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Il Bryan Cranston di Malcolm era già uno straordinario Bryan Cranston

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler lievi su Malcolm in the Middle e il personaggio interpretato da Bryan Cranston, Hal

“Una nuova serie? Con protagonista un anonimo professore di chimica che vive la crisi di mezza età più folle di tutti i tempi? Arriva addirittura a diventare il più grande produttore al mondo di metanfetamine dopo aver scoperto di esser malato di cancro? Wow, sembra interessante. Mica male, eh? Sembra aver tutto per poter spaccare, se scritta bene. E chi interpreta Walter White?”. “Uhm… Bryan Cranston“.

“Chi?”.

bryan cranston

“Il padre di Malcolm”.

“Ah, sul serio? Hanno davvero affidato un ruolo del genere a un attore del genere? Mmm, no. Questa Breaking Bad non andrà da nessuna parte”.

Si chiude qui una conversazione immaginaria che il sottoscritto, allora ventenne, avrebbe potuto intrattenere con un qualunque amico nell’ormai lontano 2008. Immaginaria anche perché in realtà, di Breaking Bad, nel 2008, non si parlava granché in Italia, se non pressoché per niente. Ma soprattutto perché Bryan Cranston, al contrario, lo conoscevamo benissimo. Senza sapere affatto di conoscerlo. Bryan Cranston, infatti, non era ancora Bryan Cranston. Per noi. Per noi Bryan Cranston non era altri che il padre idiota di Malcolm. Quell’improbabile figura genitoriale del tutto inadeguata e tendente al disagio più sfrenato tutto faccette, vocine stridule e follia al suo stato più puro. Ideale per irrompere nelle nostre tv ogni pomeriggio e farci ridere a crepapelle, spiazzati dalle caotiche disavventure di una famiglia sgangherata e imprevedibile.

Eccolo quindi, il nostro Bryan Cranston del 2008. Una macchietta comica, nulla più. Brillante, ma non certo valido in altri contesti. Secondo noi, almeno. Perché poi Breaking Bad è diventata una delle più belle serie tv di tutti i tempi, Walter White si è trasformato in un personaggio leggendario e Cranston ha dimostrato ampiamente di essere un attore vero. Verissimo. Un attore da Emmy, più volte. Da Tony in due differenti circostanze, quando è salito sul palcoscenico di un teatro nei panni del Presidente Lyndon B. Johnson. Quasi da Oscar, sfiorato nel 2016 nella categoria più prestigiosa: miglior attore protagonista. Potenzialmente addirittura da EGOT, se sapesse pure cantare e a un certo punto si mettesse in testa di far qualcosa per vincere un Grammy.

Attori nati a marzo
Bryan Cranston (1200×675)

Ma non esageriamo, anche se Cranston è obiettivamente un attore esagerato. E non è stato semplice capirlo, non solo per noi: l’attore nato a Hollywood nel 1956, infatti, ha affrontato un lungo e tortuoso percorso per diventare grande, uscire dalla melma dei soliti piccoli ruoli da caratterista, affermarsi come uno dei migliori interpreti della sua generazione e urlare ai quattro venti un nome che oggi significa tanto nel panorama televisivo e cinematografico. Quando ottenne il ruolo della vita, infatti, Cranston aveva già 52 anni e sembrava ricalcare per molti versi la mesta parabola affrontata dal personaggio a cui si apprestava a prestare il volto: un grande potenziale, persino geniale, a cui il mondo non era pronto. E a cui, soprattutto, lui non era pronto. In fondo, Bryan Cranston sta a Walter White come Walter White sta ad Heisenberg. Con la differenza che Cranston, con ogni probabilità, aveva sempre saputo di poter essere qualcuno di davvero importante.

Tutto sommato, se volgiamo indietro il nostro sguardo, potremmo pure affermare che l’avesse già dimostrato e Cranston avesse già interpretato un uomo con cui aveva qualcosa da spartire, ancora prima che Breaking Bad si generasse tra i sogni di quel visionario di Vince Gilligan. E non ci riferiamo all’ormai celebre interpretazione in X-Files che lo portò a essere notato per la prima volta dallo showrunner e tornare tra i suoi pensieri nel momento in cui dovette valutare i nomi ideali per dar vita a Walter White, bensì alla stessa Malcolm in the Middle. In cui Cranston diede anima e corpo ad Hal Wilkerson, lo stralunato padre del protagonista. Perché sì, è facile parlare a posteriori: nel momento in cui abbiamo scoperto di cosa potesse essere capace, è diventato più semplice rivalutare in positivo tutto quello che aveva fatto in precedenza. Ma così come è cambiata la nostra percezione dell’attore, deve cambiare anche la capacità di leggere tra le righe di un’interpretazione. E vedere, oggi, il Bryan Cranston di Malcolm per quello che era già allora: un grande attore, capace di sfiorare vette qualitative inaccessibili per la stragrande maggioranza dei suoi colleghi.

Il Bryan Craston di Malcolm in the Middle, in onda tra il 2000 e il 2006, era un cavallo di razza. Un attore sfaccettato e mai monodimensionale, in grado di valorizzare al meglio un ruolo ottenuto a pochissimi giorni dall’inizio delle riprese della prima stagione e riscrivere le regole del topos del padre nelle sit-com tradizionali. Hal è un unicum nella storia delle serie tv e il merito va a Cranston, tanto bravo da ottenere più spazio per un character che nasceva per essere poco più che marginale. E agli autori che hanno saputo valorizzare col tempo l’ingombrante talento di un attore che sfinisce se stesso e si svuota più di dar tutto al personaggio che interpreta. La prestazione di Cranston nelle sei stagioni di Malcolm è intensa, esasperante, molto fisica e gestuale al punto da sembrar provenire da una vecchia pellicola muta di Buster Keaton, con una mimica facciale peculiare e unica che si bilancia sapientemente senza mai sforare nel macchiettistico. Il Cranston di Malcolm non è mai ridicolo, se si osserva con gli occhi giusti: controlla totalmente un personaggio portato al limite, confusionario e dalle mille idee, caotico, bambinone e immaturo, ma allo stesso tempo dotato di gran cuore. Un padre di cui non abbiamo bisogno, ma che si rivela essere comunque imprescindibile grazie a una visione della vita dai tratti cartooneschi.

Bryan Cranston urla, nei 151 episodi della sit-com, senza mai strillare.

Possiede un’innata vis comica poi riproposta in Breaking Bad, tra le righe del dramma. Ma anche una vis drammatica sottile, velata, più silenziosa ma non per questo meno forte: Hal, al pari dell’altro alter ego di Cranston, viola regole e convenzioni, giostra tra disillusione e sogno. È arrabbiato, per molti versi fuori controllo. Ed è un Peter Pan che riconosce però, perfettamente, una condizione dimessa e subalterna. Un personaggio complesso, ben reso dall’attore nel corso di un’interpretazione che si disvela sempre attraverso soluzioni originali, audaci e brillanti. Soluzioni che sembra aver riproposto in seguito nell’interpretare in Walter White capovolgendo però il fattore comico, pressoché silente in Breaking Bad, e la dirompenza della forza drammatica. Due facce della stessa medaglia che hanno portato, non a caso, i redditors più fantasiosi a elaborare, nel tempo, innumerevoli intriganti teorie che farebbero di Hal Wilkerson e Walter White un’unica persona. Perché è fin troppo ovvio: i due personaggi sono profondamenti diversi e affrontano delle esperienze di vita opposte, specie nella seconda parte delle rispettive esistenze, ma condividono un’energia in qualche modo associabile, sempre riconoscibile e trainante dentro e fuori dal set, fino a invadere la nostra quotidianità. L’energia che Bryan Cranston ha a loro donato, con personalità, carisma e un talento cristallino.

Insomma, il percorso artistico dell’attore non merita solo omaggi, riconoscimenti e premi: rappresenta, prima di tutto, un esempio. Un esempio nel provare sempre a capitalizzare il proprio estro al di là del materiale a disposizione, sia esso un personaggio comico o drammatico. E nel non giudicare mai dalla copertina, visto che Bryan Cranston non è certo il primo attore dal taglio comico a essersi imposto anche in ruoli drammatici d’altissimo livello. Si pensi per esempio al collega Bob Odenkirk, l’inarrivabile Saul Goodman di Breaking Bad e Better Call Saul che aveva trascorso gran parte della sua carriera con un background da attore comicissimo. O Steve Carell, il Michael Scott di The Office che supera da anni i confini che una certa stampa gli aveva imposto e gli argini che un ruolo comico tanto estremo sembrano tirar su per natura. Ci fermiamo qua, ma potremmo stilare un lunghissimo elenco del quale Cranston è in qualche modo il principe. Il volto di punta. L’underdog buono solo per i piccoli ruoli difficili o per i grandi ruoli da apparente macchietta, inadeguato secondo troppi alle grandi platee dal palato fino. Attori meno talentuosi: popolari, ma non bravi quanto quegli altri.

Beh, non è così. Ed è scorretto allo stesso tempo sminuire le grandi interpretazioni comiche della nostra storia televisiva, dotate per certi versi di una complessità che va persino oltre quella necessaria per reggere sulle proprie spalle i ruoli più drammatici. Perché per interpretare un grande Walter White serve un attore dalla statura adeguata all’interpretare un grande Hal Wilkerson, ma purtroppo i pregiudizi si fermano e si fermeranno sempre e solo di fronte all’evidenza dei fatti più eclatanti. Non dopo le sei stagioni di una grandissima sit-com, scritta con un’intelligenza che ce la fa apprezzare oggi ancora più di quanto avessimo fatto ai tempi dei pomeriggi post-scuola. Ma solo dopo una manciata di Emmy, due Tony e un Oscar perso per un soffio. Come è successo a Bryan Cranston, uno di cui oggi, per fortuna, ricordiamo benissimo il nome. Come succede ogni giorno a un’infinità di anonimi grandi talenti televisivi e cinematografici, ingabbiati dentro fastidiose etichette che non ne contengono affatto i meriti.

Non sempre basta essere un grande Cranston, dotato della visione di Hal e della determinazione di Walter, per cambiarne le sorti. Per lui, per bravura quanto per bravura, invece, è stato più che sufficiente. Quando ormai sembrava troppo tardi, nel momento in cui lo è stato per tanti altri. Purtroppo, come cantavano i The Might Be Giants nell’ultimo verso di una sigla che abbiamo cantato tutti con grande intensità, “life is unfair”. Ma è stata abbastanza giusta, quantomeno, da restituirci uno come lui.

Antonio Casu