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Don Draper è diventato Don Draper solo nell’ultimo istante di Mad Men

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul finale di Mad Men

Cambiare tutto per non cambiare niente. Trasformarsi senza mai snaturarsi. Mutare per essere, banalmente, sempre uguale a se stesso. È questa, in fondo, la morale gattopardesca di Mad Men. E di un uomo, Don Draper, che non è altro che il monolite di kubrikiana memoria. Il totem di un decennio costante che scivola via tra vane rivoluzioni e utopie romantiche destinate all’omologazione consumistica. L’icona dell’uomo fragile, divenuto forte in virtù dell’accettazione di un limite invalicabile. E di un genio creativo, disperso in caduta nel baratro di un grattacielo in fiamme, che darà vita alla campagna pubblicitaria più importante di sempre.

Non fatevi ingannare dalle apparenze: Don Draper indossa un’anonima camicia bianca, è immerso nella natura di un Paradiso californiano e sorride convintamente come mai aveva fatto, ma l’ultimo istante di Mad Men non è l’amplesso dell’evoluzione che stravolge le regole. Affatto. Don Draper non ha riabbracciato Dick Whitman, al contrario. Don Draper, ad un passo dal suicidio, ha ucciso Dick Whitman per dare vita al vero Don Draper. L’uomo di Hilltop e della Coca Cola, senza più ostacoli né tormenti. Finalmente libero di essere schiavo di se stesso. Incatenato ad uno schema plasmato dal suo stesso creatore. Senza più un passato né un futuro.

Mad Men

Un abbraccio ha cambiato tutto. Ha liberato l’uomo senza tempo, fuggito dagli anni Sessanta per entrare nel tempio dell’immortalità. Un abbraccio nel momento in cui pensavamo che tutto fosse perduto, dato ad uno spirito anonimo, abbandonato senza speranza nel ripiano di un frigo glaciale. Privato della luce, mestamente solo. Al contrario di Dick. Proprio come Dick. A lui perfettamente affine, nell’infinita distanza che li separa. Dispersi in un incubo nichilista, all’essenziale ricerca di un contatto umano. Di una consapevolezza. Di uno sportello aperto verso il mondo. Per accendere la lampadina e sentirsi finalmente al sicuro.

Abbiamo sorriso, nel momento in cui l’abbiamo visto stringerlo a sé. Dick, respinto da tutto e tutti, rigettava se stesso e chiunque entrasse a contatto con lui. Lo spettro del bimbo derelitto lo attanagliava, stringendolo in una morsa fatale. Sentiva mancare il fiato, ogni volta che la maschera scivolava via dal viso per mostrare il vero volto. L’uomo senza tempo, dotato di una classe iconica che resisteva ai mutamenti della società, era un’ombra ben vestita. Una vacua menzogna, celata dall’immensa fortuna generata dal carisma geniale che non necessita di disciplina. Dick Whitman sembrava essere Don Draper, agli occhi degli altri. Ma non era sufficiente.

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Mentre l’icona attraversava i Sessanta col passo ingombrante del gigante, l’uomo soffriva staticamente. Tormentato dal mal di vivere, Dick era incapace di stare in equilibrio. Barcollava, cadeva. Piangeva in preda alla disperazione, strangolando se stesso. Dick Whitman sembrava essere Don Draper, ma doveva convincere il cliente più difficile. Quello più esigente, capace di ingannare il machiavellico ingannatore. Spaesato, cercava la pietra angolare della sua vita tra le braccia di una sconosciuta. Poi di una moglie, e ancora di una sconosciuta. Tra una sigaretta e un bicchiere. Un bicchiere e una sigaretta. In viaggio perenne col motore spento, in un loop senza fine.

Dick era solo. Affrontava la discesa negli inferi con la consapevolezza di non avere un paracadute. Si gettava nel vuoto, privato di ogni appiglio. L’addio era l’unica soluzione. Il silenzio, dopo aver strozzato l’urlo per tutta una vita. Sembrava finita, ma Mad Men, sorprendentemente, è una storia a lieto fine. Nonostante tutto, nonostante tutti. Nonostante le ultime telefonate, nonostante l’ennesimo abbandono. Nonostante fosse un pesce fuor d’acqua, come non mai. L’uomo del Sistema, in pasto ad un gruppo sparuto di fricchettoni. Pronto ad impiccarsi o a far chissà cosa, eternamente incapace di inglobare la bellezza. Ma un uomo qualunque ha parlato, e tutto è cambiato.

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Dick non è solo. Non lo è mai stato. Ma il miglior comunicatore di sempre non sapeva comunicare. Ingabbiato in un paradosso, non si rendeva conto di dover semplicemente aprire gli occhi e abbracciare se stesso. Accettarsi per quello che è, senza più filtri. Evitando di voltarsi indietro per pugnalarsi ancora. Dick aveva una sola speranza: generare Don Draper, una volta per tutte. Liberare le tossine, ingannarsi. Vivere all’interno di un’illusione, fino a renderla reale. Manco fosse una pubblicità col fine di vendersi a sé. Don Draper non era mai esistito, ma nel momento in cui è arrivato il tempo si è palesato dove è sempre stato. Immobile, mentre il mondo corre.

Dick ha trovato pace perché Don l’ha finalmente liberato. All’alba di un nuovo decennio, entrando di soppiatto tra i rintocchi leggeri di un campanello per plasmare un mondo che sarà sempre ai suoi piedi. Ora non ci sono più ostacoli. Il Sessantotto è morto e tiene in mano una Coca Cola. Il nuovo è diventato vecchio perché il vecchio, old fashioned, è sempre stato nuovo. Può finalmente stringere il nodo della cravatta, dopo aver indossato l’abito perfetto e sistemato i capelli. Ora è pronto, stabile nel caos. Prepara il mondo ad una rivoluzione, dandogli in pasto un’illusione. Ding. Chiude gli occhi. Sorride. Ding. Sono arrivati i Settanta.

Ding.

Eccoti, Don.

Antonio Casu 

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