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The Beautiful Game – La Recensione: nessuno può salvarsi da solo

Una partita di calcio tra bambini, piccoli nelle loro magliette con i nomi dei propri idoli, in un parchetto di Londra. Un ragazzo talentuoso che ne fa una telecronaca dettagliata e che quando riceve il pallone, lungi dal ripassarlo, dà il via a un piccolo spettacolo. Una serie di genitori infastiditi, uno dei quali convinto che suo figlio sia il nuovo Cristiano Ronaldo solo perché è il sogno che ha per lui. Un uomo dallo sguardo attento che interviene per sedare gli animi e per prendere il ragazzo talentuoso sotto la sua ala. Potrebbero essere gli elementi di una scena reale, e molto probabilmente lo sono stati. Di certo sappiamo che costituiscono l’incipit di The Beautiful Game (che puoi trovare qui in streaming su Netflix).

I primi minuti della pellicola diretta da Thea Sharrock, da venerdì 29 marzo presente nel catalogo Netflix (qui puoi trovare altre serie che si nascondono fin troppo bene su Netflix), ci portano dritti nel bel mezzo di una storia che non sembra appena cominciata. Quando The Beautiful Game ha inizio, la sensazione che proviamo è quella di chi crede di essersi perso qualcosa. Chi sono queste persone? Cosa fanno nelle loro vite? Non lo sappiamo ancora. Ma per quanto all’inizio ci sentiamo catapultati nel bel mezzo di una storia già raccontata, le risposte che cerchiamo nel tempo arrivano. Lo fanno piano, scena dopo scena, durante un viaggio a Roma che sa di rivalsa: quello per partecipare alla Homeless World Cup.

Come sempre però, per capirci qualcosa, andiamo con ordine.

Il ragazzo la cui voce dà inizio a The Beautiful Game si chiama Vinny, è padre di una bambina, non ha un lavoro stabile e per questo vive in condizioni precarie nella sua auto. Non sappiamo cosa lo abbia portato nel posto e nella situazione in cui facciamo la sua conoscenza (o per lo meno non lo sappiamo ancora, ma non è un elemento che sarà spoilerato in questa recensione). Notiamo però fin da subito che è una persona tanto talentuosa quanto orgogliosa e che non è proprio semplice da gestire. L’uomo dallo sguardo attento invece è Mal, un osservatore attirato dall’abilità di Vinny con il pallone, ma non solo. Mal si avvicina a Vinny con una proposta strana e allettante allo stesso tempo: entrare nella nazionale di calcio e partecipare a un torneo internazionale. La nazionale è quella dei senzatetto inglesi; il torneo è – appunto – la Homeless World Cup.

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Vinny e Mal all’inizio di The Beautiful Game

In un primo momento Vinny non sembra molto allettato dall’idea. Anzi, per essere più specifici, ha l’aria di chi farebbe di tutto per non partecipare. Il ragazzo però cambia idea e parte per Roma con il resto della squadra, ragazzi senzatetto ognuno con la propria storia problematica alle spalle e un presente non ancora risolto. Ci sono Nathan, Aldar, Cal, Kevin, ma anche Rosita, Mika e tutti gli altri e le altre senzatetto provenienti non solo dall’Inghilterra, ma da 70 Paesi del mondo. Tutti accomunati dall’essere senzatetto, ognuno con la propria personalissima esperienza di vita. Ancora, tutti alla ricerca di un’occasione di rinascita. E l’occasione arriva proprio con la Homeless World Cup.

La Coppa del Mondo raccontata in The Beautiful Game non è solo realmente esistente, ma è stata una vera opportunità di riscatto per tante persone.

Fondata nel 2001 come idea per mettere al centro del dibattito pubblico la questione dei senzatetto e contemporaneamente per aiutare alcuni di loro, la prima Homeless World Cup si è tenuta in Austria nel 2003. Da allora è stata ospitata in giro per il mondo e ha aiutato migliaia di persone senza fissa dimora a cambiare vita e ad avere la seconda occasione che cercavano. È proprio da alcune di queste storie vere che i personaggi hanno preso forma. Personaggi non sempre facili da comprendere, soprattutto quelli ai quali viene dato più risalto, protagonista in primis.

Vinny è il giocatore più abile della sua squadra, e su questo non c’è dubbio. Al suo grande talento non si affianca però la voglia di fare gruppo con i suoi compagni. Si sente sempre una spanna sopra di loro pur essendo, di fatto, nella loro stessa situazione. Cominciamo a volergli bene perché capiamo la sua difficoltà nell’accettare la situazione che vive, ma contemporaneamente ci fa rabbia il fatto che sia continuamente pronto a sparare a zero sul prossimo. Cosa che, per sua fortuna, gli altri sono sempre pronti a perdonare. Il resto della squadra è invece molto più consapevole: ognuno ha lavorato o sta lavorando su se stesso, su un passato che non può cambiare e su un futuro invece ancora in divenire.

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Festeggiamenti durante una partita di The Beautiful Game

Ogni personaggio si fa portatore di una tematica importante.

Nathan è in disintossicazione, non può vedere sua madre pur essendo l’unica persona a lui vicina e vive con il peso del mondo sulle spalle. Cal ha perso la custodia di suo figlio piccolo dopo averlo lasciato solo per 48 ore a causa delle sue dipendenze, e prova con costanza a recuperare il suo rapporto con lui. Aldar è uno dei tanti rifugiati che tra Sudafrica, Inghilterra, Stati Uniti e numerosi altri Paesi nel mondo cercano un posto da poter chiamare casa. Dipendenze, guerre, difficoltà economiche, lutti, fallimenti personali: sono tanti i temi che The Beautiful Game tratta attraverso i suoi personaggi. Il modo in cui il film porta questi argomenti sullo schermo però non è mai privo di speranza e di un pizzico di ironia.

Si guarda più al futuro che al passato e si vede lo sport – il calcio in particolare – certo non come la soluzione a tutti i problemi ma come un potente strumento di cambiamento. La chiave però, più che nell’attività, sta nel gruppo. È un mantra che si ripete continuamente, a mio parere anche in maniera fin troppo didascalica: nessuno si salva da solo. Ogni personaggio vive nelle storie raccontate un’opportunità che va ben oltre l’idea di vincere il torneo, concretizzandosi nella possibilità di avere al proprio fianco qualcuno che ci creda davvero, che sia davvero convinto che insieme tutto è possibile. E se Mal per primo crea l’improbabile nazionale inglese dando a tutti i membri la possibilità di far parte di un’idea di collettività che come senzatetto gli mancava, sta poi a ognuno di loro coltivare i semi dei legami messi da lui.

Il risultato è una rivalsa che non può che essere collettiva.

Questo è il momento in cui mi tocca essere sincera e affermare che anche The Beautiful Game ha i suoi problemi. Ciò che il film vuole comunicare è fin troppo definito. Lo ripetono a gran voce non solo i gesti dei protagonisti, ma anche le loro parole. Lo dice Gabriella – un’inaspettata Valeria Golino appena vista anche in Call my Agent – Italia – all’inizio e alla fine del torneo, lo dice Mal, lo dice la squadra inglese al completo: insieme possiamo farcela, insieme la seconda occasione che meritiamo può essere realtà. Abbracciando la filosofia del Less is more, vi assicuro che se l’avessero detto meno si sarebbe capito comunque forte e chiaro. Anzi, lasciare spazio alla riflessione più che alla ripetizione non può che essere un punto di forza, almeno al cinema.

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Jason, Aldar, Mal, Kevin e Cal in una scena di The Beautiful Game

Ci sono un po’ di buchi di trama qua e là, rapporti che vengono accennati ma mai indagati nel profondo. Perfino alcune storie restano un po’ così, tra il detto e il non detto. E lo spazio ci sarebbe stato, in due ore di film belle piene. Eppure devo ammettere anche che, pur essendo io una persona non proprio dolce ed emotiva, The Beautiful Game mi ha colpita. Mi ha colpita la sua volontà di vedere il bello, mi hanno colpita i colori caldi e le inquadrature che questo bello lo mostrano costantemente. Mi ha colpita la capacità di non porsi mai verso gli spettatori come a dirgli “Dovete fare così”, ma sempre con un più aperto “Guardate cosa possiamo fare”. E di dare un bel messaggio a un pubblico potenzialmente infinito. È tra i migliori film recentemente usciti su Netflix? Certo, se ne sta parlando bene, ma forse no.

Ma The Beautiful Game non vuole essere più di ciò che è.

Una storia di rivalsa e di seconde possibilità, un’occasione di incontro e confronto. Un modo per dire che tutti possiamo sbagliare, cadere, ma tutti possiamo anche rimetterci in piedi. E in un mondo in cui siamo alla costante ricerca degli errori altrui, forse è proprio quello che abbiamo bisogno di sentirci dire.