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L’universo seriale è stracolmo di prodotti teen di ogni genere. Dalle classiche comedy come Glee degli inizi, ai più seguiti teen drama tra cui spicca il popolare e trashissimo Riverdale e ancora i fantasy come Chilling Adventures of Sabrina e Teen Wolf, fino ad arrivare a prodotti ibridi deliziosamente e minuziosamente pensanti e questo è il caso di Non ho mai…

Per chi non sapesse di cosa parla questa serie tv, Non ho mai… segue le vicende di Devi Vishwakumar, un’adolescente che dopo aver passato un anno terribile ha tutta l’intenzione di dare una svolta alla sua vita. Autrice primaria di questa serie è Mindy Kaling volto noto al pubblico seriale soprattutto per The Office (US) in cui interpretava il ruolo di Kelly Kapoor (qui che fine hanno fatto i suoi protagonisti) e per la sitcom The Mindy Project di cui era non solo autrice, ma anche protagonista. Assieme a lei, alla creazione di questo interessantissimo teen comedy-drama c’è Lang Fisher con cui la Kaling aveva già lavorato per The Mindy Project.

Mindy e Lang sono riuscite a raccontare in modo del tutto nuovo per il pubblico americano e sicuramente per tutti i paesi d’occidente la vita di un’adolescente figlia di immigrati indiani senza mai ridicolizzare o ridurre a macchietta i personaggi, le usanze, le tradizioni e la cultura sud-asiatica. È proprio il caso di dirlo e di riprendere il titolo di questo pezzo, ma Non ho mai… visto una serie così prima d’ora.

Non ho mai...

Non è difficile rendersi conto che nell’industria seriale o cinematografica mainstream la rappresentazione di personaggi appartenenti a culture diverse da quella occidentale sia poca e quando presente si trovi a essere spesso ridotta a una rappresentazione esageratamente comica e ridicola di ciò che sono in realtà. E proprio mentre facevo le mie ricerche per questo pezzo e per questo particolare tema, mi sono imbattuta nella precisa analisi e denuncia di una scrittrice di origine indiana immigrata in Australia, Zoya Patel.

L’autrice in questione parlando di Non ho mai… rifletteva sulla rappresentazione degli indiani nel cinema e nelle serie tv. Partendo dal film Sognando Beckham che l’ha fatta riflettere – per la prima volta – su una questione fondamentale: osservando la rappresentazione delle “zie” indiane o l’accento esasperatamente marcato della madre di Jess, la protagonista, è arrivata a chiedersi se chi rideva davanti a quei personaggi ridesse di lei o con lei e se la sua cultura fosse – in qualche modo – solo intrattenimento per la maggioranza bianca. E all’epoca, quasi sicuramente lo era.

La protagonista del film stesso era una ragazza indiana bella, ma non troppo, simpatica, ma non troppo, incapace in qualche modo di adattarsi al mondo occidentale. Una rappresentazione che non trovava riscontro nell’esperienza di tante ragazze che vivevano o vivono realmente una situazione simile. A quanto pare, la prima volta che Zoya si è sentita rappresentata in modo veritiero è stato proprio quando Non ho mai… ha debuttato.

Non mi sono mai sentita così rappresentata da una serie televisiva, rappresentata in tutta la mia gloria interculturale, problematica, scomoda, divertente, triste e arrabbiata.

Ha dichiarato la Patel, e non è l’unica ad apprezzare il ritratto che la protagonista, Devi Vishwakumar, interpretata da una bravissima Maitreyi Ramakrishnan, fa della vita adolescenziale di una ragazza divisa tra due culture, ma che di base vive e affronta tutte le classiche tribolazioni dell’essere un’adolescente come gli appuntamenti romantici, quel senso di smarrimento e quella ricerca spasmodica di un proprio posto nel mondo e di una propria identità, la voglia di popolarità e indipendenza, ma allo stesso tempo la voglia di rispettare le esigenze e le difficoltà della sua vita famigliare e culturale soprattutto dopo il tragico evento che le ha sconvolto la vita: la perdita improvvisa del padre.

Non ho mai...

Ciò che personalmente adoro di questa serie è che la protagonista: diversamente da come accade di solito con i personaggi principali che sembrano in possesso di chissà quale verità e benedizione divina, è squisitamente imperfetta e talvolta anche fin troppo esasperante, ma allo stesso tempo tremendamente reale. Devi è un’adolescente e in quanto tale è spesso fastidiosa, in certi momenti addirittura detestabile, un po’ egocentrica, egoista, gelosa, ma è anche disperatamente divertente, insicura, dolce e imprevedibile, totalmente fuori controllo quando ci sono di mezzo le emozioni, quindi praticamente sempre.

E qui mi sembra giusto citare ancora una volta Zoya Patel che nel suo articolo per The Guardian, in merito alla rappresentazione di Devi, dice:

Devi è indiana, ma è anche una persona, non la caricatura di un migrante indiano messa lì per fare da condimento culturale su una pagnotta di pane bianco.

Non ho mai...

Inoltre la sua cultura non è mai solo sfondo, non è qualcosa di marginale nella sua vita occidentale, no: è parte fondamentale e integrante della sua personalità, nonostante lei viva e abbia una mentalità che apparentemente abbraccia tutti gli stereotipi dell’adolescente americana. Ciononostante, il suo background culturale non la definisce nel suo comportamento più di quanto non faccia la sua vita di adolescente piena zeppa di drammi sentimentali e di balletti di TikTok. Devi è più di qualsiasi esperienza o caratteristica o stereotipo le si possa affibbiare, Devi è un’adolescente.

E proprio come dicevamo prima è un’adolescente tremendamente imperfetta e proprio per questo è una goduria stare a guardare in che modo si complicherà la vita ora che qualcuno di noi (sì parlo di me) ha superato da un po’ l’adolescenza e può permettersi di sorridere di quelle esperienze e di quei problemi che a quei tempi sembravano di un’importanza e di una pesantezza cosmica anche per noi. Esperienze come i primi approcci con la persona che ci piace, i drammi con le amiche, quelli famigliari sempre troppo pesanti e fastidiosi da digerire e – nel caso di Devi – nascondono una motivazione molto seria.

Non ho mai...

La morte di qualcuno ci affligge e ci travolge in qualunque momento della vita ed è sempre devastante, ma la morte di un genitore nel periodo in cui è più fragili emotivamente in assoluto dev’essere qualcosa di inspiegabilmente doloroso. In quel periodo in cui (e qui mi sembra di essere una concorrente basic del Grande Fratello, ma lo dirò lo stesso) è tutto amplificato, la perdita di una delle colonne portanti della nostra intera esistenza potrebbe essere distruttiva.

E il bello di Devi e di Non ho mai… sta anche in quello, in quel mostrare non solo la parte più frivola e leggera e divertente dell’adolescenza, ma anche la sofferenza e il dramma di questi anni senza mai far diventare la serie tediosamente moralista o pesante.

Non ho mai… è, dunque, la perfetta unione di due generi così distanti e opposti tra loro, la commedia e la tragedia, che però quando si fondono e si bilanciano con la bravura di cui sono state capaci Mindy Kaling e Lang Fisher danno vita a un connubio irresistibile e inarrestabile.

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