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Jesse Pinkman ha imparato a convivere con il silenzio

Per anni abbiamo pensato che il suo destino fosse un’incognita. Che il prezzo delle sue azioni fosse stato pagato e che, magari, anche lui avesse avuto una fine degna della sua storia. Dopo Breaking Bad, il ritorno di Jesse Pinkman si trascina dietro la sofferenza e l’angoscia causate dagli errori del passato. Questo ragazzo è cresciuto, è cambiato e in El Camino abbiamo finalmente avuto la possibilità di dirgli addio. Di nuovo.

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Ne abbiamo scoperto l’epilogo e quei frammenti mancanti lasciati dall’episodio Felina. E grazie a questo ritorno di cui non eravamo certi di aver bisogno, abbiamo realizzato quanto il caos abbia influenzato l’evoluzione di Jesse. Andando a ritroso nel tempo non possiamo che contare i suoi fallimenti, le sue pene e i suoi tormenti, e scoprire che pesano più delle sue soddisfazioni. La sua vita si è sgretolata, pezzo dopo pezzo, episodio dopo episodio. E per reagire a quella sofferenza causata dal tossico legame con Walter White, a quella vita che gli andava stretta, egli si è spesso abbandonato all’autodistruzione.

Ma la perdizione non fa per Jesse. Rumori, musica, feste: attraverso queste distrazioni cerca di allontanare lo spettro della sua coscienza, senza riuscirvi.

Il rumore rappresenta una via di fuga dalla realtà. Il modo più semplice e istantaneo per evadere e dimenticare, per un attimo, tutti i propri demoni. In esso trova un equilibrio apparente, capace di ricordargli una vita della quale un tempo aveva il pieno controllo. Agli inizi di Breaking Bad conosciamo un personaggio irresponsabile, un disastro che cammina. La sua ingenuità è ancora intatta, così come quell’innocenza che non tutti colgono: feste, divertimenti e denaro sono il motore delle sue azioni. Non c’era spazio per il potere, tanto meno per la pace. Il mondo era privo di ordine e a Jesse andava benissimo così.

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Ma è quando tutto ha iniziato a vacillare che lo sfortunato Pinkman ha iniziato ad apprezzare le piccole cose. Le amicizie, le relazioni, la morale: Jesse matura e nel tentativo di fare la cosa più giusta, cieco e inconsapevole, diviene per Walter White pedina e al contempo arma.

Il baccano e la musica ritornano così con violenza nella sua vita, occupando quegli spazi vuoti originati dall’odio, dal rancore. Cade a pezzi, Jesse, annegando nella tristezza e cercando di ricordare – attraverso il chiasso e il casino dei party – quell’identità che ormai è perduta. Che sia la voce della fidanzata scomparsa Jane o una delle sue canzoni metal preferite poco importa: il silenzio gli è nemico, e per tale ragione non può circondarsene. La solitudine lascia spazio a quei pensieri che tenta di frenare, invano, e la quiete simboleggia così una coscienza che non riesce a redimersi.

I primi episodi della quarta stagione di Breaking Bad riflettono la desolazione provocata dalla perdita della morale. Il senso di colpa che prende il posto della felicità: così Jesse Pinkman si spegne.

Diviene uno spettro, vivendo in una casa piena di sconosciuti e vagabondi, di tossicodipendenti e truffatori. Nulla ha più importanza, perché sa già di non meritare nient’altro che il caos.

Ma il rapporto di Jesse con il silenzio muta ancora quando è catturato e reso prigioniero. In quella condizione egli è costretto a convivere con una quiete dalla quale non può più fuggire, incatenato – letteralmente – sia al proprio destino che al proprio passato. E con l’ultimo episodio della serie tv, il climax di emozioni causato da quell’urlo finale sembra spezzare una volta per tutte quel vincolo che lo trattiene ai propri rimpianti.

Una volta libero, Jesse fugge. Scappa dai suoi ricordi e dall’orrore, urlando. E il suo grido rappresenta molte cose, sia rabbia che paura, sia frustrazione che una voglia matta di libertà.

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Pensiamo che per Jesse Pinkman non ci sia altro che rumore, da quel momento in poi. Con quell’urlo si ritorna all’inizio dei giochi, e ne siamo convinti perché l’episodio si conclude così, lasciando alla nostra immaginazione la scelta di un epilogo perfetto per Jesse. Ma sbagliamo.

Perché in El Camino non c’è più quel ragazzino testardo e incapace conosciuto con Breaking Bad. In questo film una seconda chance rappresenta una nuova occasione per ricominciare e accettare quelle macchie che sporcano una coscienza già da tempo grigia. L’Alaska diviene il posto in cui ricostruirsi da capo, questa volta prendendo in mano le redini della propria vita, senza rimproveri. Dopo aver salutato tutti e aver risolto ogni questione lasciata in sospeso, Jesse va via. Fugge, ancora. Con una valigia piena di errori e rimpianti, egli si allontana verso il bianco e quella voglia di pace che, in passato, ha ripudiato.

Così il grido finale di Felina si contrappone a quella quiete alla quale Jesse, alla fine dei giochi, riesce ad abituarsi. Adesso il silenzio diviene la sua unica compagnia, incapace di giudicarlo, di definirlo in base alle sue colpe. Dei suoi fantasmi Pinkman non ha più alcun timore, poiché ha imparato a conviverci. E il silenzio di quegli istanti conclusivi di El Camino, rappresenta l’ultima conquista quel lungo viaggio che dura da anni.

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