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Legion ha fatto la storia. Ancora una volta

Legion non è una Serie Tv banale. Appare alquanto tautologico ribadirlo in occasione del finale di stagione, eppure è inevitabile. Abbiamo ancora negli occhi lo strepitoso episodio sette della prima stagione, quando non solo venne omaggiato pressochè ogni genere cinematografico, ma Hawley decise di consegnarsi alla storia della regia con la scena del Bolero. Ebbene, da allora, la Serie ha di volta in volta reinventato il suo stile, plasmandolo e arrivando a questo meraviglioso season finale, in cui è riuscita ancora una volta a farci strabuzzare gli occhi.

Sono due i momenti in particolare in cui questo è avvenuto. Due momenti in cui Legion è divenuta il miglior cinecomic in circolazione senza essere di fatto nè una pellicola, nè una trasposizione fumettistica (come abbiamo ribadito più volte).

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Non si è mai vista sul piccolo schermo una scena di lotta come quella tra David e Farouk. Così psichedelica, così visivamente magnetica.  La suggestiva sovrapposizione tra le scene animate e quelle in live action è una sintesi perfetta del concetto, letterale, di transmedialità. E il sottofondo musicale (Behind Blue Eyes degli Who) da urlo. Il riferimento va sicuramentesi ricollega magistralmente alla dance fight di inizio stagione, quantunque Hawley osi ancora di più e mostra a suon di fotogrammi perchè una Serie come questa, in questo panorama televisivo, rappresenta un unicum.

L’atteso scontro con lo Shadow King è tutto sommato breve, perchè poi l’episodio vuole mettere in risalto altro (e ne parleremo tra poco). Ma quella scena vale da sola il prezzo del biglietto, tale è l’intensità messa in campo in tutte le sue componenti. Eppure non è il solo momento aulico in una puntata destinata a fare la storia delle Serie Tv. Sarebbe delittuoso non citare la scena finale, un rifacimento di una delle immagini più iconiche del fumetto, vale a dire il momento in cui David diventa effettivamente Legion. C’è quasi un’aura divina, a sottolineare l’onnipotenza del mutante, nell’immagine di David rompe la sfera magnetica in cui è recluso e si eleva verso la luce.

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Al pari di cotanto splendore visivo può esserci solamente la scrittura, tesa a mettere i puntini sulle i a quanto seminato nel corso della stagione.

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Soltanto ora capiamo possiamo comprendere appieno l’importanza degli insegnamenti del Narratore/Jon Hamm che hanno intervallato quasi ogni episodio di questa stagione. Il seme dell’illusione, anticamera della follia, si alimenta con le psicosi umane: la distorsione della realtà, l’effetto nocebo, gli attacchi di panico. Sono queste ad aver portato al grande tradimento, così com’è stato definito dagli Oliver e Melanie del futuro (altro momento memorabile la loro scena stile talk show anni ’70). Ma il tradimento di chi?

Già, perchè la grandezza di questo episodio, dal punto di vista narrativo, è nella sua funzione retroattiva. Infatti, se è vero che il seme dell’illusione ha contagiato David, è altrettanto lapalissiano che può essere applicato anche a Syd e a tutti gli altri. Laddove il primo è reo di aver confuso Syd, cancellandole la memoria, è altrettanto vero che è stato portato all’esasperazione da Syd stessa, (oltre che da Farouk chiaramente). Sono stati i dubbi della donna, sfociati nella scena della pistola, a innescare le personalità multiple di David e, conseguentemente, anche la sua parte oscura.

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L’ineluttabilità del destino incarnata da Future Syd, pertanto, assume le sembianze di una gigantesca profezia che si autoadempie. Come le infermiere che convincono l’anziano paziente della medicina che fa vomitare, come Oliver che persuade il giovane a vivere in un mondo in cui i segnali del semaforo vanno al contrario, così David è stato indotto a diventare cattivo. E così Syd, Farouk, Cary sono stati indotti a credere che, in realtà, David è la minaccia. Il risultato è che tutti sono pazzi, in una visione tetra che rende vuoto ogni barlume di amore nel rapporto tra David e Syd, e in tutte le altre relazioni umane presenti nella Serie.

La scena del processo, un chiaro rimando al processo del mostro di Dusseldorf in M di Fritz Lang, è emblematica di ciò: il mostro è in ognuno dei personaggi di Legion.

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La storia, nient’altro che la storia. Ancora una volta Legion, con la sua retorica provocatoria e il suo stile anfetaminico, ha alzato l’asticella della narrazione televisiva. Se non dal punto di vista narrativo (e pure lì ci sarebbe parecchio da discutere), senza dubbio dal punto di vista visivo, affiancandosi a quella Twin Peaks: The Return che rappresenta un riferimento così importante per la poetica di Noah Hawley. Il rinnovo per un’altra stagione è meritato, anche se non scontato dati gli ascolti. Meglio così, perchè quando qualcosa di veramente nuovo appare nel panorama televisivo, dobbiamo urlarlo a voce alta. Ad maiora, Legion.

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