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Le serie tv, per divina grazia, non sono tutte uguali. Drammi, sitcom, crime e chi più ne ha più ne metta: ce n’è per tutti i gusti. Ce ne sono talmente tante da sembrare fin troppe. Escono serie tv di continuo su qualsiasi rete o piattaforma pur essendo quasi in sovrabbondanza, ma la verità è che non tutte possono rimanere nella storia. Le serie tv vanno e vengono, e statisticamente la maggioranza passa in sordina: arrivano sui nostri schermi, magari le guardiamo, ma dopo un po’ ce ne siamo già dimenticati. Molte, ma non tutte. Perché per quanto nella vastità del panorama seriale sia difficile restare in auge a lungo, alcune serie sono per sempre, un po’ come i diamanti. Una di queste, a mio parere che credo sia abbastanza condiviso soprattutto da chi è cresciuto negli anni Duemila, è Malcolm In The Middle.

Malcolm in the Middle: la comedy che non ti aspetti

La ricetta della serie è in realtà molto semplice ma condita con gli “ingredienti” giusti, elementi che la rendono unica nel suo genere. Malcolm, un giovanissimo Frankie Muniz, è il terzogenito dei quattro figli di Lois e Hal, un già magistrale anche se forse meno conosciuto Bryan Cranston. Il ragazzo vive con i genitori e due dei suoi tre (poi quattro) fratelli: il “bullo che non balla” Reese e il piccolo stravagante Dewie. Il primogenito Francis frequenta invece una scuola militare nella quale è stato spedito a causa del suo carattere. Ecco, questo oggi la direbbe lunga sulla genitorialità di Lois e Hal, ma ricordiamo che stiamo parlando dello stesso periodo storico in cui accettavamo che Simon Camden di Settimo Cielo venisse mandato in rehab per una birra. Insomma, tutto normale per l’epoca.

In una famiglia nella quale poche cose sono come dovrebbero essere – che poi, c’è davvero un modo univoco in cui dovrebbero essere?! – Malcolm è uno spiraglio di “normalità”. Ragazzino dal quoziente intellettivo molto alto, pur non rinunciando a mettersi in situazioni problematiche insieme ai suoi fratelli è in molti casi l’unico barlume di responsabilità familiare, insieme a sua madre che però spesso e volentieri sfocia nell’autoritarismo. Malcolm è un po’ nerd e impacciato, cosa che lo rende vittima del suo stesso fratello, e in diverse occasioni si dimostra molto diverso dagli altri membri della sua famiglia. Ovviamente li ama, anche se spesso ci ritroviamo a chiederci cosa ci faccia lui lì. Ma, contrariamente dalla stragrande maggioranza dei personaggi televisivi, Malcolm ha un asso nella manica per gestire la situazione: ha gli spettatori dalla sua parte.

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Una scena di Malcolm In The Middle in cui si rompe la quarta parete

Non lo dico in senso figurato, ma decisamente pratico.

Come in tempi più recenti Phoebe Waller-Bridge ha fatto in Fleabag, Malcolm rompe continuamente la quarta parete, parlando direttamente a chi ne segue le avventure. È lì a fare la sua vita, a scuola o a tavola con la sua famiglia, poi a un certo punto si gira verso di noi e ci parla, dicendoci quello che teoricamente dovrebbe essere solo nella sua mente. Così facendo, ci rende parte attiva della narrazione, di una storia che non possiamo cambiare ma nella quale possiamo sentirci inclusi. E lo siamo, perché la verità è che Malcolm In The Middle non parla solo a noi: Malcolm In The Middle parla di noi.

Lo fa ben più di molte altre comedy simili che nel corso degli anni si sono avvicendate nella programmazione pomeridiana di Italia 1. Malcolm In The Middle , che si può recuperare o riguardare su Disney+, rappresenta i (tanti) vizi e le (poche) virtù della famiglia americana media, che poi sotto sotto tanto diversi da quelli italiani non sono. La difficoltà di arrivare a fine mese e la necessità di fare sacrifici per andare avanti sono affiancati da tutti i tentativi fallimentari di insegnamento e da tutte le volte in cui i genitori sono i primi a non rispettare i solidi principi che in teoria vogliono tramandare ai figli. Il tutto, ovviamente, con un’ironia dissacrante e disarmante, perché è la stessa che caratterizza la vita vera.

E con la consapevolezza del fatto che nella famiglia protagonista di Malcolm In The Middle ci siamo anche noi.

Malcolm In The Middle (640x360)
Una scena di Malcolm In The Middle

Come nella stragrande maggioranza dei casi in cui si rompe la quarta parete, anche in Malcolm In The Middle la cosa viene affidata a un unico personaggio. A farlo è Malcolm, il protagonista nonché colui nel quale è più facile immedesimarsi, forse perché costruito più come una persona che come un personaggio. Gli altri, intanto, continuano a fare le loro vite senza accorgersene. In Malcolm gli stereotipi non sono così netti ed è più facile comprenderne le ragioni, anche ma non solo perché ogni tanto ce le spiega. E proprio perché è lui a parlarci, noi diventiamo un po’ lui nella storia, guardandola dal suo punto di vista.

Un punto di vista che, va da sé, è più facilmente condivisibile degli altri, ma non è unico. Insieme a lui ci abituiamo a far parte di un nucleo familiare tanto problematico quanto alla fine dei giochi amorevole, affezionandoci alle sue dinamiche. La sua quotidianità comincia ad appartenerci. Cresciamo con lui, cambiamo con lui, scontrandoci però con una realtà che non sempre cambia nella stessa direzione. Guardate un po’, esattamente come il 99% degli adolescenti nella vita vera.

Le avventure condivise con Malcolm sono spesso un’esasperazione di quelle che un po’ tutti abbiamo vissuto davvero, e riescono nel loro essere eccessive a farci rivalutare la gravità delle nostre. La famiglia di Malcolm riflette quelle reali ma tutto sommato, a confronto, le nostre non sono poi così problematiche.

Morale della favola: Malcolm siamo noi.

E questo è uno degli elementi che rendono Malcolm In The Middle così unica nel suo genere e ancora così memorabile a tanti anni dal finale di serie. Talmente tanto che anche per questa serie si è parlato in diverse occasioni della possibilità di un revival. Per quanto non sia fan dei ritorni, che troppo spesso mi sembrano forzature più che necessità, se deve essere, sia. Purché Malcolm torni a parlare con noi, di noi.