo rinnovo) parte con ottime premesse, poi, circa a metà, qualcosa va storto. Intendiamoci, rispetto alle precedenti stagioni sono stati fatti notevoli passi in avanti, per esempio gli eventi sono molto più concatenati e c’è una maggiore attenzione ai personaggi. Quello che manca è il rischio, il salto nel vuoto che permetta a questa serie tv di distinguersi davvero all’interno del panorama seriale. La terza stagione pone interessanti elementi all’interno della trama verticale, il problema è che quando si è sul punto di approfondirli ecco che gli autori tornano sui loro passi.

Ogni sottotrama finisce ben presto nel dimenticatoio, precisamente quando lo spettatore si sta lasciando coinvolgere.

Esempi di ciò sono il rapporto con la madre, il viaggio a Steamland e la follia di re Zorg, tra le altre cose. Ognuna di queste trame dura il tempo di due episodi, abbastanza per farci interessare ma troppo poco per una evoluzione adeguata.

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Re Zorg si riconferma uno dei personaggi più interessanti, questa volta alle prese prima con un tentato omicidio e poi con una follia crescente. Dopo essere stato seppellito vivo, il re vive un vero e proprio disturbo post-traumatico da stress che lo porta a scivolare lentamente nel baratro della pazzia, fino al suo ricovero in un manicomio. Un tema molto interessante e serio che viene trattato con la giusta dose di battute. Peccato, perché il tutto rimane una sottotrama curata malamente, mentre poteva davvero dare il via a un percorso stimolante per la serie.

Stesso discorso per quanto riguarda la storyline di Steamland e della sirena Mora, il tutto si risolve nell’arco di due puntate. Il punto è che gli showrunner rimandano a un ipotecabile futuro ciò che invece potrebbe essere trattato nel presente, ovvero quando è molto più incisivo per lo spettatore. Ci sono dei momenti, all’interno della stagione, in cui compaiono personaggi passati che solo con un certo sforzo riesci a ripescare dalla memoria.

Questo perché, a suo tempo, quei personaggi non sono stati trattati nel migliore dei modi, come avviene ai nuovi volti di questa stagione.

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Spezzando una lancia in favore della terza stagione, non possiamo non evidenziare l’evoluzione del personaggio di Bean. La principessa è senza dubbio molto più consapevole di se stessa e del proprio ruolo rispetto alle passate stagioni. La ribelle Bean degli inizi, il cui unico desiderio era quello di ubriacarsi senza pensare alle conseguenze, ha lasciato spazio a una ragazza fattasi donna. Nel corso della stagione la vediamo diventare grande e lottare per il regno, per il padre e per i suoi amici. Oltre agli ostacoli esterni si confronta anche con gli ostacoli del cuore, per la prima volta vediamo infatti la principessa alle prese con i propri sentimenti.

Bean è una ragazza sola che non ha ricevuto abbastanza amore, alla quale è stato detto da sempre cosa doveva o non doveva essere piuttosto che cosa poteva diventare.

La sessualità della protagonista viene affrontata per la prima volta e succede con estrema delicatezza e naturalezza. Finalmente, lo spettatore ha modo di conoscere davvero l’eroina della serie che si presenta sotto una veste molto più fragile e umana. Disincanto si riconferma un prodotto dolceamaro, infatti anche se questa terza stagione risulta migliore rispetto alle precedenti non mancano gli scivoloni e un paio di occhi al cielo. Soprattutto di fronte a quel finale che ha il sentore di una scopiazzatura di un’altra serie tv originale Netflix.

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