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#VenerdìVintage – Ryuk: quasi un narratore diegetico

Death Note è una punta di diamante nel mondo degli anime: grazie alla sua complessità, alla rilevanza delle tematiche trattate (come il dibattito sull’esistenza o meno della giustizia e la lotta tra il bene e il male) e alla capacità di creare dinamiche accattivanti, spesso è apprezzata anche da un pubblico che normalmente non fruisce di questo genere di narrazione. A suscitare questo grande interesse è, però, soprattutto la caratterizzazione dei personaggi, che ci hanno regalato sia momenti emozionanti che momenti che vorremmo cancellare dalla nostra memoria. Tuttavia, il rischio che si corre parlando di Death Note è quello di concentrare l’attenzione sul confronto tra Light Yagami ed Elle, sulla loro polarizzazione e su quale dei due sarebbe più giusto supportare. Ma questo anime non sarebbe lo stesso senza la figura Ryuk. Lo shinigami non è soltanto un personaggio di vitale (o mortale, visto l’argomento) importanza per la storia, ma è anche – in un certo senso – un narratore.

Come si combinano questi due ruoli essenziali dello shinigami di Death Note? E perché Ryuk è così importante all’interno della narrazione?

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Che Ryuk sia una delle colonne portanti di questo anime è chiaro allo spettatore fin dai primi istanti: è proprio con la sua immagine che si apre Death Note. Ci troviamo nel mondo degli shinigami, ovvero il mondo della morte, dove queste creature che trascendono dagli schemi usuali della vita trascorrono il loro tempo annoiandosi. L’unico modo per ingannare la monotonia è quello di scrivere, di tanto in tanto, il nome di uno dei loro compagni sui quaderni della morte, i Death Note: anche se gli shinigami non possono essere uccisi. A spezzare la routine è proprio Ryuk che, ingannando il suo re, si procura un secondo quaderno e lo fa “cadere” sulla Terra, nel mondo degli umani.

Ryuk è colui che accende il motore della storia: con il suo gesto scatena una serie di eventi che porteranno lo studente Light Yagami a impossessarsi del Death Note e diventare Kira, il temuto assassino che crede di agire per mano della giustizia, togliendo la vita ai criminali del Giappone. Ed è attraverso l’incontro di Ryuk con Light che lo spettatore comincia a cogliere le caratteristiche di questo shinigami che, da creatura in grado di dettare le regole della morte dovrebbe fare paura, intimorire il pubblico. Eppure, questo aspetto viene bilanciato dall’aspetto bizzarro di Ryuk e da elementi come la sua folle dipendenza dalle mele: impossibile non trovarlo simpatico.

Il rapporto tra Ryuk e Light, in un certo senso, mette in luce anche il particolare ruolo dello shinigami. Le dinamiche tra i due, ad esempio, sono molto diverse da quelle tra Light ed Elle, i due poli opposti della storia. I due ragazzi interagiscono tra loro, si spiano, si osservano, si avvicinano per controllarsi reciprocamente e si scontrano. Certo, si potrà obiettare, Light ed Elle sono nemici, la differenza tra queste dinamiche dipende dal fatto che Ryuk sta dalla parte di Light.

Ma siamo sicuri che sia davvero così?

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Più che un alleato di Light Yagami, Ryuk è una sorta di supervisore: lo mette al corrente del funzionamento del Death Note, fornendogli anche qualche cenno sul mondo e le regole degli shinigami – e allo stesso tempo permette allo spettatore di disporre di tutte le informazioni necessarie per seguire le vicende – ma non interviene mai in maniera preponderante nelle decisioni del ragazzo. Ryuk spiega, illustra e se consiglia lo fa riportando nozioni e concetti, senza calcare la mano, lasciando Light libero di sbagliare. O di fallire. È come se lo shinigami si mettesse ai margini della storia, come un controllore super partes che, dopo aver dato il via a tutto il meccanismo con l’esportazione del quaderno nel mondo terreno, lascia agire tutti gli altri.

Ma se Ryuk non si scontra con le decisioni di Light, in ogni caso le commenta, fa alcune considerazioni che non vengono udite o discusse da alcun personaggio: i destinatari di tali parole sono gli spettatori. E non è dunque il ruolo di un narratore, questo? Un narratore che ha annodato i fili dei suoi burattini per poi lasciarli muovere a loro piacimento…ma pur sempre legati: perché non dimentichiamoci che in ballo ci sono vite, o meglio morti, di persone. In ballo c’è un ragazzo, un normale adolescente che all’improvviso pensa di essere il padrone della morte e della giustizia, arrivando a compromettere anche l’esistenza del suo stesso padre. E tutto questo accade per il tentativo di Ryuk di sfuggire alla noia.

Perciò, è vero che lo shinigami si pone ai margini delle vicende, ma allo stesso tempo non bisogna dimenticarsi che si tratta dell’unica figura sovrannaturale dell’intera situazione: è colui che tiene le redini del gioco, oltre che essere l’unico che non ha nulla da perdere, non potendo essere ucciso. Ma perché una creatura così potente trova interessante mescolare le carte di una partita che dovrebbero giocare solo gli umani?

Forse, la più umana delle sue caratteristiche è proprio la curiosità. Ryuk vuole sapere come si comportano e come reagiscono le persone, in particolare Light Yagami, il possessore del Death Note. È come se lo shinigami si mettesse al fianco dello spettatore per cercare di capire in che modalità il potere del quaderno influirà su Light, fin dove il ragazzo sarà capace di spingersi.

Ryuk assisterà dunque al tentativo (consapevole o meno) di Light di diventare come lui: un padrone della morte.

Ma per un umano è possibile elevarsi al livello di uno shinigami? E uno shinigami come giudica un umano che cerca di fare una cosa simile?

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Dall’esito della missione di Light Yagami è chiaro che una persona normale in carne e ossa non può in alcun modo emulare uno shinigami, per quanto il Death Note possa regalare a un umano il presunto controllo della morte. Alla fine, Light perde del tutto sé stesso: non sembra più umano, ma non è nemmeno un dio degli inferi. Semplicemente è un ragazzo che è andato troppo in là, ha oltrepassato una linea che gli era preclusa: la sua stessa morte è inevitabile.

A scrivere il nome di Light Yagami sul Death Note è lo stesso Ryuk. Un gesto che rappresenta la chiusura del cerchio: Ryuk ha aperto la narrazione, Ryuk la chiude. E nelle parole dello shinigami si coglie tutta la sua essenza:

Ne abbiamo passato di tempo insieme, a scacciare la reciproca noia. È stato proprio uno spasso.

Lo shinigami non esprime particolare affetto per Light: una vita effimera, in confronto alla sua, la cui condanna era stata dettata nel momento esatto in cui il ragazzo aveva afferrato il Death Note per la prima volta. Questo ribadisce quando Ryuk sia al di sopra di ogni cosa, perché nonostante le vicissitudini trascorse con Light, non avverte la sua morte come una grave perdita. Anzi, è stato proprio uno spasso. A Ryuk va bene così, perché è così che doveva andare: non ha mai voluto salvare nessuno, il suo unico scopo è sempre stato quello di divertirsi.

E così lo vediamo anche nell’ultima scena di Death Note, che osserva tutto dall’alto, proprio perché lui è più in alto di tutti. Rappresenta qualcosa che noi umani non possiamo capire, né tantomeno controllare: la morte. Ed è come se Ryuk stesso ci avesse raccontato questa storia, per poi abbandonarci e tornare di nuovo nel suo mondo immortale. Senza rimpianti. Perché cos’è un breve periodo trascorso sulla Terra per uno shinigami destinato a vivere in eterno?

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