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La Tata: per tutti, per pochi

Creata e prodotta nel 1993 da Fran Drescher e dall’allora marito Peter Marc Jacobson (i coniugi hanno poi divorziato, ma felicemente, come vedremo in Happily Divorced: un’altra comedy che attinge dalla loro esperienza diretta), la vicenda di Fran Fine – la tata della famiglia Sheffield – è ispirata al vissuto dell’attrice, comica, scrittrice, attivista e sindacalista. Cresciuta nel Queens, Drescher ha attinto alla sua esperienza personale, riversando nella storia nomi e caratteristiche di amici e parenti. Molti personaggi dello show sono ricalcati sulla sua famiglia, inclusa sé stessa, i genitori, Sylvia e Morty, e la nonna Yetta, che nello show hanno mantenuto i nomi delle loro controparti della vita reale. Come Fine, anche l’attrice è cresciuta a Flushing, nel Queens, e ha frequentato una scuola di estetista. Tuttavia non ha mai lavorato in un atelier di abiti da sposa. Questo è invece un tributo a sua madre. Tutto ciò potrebbe non suonare all’orecchio del pubblico italiano. Tuttavia siamo certi che ormai saprete che La Tata è tutt’altra cosa rispetto alla versione non doppiata, perciò non c’è da stupirsi delle differenze. Durante l’operazione di adattamento, per riuscire a veicolare gli stessi significati senza perdere l’effetto comico, in Italia abbiamo dovuto stravolgere non pochi elementi. Se volete conoscerli, in un altro articolo, avevamo già passato al setaccio tutte le differenze tra la versione italiana e quella americana. Quanti di voi, con grande rammarico e forse in tarda età, hanno dovuto scoprire che della tanto cara Frosinone in The Nanny non c’è traccia? Poco importa perché l’essenza non cambia. Tuttavia non è sulle differenze, più o meno marcate, su cui vogliamo concentrarci in questo articolo. La Tata, una delle sit-com più celebri degli anni Novanta, è un macigno importante nel bagaglio immaginifico di ciascuno di noi, indipendentemente dalla nostra generazione di appartenenza o dalla nostra provenienza. E pensare che il debutto fu un mezzo fiasco e che lo show fu salvato solo grazie alla benevolenza dell’allora presidente della CBS. Dopo una partenza disastrosa, infatti, The Nanny è diventata una sit-com leggendaria e amata da tutti, sebbene parli a pochissime persone.

La Tata non è una di noi

Francesca Cacace, La Tata
Francesca Cacace, La Tata

Il segreto dietro le serie tv più amate è forse quello di essere riuscite a fare leva sul bisogno di identificazione dello spettatore. La Tata, invece, ha deciso di far leva su un’altra forza, altrettanto potente. Non preme tanto sull’identificazione con i protagonisti bensì sul desiderio. In formato seriale avevamo già avuto diversi esempi. Eppure il meccanismo sfruttato da Fran Drescher è lo stesso utilizzato in Mary Poppins o in Tutti insieme appassionatamente. Lo spettatore non si identifica con la protagonista, ma vede in lei tutto ciò che desidera. I più piccoli vedranno una figura affidabile che li accompagnerà nel percorso di crescita; il genitore vedrà un’alleata; il parente, qualcuno di famiglia che lo tiri fuori dai guai; chi è in cerca di un partner, invece, potrebbe vedere un compagno disposto a prendersi cura dei propri figli. Non vogliamo essere Francesca Cacace (Fran Fine in lingua originale) sebbene potremmo invidiare la sua energia e il suo stile. Ma vorremmo averla come amica, mamma, baby sitter, sorella, zia, madrina o matrigna. Tata Francesca è per tutti, ma pochi possono averla, come succedeva ai bambini fortunati di Maria e di Mary Poppins.

Drescher, infatti, ha ideato la sit-com pensandola proprio come a una svolta di The Sound of Music in cui “Invece di Julie Andrews, ci sono io alla porta!”. Tuttavia venne prima la proposta, poi l’idea. Nel 1991, su un volo transatlantico, Drescher incontrò per caso Jeff Sagansky, all’epoca presidente della CBS Corporation. Con il suo personalissimo savoir-faire, Drescher lo convinse a organizzare un incontro in cui lei e suo marito gli avrebbero presentassero una proposta per una sit-com. Sagansky accettò malgrado né Drescher né Jacobson avessero idea di cosa proporre. L’idea venne più tardi, a Londra. L’attrice era in vacanza ed ebbe un’illuminazione mentre accompagnava a fare shopping la figlia adolescente della sua amica. La relazione amica di famiglia/teen ager funzionava a meraviglia in una modalità meno genitoriale e molto più umoristica. Così Fran chiamò suo marito raccontandogli l’idea. Quella che successivamente Jacobson promosse a pieni voti.

Una Mary Poppins perfetta, ma imperfetta

The Nanny, Fran Fine
The Nanny, Fran Fine

La famiglia Sheffield è quanto di più distante da una famiglia tipo degli anni Novanta. Perfino da una famiglia tipica delle sit-com. Non che nella realtà i nuclei familiari o i gruppi di amici somiglino a quelli di Beverly Hills, Cinque in famiglia, Willy, Il Principe di Bel-Air, Pappa e Ciccia o Friends, ma senza dubbio in queste storie è più facile trovare delle affinità. Maxwell Beverly Sheffield è un noto impresario di Broadway e produttore. È ricco, influente, ha un maggiordomo e dei figli educatissimi. Certo, da italiani siamo riusciti a trovare qualche affinità con la famiglia Cacace/Fine, sebbene i componenti fossero tutti alquanto sui generis. La Tata non ci somiglia per niente. Parla, forse, a un misero 0,1% della popolazione mondiale. Eppure, sebbene i presupposti così specifici e poco condivisibili, la sit-com è riuscita a parlare a tutti indipendentemente da ceto, portafoglio, genere, origine, cultura o etnia.

È vero. Francesca Cacace/Fran Fine ha poco in comune con Mary Poppins o con Mary di Tutti insieme appassionatamente. È rumorosa, esuberante, dispettosa, irriverente, vanitosa e molto sicura di sé. Ha tanti vizi e difetti, oltre ai pregi. Le sue origini umili – è un’ebreo-americana del Queens – e l’ingresso fortunato in una famiglia facoltosa potrebbero ricordare il meccanismo di ascesa sociale a cui di solito ambiamo, in perfetto stile American Dream. In parte, La Tata, incarna il sogno americano del self-made (wo)man solleticando in noi quel senso di rivalsa sociale. Tuttavia deve esserci dell’altro dietro il successo de La Tata. Qualcosa di ineffabile e inspiegabile che ci cattura perché riesce a connettersi al nostro fanciullo interiore. Eravamo negli anni Novanta, ne avevamo abbastanza di emblemi di perfezione incarnati da personaggi come la signora inglese per eccellenza, la tata un po’ severa ma premurosa che vive per i suoi bambini e pare non avere aspirazioni, sogni né bisogni umani. Eppure, nonostante Francesca sia una persona piuttosto comune, è la coesistenza di pregi e difetti, vizi e virtù a renderla speciale. Francesca è unica nella sua imperfezione, ma non è una di noi. È una supereroina dei nostri tempi che ci somiglia pur essendo straordinaria. Qualcuno che vorremmo avere al nostro fianco per raddrizzarci la giornata.

Fran Fine non è particolarmente intelligente né particolarmente elegante, colta, sciocca, furba, sgradevole, gradevole, divertente, fortunata, bella, simpatica o raffinata. Sarebbe una persona come tante se non avesse un dono speciale, un super potere. Quello di riuscire a riportare l’allegria e l’amore là dove mancavano da tempo. Francesca Cacace non è la persona che vorremmo o dovremmo diventare. Non è una tata ideale, una partner perfetta né un provetto genitore acquisito. È il calore umano. È l’entusiasmo, la verve, l’allegria e la perseveranza che non dovrebbero mai mancare in una famiglia per renderla unita e felice. È qualcosa che tutti cerchiamo costantemente, ma che pochi hanno la fortuna di avere sempre. Sarà per questo che la sit-com della CBS è riuscita a parlare a tutti, e continua a farlo, pur raccontando una storia incredibile, inverosimile e strampalata.

Fran bussa alla porta. A primo impatto sembrerebbe essere lei ad aver bisogno degli Sheffield. Invece, anche se faticano a crederci, è proprio di lei che hanno più bisogno. Di cui tutti noi avremmo sempre bisogno.