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#VenerdìVintage – Com’è nato Heroes

Tutti gli eroi sono stati persone comuni, prima di diventare speciali; così, anche le serie tv più famose non erano in origine che semplici idee nella mente del loro creatore: persino un cult come Heroes ha conosciuto il tempo delle prove, degli errori, dei cambiamenti di direzione e delle speranze…

Già, la speranza. Che ci crediate o no, uno degli show apparentemente più commerciali nel panorama delle produzioni americane è nato da questo labile sentimento umano: era il 2006 quando un collaboratore della NBC, lo stesso Tim Kring già autore di Crossing Jordan, guardandosi attorno e vedendo quanto la realtà fosse cattiva e spietata immaginò come sarebbe cambiata la Storia se un gruppo di individui dotati di poteri sovrannaturali fosse stato destinato a salvare il mondo.

 

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Nella vita ognuno ha un suo scopo, e i telefilm ci hanno mostrato che essere medico è una vocazione, che la rettitudine di un avvocato è in grado di fare la differenza e che un insegnante di chimica può rivelarsi un genio… Ma per Kring ciò non era abbastanza: secondo lui per difendere gli uomini da se stessi serviva una nuova specie, formata da creature sufficientemente umane da avere un cuore, ma anche capaci di compiere imprese quasi divine.

Ecco perchè decise di puntare su di loro, sugli Heroes.

Il potere di volare, quello di guarire da qualsiasi ferita, il dono di assorbire addirittura l’energia di altri esseri superdotati: era questo che serviva ai personaggi di Kring per emergere nella massa di persone tutte uguali e indirizzare la Terra verso una sorte possibilmente migliore.

Certo, gli Heroes non erano perfetti e non era nell’intento dell’autore renderli tali, perchè in caso contrario sarebbero stati delle divinità scostanti e superbe, assolutamente inutili per l’umanità; le motivazioni che hanno indotto una simile scelta sono probabilmente due: da una parte il pubblico avrebbe fatto molta fatica a immedesimarsi in protagonisti troppo “diversi“, mentre la natura ibrida dei nostri beniamini (capacità straordinarie unite però a caratteristiche emotive e psicologiche tipiche della gente comune) fa in modo che lo spettatore non solo provi simpatia per Peter, Nathan, Angela e gli altri, ma che addirittura arrivi a sentirsi un eroe in potenza… Non dimentichiamo infatti che i personaggi incarnano abitudini non troppo differenti da quelle di qualunque individuo: lavorano, vanno a scuola, hanno una famiglia.

 

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Inoltre, può darsi Kring abbia voluto inserire nella trama un concetto ancora più profondo: è vero, infatti, che il mondo di Heroes ha bisogno dell’intervento di esseri sovrannaturali, perchè gli uomini hanno fallito nel compito di proteggere il loro pianeta… Ma affidandone la salvezza a persone divenute speciali grazie a una mutazione genetica (e non a causa di miracoli o incantesimi) l’accento viene posto comunque sulla fiducia verso la nostra razza, sulla speranza nell’evoluzione in una specie più saggia, e non sulla religione. Eroi, non Dei.

Il messaggio perciò è chiaro: dobbiamo contare sulla nostre forze, non sulla Provvidenza.

In ogni caso, l’idea si rivelò vincente sin dalla messa in onda dei primissimi episodi; il pubblico si innamorò di questi nuovi volti della tv e in poco tempo la serie diventò oggetto di culto negli States (quello americano è forse il popolo più incline ad apprezzare le storie di personaggi superdotati, poichè l’ottimismo, l’autostima e la convinzione che le grandi imprese siano possibili e vadano tentate sono alla base della sua way of thinking): il pilot conquistò l’audience più alto che la NBC avesse registrato negli ultimi cinque anni nella fascia serale, e come debutto non era per niente male.

 

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Il successo proseguì poi, con un piccolo calo di ascolti nella terza stagione, fino al 2010. Il merito della riuscita del progetto va ovviamente a Kring e al suo staff, però non dobbiamo trascurare la presenza nel cast di alcune figure di indubbio talento, che utilizzarono Heroes come trampolino di lancio verso carriere assai rosee: ricordiamo per esempio Zachary Quinto, che qui impersonava Gabriel Gray e dopo poco avrebbe terrorizzato tutti nei panni di Bloody Face in American Horror Story; e insieme a lui Kristen Bell, la minuta ma grintosa attrice già nota al pubblico per il ruolo di Veronica Mars, la quale avrebbe in seguito prestato la sua voce a Gossip Girl e ad Anna (Frozen e Frozen Fever). D’altronde, la scelta di buoni interpreti esercita un peso non indifferente nel decretare il destino di un prodotto televisivo o cinematografico…

 

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Tuttavia nemmeno la genesi di Heroes è stata priva di inconvenienti, e anzi possiamo dire che la realizzazione di questo telefilm si sia rivelata una valle di lacrime per più di un collaboratore di Kring: tanto per cominciare, le riprese della seconda stagione coincisero con uno sciopero in pompa magna degli sceneggiatori, così la NBC si vide costretta a girare uno solo dei tre volumi previsti (spiegheremo nel paragrafo successivo cosa siano i volumi), mentre gli episodi effettivi passarono da ventiquattro a undici.

Il problema più grosso riguarda però l’insolita quantità di persone licenziate dalla produzione nel corso degli anni… Jesse Alexander e Jeph Loeb vennero liquidati nel 2008, in parte a causa di dissapori con i colleghi ma soprattutto per motivi di bilancio (quindi il budget necessario a sostenere il progetto stava aumentando più in fretta dei benefici che esso portava); la loro assenza costrinse gli sceneggiatori a ridimensionare la complessità delle storie e dei personaggi raccontati, il che non contribuisce mai alla crescita di uno show. A partire dalla terza stagione agli autori originali si unì Brian Fuller, il quale avrebbe dovuto rivestire un ruolo di spicco nella direzione dei lavori e che invece già dopo alcuni mesi piantò in asso Heroes e Kring. Nel frattempo, anche allo scrittore Greg Beeman venne dato il benservito.

Insomma, nonostante il grande successo la barca cominciava ad affondare, infatti nel 2010 la NBC rese nota la decisione di non rinnovare ulteriormente il telefilm: vennero formulate varie proposte riguardo un eventuale film ispirato alla saga, utile per dare un degno finale alle vicende degli eroi tanto amati dagli spettatori, però l’idea venne accantonata sul nascere e non se ne parlò più fino al concepimento di Heroes Reborn, sequel/reboot disgraziatamente debuttato nel 2015.

 

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Non dobbiamo comunque restare troppo delusi da tale amara conclusione: in fondo persino i prodotti migliori conoscono un arco di sviluppo limitato, e se i supereroi possono essere immortali, le serie tv purtroppo non lo sono.

Heroes, uno show strutturato in volumi

Le particolarità di questo format non si limitano alla trama e ai personaggi, ma riguardano anche la struttura inusuale di ogni puntata e delle stagioni in generale.

Innanzitutto, queste ultime sono suddivise in volumi, come se il telefilm fosse una quadrilogia contenente i libri che formano la saga (si veda Eragon); beh, quasi tutte le serie sono composte da varie stagioni che ricalcano essenzialmente lo stesso schema, però il fatto che qui si metta l’accento su un aspetto che lega Heroes più a un’opera letteraria che a una televisiva può essere interessante.

 

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Consideriamo un altro show dedicato ai supereroi, per esempio Smallville: esso narra la giovinezza di Superman, quindi è incentrato su un percorso prettamente personale che concerne l’esistenza di Clark. Certo, la sua presenza è determinante per decine di vite diverse, ma la storia è soltanto sua… Perciò ogni stagione è un pezzettino che si aggiunge alla maturazione di un unico personaggio, non riguarda un contesto universale.

Al contrario, Heroes ci mostra numerosi protagonisti, analizzati e raccontati sempre in vista di uno scopo più grande. Clark Kent salva l’umanità in varie occasioni, però ognuna di esse serve a tratteggiare meglio il suo carattere, laddove invece in Heroes accade l’opposto: il punto focale è la salvezza del mondo, la descrizione dei personaggi serve a spiegare come ciò avverrà. Da una parte emerge il protagonista, dall’altra il fine, la meta.

 

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Abbiamo quindi l’impressione che Kring abbia optato per la divisione in volumi per evidenziare l’universalità della sua creatura… Heroes ci parla della sorte di un pianeta e di una specie, pertanto assomiglia davvero a un enorme libro: un’enciclopedia dell’evoluzione, una Bibbia, e l’opera omnia di un autore.

Peculiare è anche il modo in cui ogni singolo episodio veniva realizzato: a dirigerlo era infatti un gruppo di persone, coordinate da uno sceneggiatore principale che variava da puntata a puntata; ogni elemento del team si occupava di un determinato personaggio, e in seguito l’autore “capo” riuniva le storie e le riadattava per farle combaciare: non si trattava di un lavoro di squadra, dunque, ma di un impegno individuale che solo a posteriori formava l’insieme della trama.

 

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Ciò permetteva sia di procedere più velocemente con la stesura degli episodi sia di coinvolgere ogni volta tutti i gli sceneggiatori presenti sul set. Inoltre, e più importante, da tale metodo scaturivano storie più verosimili, in quanto nell’ipotetica realtà di Heroes ogni personaggio viveva e agiva per conto suo, essendo magari all’oscuro di quel che facevano gli altri… Proprio come facevano gli scrittori dello staff.

Insomma, le idee geniali di Kring erano sempre azzeccate!

Save the cheerleader, save the world

Questa frase bizzarra (“salva la cheerleader, salva il mondo“) viene pronunciata nello show da Hiro Nakamura ed è in seguito stata usata come tagline di Heroes. Potremmo dire infatti che racchiude il significato più essenziale di tutto il telefilm, in quanto si riferisce al personaggio che, grazie ai propri poteri, avrà il compito di portare avanti l’opera dei supereroi attraverso i secoli.

Claire Bennett ha in parte le stesse capacità di Wolverine in X-men: come lui non invecchia, poichè i suoi tessuti sono in grado di rigenerarsi, e difficilmente può essere uccisa dato che, per la medesima ragione, può sopravvivere a qualsiasi ferita (a meno che non le si impedisca di guarire, per esempio privandola del cervello); nel corso della stagioni viene lasciato intendere che è destinata a vivere per migliaia di anni e forse a raggiungere l’immortalità. Quindi preservando la sua incolumità è in effetti possibile garantire alla Terra un futuro, perchè anche se gli altri eroi dovessero soccombere resterebbe lei a fare da custode all’umanità.

 

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Ora, all’inizio della serie Claire è un’adolescente che frequenta il liceo e fa parte di una squadra di cheerleader: e insomma, le ragazze pon-pon non sono mai state rinomate, almeno nell’immaginario comune, per la loro brillante intelligenza o per l’interesse verso qualcosa oltre al trucco, ai balletti e ai giocatori di football

Scegliendo proprio lei come ultima e definitiva speranza per il mondo, Kring ha voluto dirci innanzitutto che bisogna dare fiducia ai giovani, perchè se a sedici anni Claire può magari non sembrare adatta al ruolo destinatole, di sicuro crescendo diventerà la persona di cui l’umanità ha bisogno.

In secondo luogo, la cheerleader è l’ennesima dimostrazione del fatto che chiunque possiede i mezzi per cambiare il futuro

 

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Claire è un’eroina, ma possiamo esserlo anche noi ogni volta che prendiamo una decisione giusta, che abbiamo coraggio e che crediamo in noi stessi.

We could steal time, just for one day
We can be heroes, forever and ever
What’d you say?

(David Bowie, “Heroes”)