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Dovete assolutamente guardare The Confession Killer, sul killer che confessò omicidi mai commessi

Uno dei generi ormai codificati nell’offerta di Netflix è la serie documentaristica, in particolare su killer e assassini. I Figli di Sam: verso le tenebre, Conversazioni con un killer: il caso Ted Bundy e Caccia al killer dall’impermeabile giallo sono solo alcuni esempi di questo filone narrativo. The Confession Killer è invece la docu-serie dedicata a Henry Lee Lucas, che confessò oltre 600 delitti: “the most prolific serial killer in history”. Robert Kenner e Taki Oldham hanno diretto la serie di cinque episodi presente nel catalogo della piattaforma digitale californiana, che da sempre si è dimostrata attenta a questo genere e, lungimirante come al solito, ha creato una vera e propria moda, che attrae milioni di fan.

Henry Lee Lucas è stato accusato di oltre 300 omicidi irrisolti. L’uomo ne ha confessati un centinaio, compiuti nell’arco di 8 anni, ed è stato condannato per 11 di essi. Ma, forse, non tutti gli omicidi che Lucas ha dichiarato di aver commesso sono stati opera sua e la polizia ha considerato chiusi casi che, invece, avrebbero meritato ulteriori indagini. Da questo assioma si sviluppano le vicende della produzione Netflix, una storia che definire incredibile è poco.

La storia vera di The Confession Killer

La storia di Lucas è alquanto particolare: dopo essere stato arrestato in Texas per l’omicidio di una signora, l’uomo confesserà di aver ucciso e fatto a pezzi la sua fidanzata, Becky, una ragazza molto più giovane di lui sparita da un paio di mesi. Una volta in carcere Lucas inizierà non solo a raccontare la sua storia, fatta di violenze domestiche che si erano concluse quando a 16 anni aveva ucciso la madre, ma confesserà una lunga serie di omicidi. Presentandosi come un vagabondo sempre in giro per l’America, Lucas inizia a confessare tutti gli omicidi irrisolti che gli vengono messi davanti e ogni volta dice che potrebbero essere molti più, ipotizzando di aver ucciso più di 360 persone. La situazione tuttavia sembra troppo facile: basta mettere davanti a Lucas un qualunque caso irrisolto e lui confesserà, ma i conti non tornano e così un’abile detective gli mette davanti un caso inventato. E lui confesserà che è opera sua. A questo punto molti nodi verranno al pettine e si scoprirà che Henry Lee Lucas ha confessato moltissimi omicidi che in realtà non ha commesso, come dimostrano le svariate prove. Ma allora perché li ha confessati? Questa è la domanda che si pongono in molti, mentre guardano Lucas intento a rincorrere la pena capitale.

Ciò che più inquieta in questa vicenda ai limiti del surreale è lo strazio dei parenti delle vittime: prima fautori della pena di morte per Lucas, poi, quando via via, molti degli omicidi – grazie alle analisi effettuate dei vari DNA che negli anni passati non esistevano ancora – venivano risolti e i veri assassini arrestati, finivano per perdere la bussola: le false confessioni di Lucas cascavano come birilli, una dopo l’altra, grazie anche al capillare intervento della Cold Case Foundation, specializzata in delitti irrisolti del passato. Lo spettacolo si concentra sulle indagini su Lucas e su come le sue confessioni dettagliate, piene di fatti che solo l’assassino avrebbe saputo, hanno portato alla liquidazione di oltre 200 casi con lui nominato come l’autore. Questo nonostante spesso non ci siano prove di alcun tipo che lo colleghino ai crimini nazionali al di là della sua stessa confessione. Ciò che rende The Confession Killer uno spettacolo avvincente è che verso la metà di ogni episodio inizi a sentirti come se avesse raccontato tutta la storia che ha da raccontare e ora stia solo girando le ruote con filmati d’archivio e nastri di interviste. Eppure ogni episodio riesce a chiudersi con un’altra svolta sbalorditiva della storia. Come i fascicoli pieni di dettagli sulla scena del crimine che gli vengono dati per capire se davvero ha compiuto quegli omicidi.

Una storia un po’ complicata, una storia sbagliata

Viene da chiedersi come mai nessuno si sia interrogato sulla mancanza di un modus operandi o di una firma, caratteristiche sempre presenti nei serial killer e sempre distinte a seconda del colpevole. Ma le domande non sono tutte qui: presto infatti un giornalista, alcuni familiari di presunte vittime e un paio di politici iniziano a chiedersi cosa ci sia di vero dietro queste confessioni spontanee e tanto utili. Davvero è possibile che Henry Lee Lucas stia mentendo, fornendo alla polizia informazioni che lui stesso ha ricevuto da qualcuno? È possibile che i Rangers lo stiano usando per chiudere casi e farsi rieleggere, magari forzando la mano sulle confessioni? È possibile infine che Lucas confessi omicidi avvenuti a distanza di pochissime ore e centinaia di chilometri e che nessuno abbia dubbi? Insomma, quante persone ha realmente ucciso Lucas e chi vuole che si assuma la colpa di tutti quegli omicidi che non può aver commesso?

Le puntate scorrono veloci e avvincenti quasi quanto le confessioni di Henry Lee Lucas, tengono lo spettatore incollato allo schermo per tutto il tempo e evidenziano lo scelerato comportamento della polizia americana, pronta a voler chiudere a tutti i costi i casi senza controllare veramente le prove guidando e imbeccando le confessioni dell’imputato. Una docu-serie sconvolgente, uno sguardo affascinante su come un uomo che avrebbe dovuto essere condannato per un piccolo numero di omicidi ha scoperto di essere stato ricompensato con rispetto, attenzione e persino affetto mai sperimentati prima, appropriandosi di più omicidi. La vista di Lucas che cammina per la prigione senza manette e che si gode un frappè alla fragola che ha ricevuto per una nuova confessione, oltre ai Rangers che lo hanno ringraziato per aver risolto l’irrisolvibile, è la fotografia di un sistema rotto contro il quale nessun essere vivente dovrebbe avere a che fare.

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