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Breaking Bad è finito. Di nuovo

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Strano a dirsi, eppure si è concluso un altro capitolo. Erano passati sei anni dalla fine di una delle esperienze più belle e importanti nel mondo delle serie tv. Sei lunghi anni dalla fine di Breaking Bad. E dopotutto era un finale strepitoso e perfetto, che non lasciava troppo spazio alle speculazioni.

La morte di Walter White, con un ultimo sorriso compiaciuto in volto. L’allontanamento della famiglia, delusa dall’uomo che credeva di conoscere, come padre, come marito e come cognato. La rivalsa sulle due persone da Walt sempre invidiate. La polizia che indaga sul massacro che si è appena compiuto.

E poi c’è lui, seduto in quella macchina, con le lacrime di commozione che gli bagnano il volto. Finalmente libero. Jesse Pinkman era l’ultimo tassello mancante di Breaking Bad. L’unico di cui il destino non fosse chiaro. Era solo un piccolo regalo di Vince Gilligan per la nostra immaginazione, con la quale potevamo creare qualsiasi epilogo per quel povero ragazzo.

Il regalo con gli anni si è impolverato. Tenuto in soffitta, è stato dimenticato da tanti, forse anche dagli stessi attori. C’era bisogno di estrarlo dalle profondità dei nostri ricordi, pulirlo e ripararlo, per dare una degna e definitiva fine anche al “braccio destro” di Walter White.

Breaking Bad ha rimesso piede sull’acceleratore e ci ha regalato El Camino, e dopo 6 anni si è smosso ancora qualcosa in me.

Sarà stata l’empatia verso un personaggio che per tutto il tempo è stato schiavo del protagonista, e corrotto dal male che lo circondava. Incauto come tanti ragazzi che si sentono già persi a causa dei loro errori, senza contemplare una possibilità di rinascita.

Oppure i tanti flashback del film, che hanno contribuito a rendere onore a personaggi poco approfonditi come Todd o a regalarci dialoghi inediti a prima vista sciocchi, ma di grande rilevanza narrativa. A tal proposito Vince Gilligan ci mostra un Mike che si apre con Jesse e gli rivela, di fronte al suo posto preferito, cosa avrebbe fatto lui se avesse avuto la sua età. Già dai primi minuti abbiamo di fatto uno spoiler sul finale del film.

È la perpetua ricerca di un posto migliore per se stessi, dove poter seppellire il passato, diventato ormai talmente pesante da aver generato rimorsi e demoni in ogni angolo del New Mexico. Ritorna anche in questa scena la meravigliosa fusione di bene e male, che in Breaking Bad non hanno mai avuto una netta divisione.

È vero, Jesse Pinkman è un criminale. Un drogato, uno sbandato, uno senza arte né parte: un reietto per la borghesia americana. Ma Jesse Pinkman è anche una persona con dei sentimenti, debole come tanti. Desideroso di una vita normale ma schiavo di se stesso, delle sue dipendenze, e del male da cui è circondata la sua esistenza.

Un mondo in cui nessuno riconosce i suoi meriti, come un semplice diploma preso anni addietro.

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Attraverso queste scene, Vince Gilligan preme l’acceleratore anche sul presente, e ci regala una bellissima scena di fratellanza tra Jesse Pinkman e i suoi amici, che lo ammirano e fanno di tutto per aiutarlo, anche con i pochi mezzi che hanno a disposizione. Oppure il dialogo nel negozio di aspirapolvere, in cui il protagonista affronta a muso duro Ed Galbraith, colui che lo aiuterà nella fuga.

Certamente il film mostra i suoi difetti, con alcune scene talvolta non necessarie, o poco credibili e fuori contesto, come il duello tra Jesse Pinkman e Neil in cui l’omaggio a Sergio Leone diventa quasi una macchietta, in un film solo superficialmente di stampo action. Tuttavia, la semplicità con cui Vince Gilligan racconta la realtà così come appare, senza troppi substrati narrativi, compensa il peso sulla bilancia di momenti “morti”.

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In fondo non deve necessariamente succedere qualcosa di rilevante, si raccontano gli ultimi giorni di un personaggio che sta fuggendo per ricominciare una nuova vita. Si gioca molto sulla capacità di immedesimarsi nel contesto. Lunghissimi giorni passati a nascondersi e sfuggire alle forze dell’ordine, proprio come accadrebbe nella realtà, senza troppi drammi, se non quelli necessari per arrivare allo scopo.

Jesse Pinkman in El Camino è ancora una volta costretto a cedere al male, prima di poter arrivare alla salvezza.

Non vuole uccidere i poliziotti che lo ostacolano, non vuole lasciare un brutto ricordo alla sua famiglia, non vuole far fuori gli uomini che gli hanno portato via i soldi. Jesse Pinkman vuole solo 1800 dollari, chiesti con umiltà e disperazione, da un uomo che non ha più nulla da perdere, se non la cosa più importante di tutte: la sua anima.

Per tutta la durata della fuga, ancora una volta ci troviamo di fronte a un personaggio che è costretto dal contesto esterno in ogni azione, che non è mai stato libero di scegliere davvero cosa fosse giusto per lui. Ogni volta che compie qualcosa di terribile, i suoi occhi tornano a bagnarsi e una parte di lui si sente sempre più lontana dal suo scopo.

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Eppure con questo film, Breaking Bad ha regalato a tutti noi un giusto e coerente finale anche per Jesse Pinkman. Un addio diverso e simbolico, narrato soprattutto dalla fotografia. La macchina ora cambia forma e modello e non sfreccia più nella notte, sopra lo sporco asfalto di Albuquerque.

Ora è in mezzo a una rigogliosa foresta e ogni dolore viene dimenticato, accompagnato da soffici fiocchi che delicatamente bagnano le gialle foglie di alberi spogli, cambiando un panorama che da arido come il New Mexico, diventa vivo come l’Alaska. Invernale, come gli ultimi anni della sua vita, ma anche puro, come il colore della neve, la quale simboleggia quel ragazzo che ha finalmente ritrovato sé stesso.

Con questa scena Breaking Bad è finito, di nuovo. Il giusto epilogo per un personaggio che finalmente si è lasciato tutto alla spalle e ripensa alla donna che più di tutte ha amato, mentre una lettera viaggia per intere miglia, con la speranza che possa donare gioia e speranza anche a un ragazzo ormai orfano.

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