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La spiegazione del finale di The Young Pope

The Young Pope

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul finale di The Young Pope.

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Quando nel 2016 Paolo Sorrentino ha presentato al pubblico The Young Pope, ora disponibile su Now, era chiaro fin dal primo episodio che ci si trovava di fronte a qualcosa di radicalmente diverso. La serie non era solo una narrazione sulla Chiesa cattolica né un mero ritratto di un pontefice atipico, ma un esperimento audiovisivo e filosofico ambizioso: un affresco mistico, politico e intimamente umano che ruotava attorno al concetto di fede, potere e identità. Il protagonista, Lenny Belardo, un giovane americano diventato papa con il nome di Pio XIII, si presenta sin dall’inizio come un personaggio enigmatico, contraddittorio e al tempo stesso ascetico e crudele, mistico e vendicativo, devoto e smarrito.

Un uomo che sembra fuggire da Dio, pur cercandolo disperatamente. Il finale della prima stagione, visto che The New Pope costituisce una sorta di “sequel espanso” e non un prosieguo diretto, è, come l’intera serie, un finale aperto, denso di simbolismi, e volutamente privo di risposte semplici. È un epilogo che lascia sospesi, che suggerisce molto ma non afferma nulla con certezza. Perché The Young Pope non è un’opera che vuole spiegare, ma far riflettere. E per farlo, si serve del linguaggio più potente che Sorrentino conosca: l’ambiguità.

Una scena di The Young Pope

Per comprendere The Young Pope partiamo dal protagonista

Lenny è stato abbandonato da bambino, cresciuto in un orfanotrofio, educato nella fede ma anche traumatizzato dalla perdita e dalla mancanza d’amore. Questo trauma originario plasma la sua visione del mondo. Si tratta, infatti, di un papa che predica la durezza, che rifiuta di mostrarsi in pubblico, che impone una visione ultraconservatrice della Chiesa (qui le serie con sottotesto religioso). Ma anche di un uomo che ha paura di essere rifiutato, che teme di non essere degno di essere amato, nemmeno da Dio.

Durante tutta The Young Pope, pertanto, Lenny si comporta come un’autorità inflessibile, ma capace di pregare in solitudine con intensità quasi allucinata, di compiere o assistere a miracoli, di parlare con Dio in sogno, e di manifestare poteri inspiegabili. Ma è anche un uomo capace di infliggere sofferenze profonde, di manipolare chi gli è vicino, e di agire mosso da impulsi emotivi e personali più che da spirito evangelico. Questo dualismo rende il personaggio profondamente affascinante, tanto da apparire come una figura messianica che non sa se credere davvero nel proprio ruolo. È colui che si pone tra l’uomo e Dio ma che, nel fondo della sua anima, continua a cercare una risposta che non arriva mai.

Assistiamo a una lenta e significativa trasformazione del personaggio

Lenny inizia come un papa ermetico, autoritario, chiuso nei suoi gesti teatrali, ma con il passare del tempo qualcosa si incrina. Le sue rigidità iniziano a vacillare quando è costretto ad affrontare i propri fantasmi (ecco le serie con fantasmi). Tra gli altri, la morte del cardinale Spencer, figura paterna e spirituale; la crisi del suo amico Gutierrez, esiliato e malato; il confronto con Voiello, che da nemico diventa quasi un alleato; e, soprattutto, la continua assenza della madre biologica, che resta una ferita aperta e mai guarita. Tutto questo lo conduce lentamente a una consapevolezza diversa, a un’apertura alla grazia.

Nel penultimo episodio di The Young Pope, per la prima volta, Lenny si mostra al mondo, affacciandosi dal balcone di San Pietro. Non più un’ombra nascosta, ma un volto umano. E infine, compie un ulteriore passo: si reca in missione in Nepal, a contatto con i più fragili, i bambini malati, offrendo un’immagine del pontificato radicalmente diversa rispetto all’inizio della serie. La sua omelia alla Basilica di San Marco, è il momento culminante di questo processo. Un discorso toccante, pieno di compassione e di speranza. Non vi è traccia dell’arroganza iniziale, né del tono profetico e apocalittico che aveva contraddistinto le sue prime uscite pubbliche. È un messaggio sull’amore, sulla fragilità dell’uomo, sul bisogno reciproco.

È il culmine della sua umanizzazione. Eppure, proprio in questo momento di apertura e verità, accade l’inaspettato. Di fatto, Lenny crolla, si accascia, perde conoscenza e viene soccorso in mezzo ai fedeli. La scena successiva lo mostra in viaggio verso l’Himalaya, dove si reca per incontrare i bambini malati. Qui, in una sequenza sospesa tra sogno e realtà, Lenny guarda il cielo e “vede” le figure centrali della sua vita: Sister Mary, il cardinale Spencer, i suoi genitori. Figure che sembrano sorridergli, accoglierlo, perdonarlo.

Lenny Belardo

Il suo volto si illumina, le lacrime scendono e poi chiude gli occhi

La camera si allontana lentamente, e The Young Pope si chiude sul buio. Non viene detto se sia morto, in coma, o semplicemente in preghiera. Questo finale ha suscitato interpretazioni molto diverse. Alcune delle più diffuse menzionano la sua morte come liberazione spirituale, dopo aver finalmente trovato una forma di pace interiore, dopo aver abbandonato la maschera del pontefice impassibile, aver accolto l’amore e perdonato il mondo. È un finale da beato: una morte in grazia, un trapasso sereno, un ritorno al Padre. Le visioni finali sarebbero l’anticamera del Paradiso, la sua resurrezione spirituale, più che fisica.

Se pensiamo invece a un’estasi mistica, le immagini del cielo non sarebbero visioni da morente, ma simboli di una consapevolezza piena, di una fede finalmente totale. È il momento in cui Lenny vede Dio, o meglio, sente davvero la sua presenza nel volto delle persone amate. Non è la morte, ma una trasformazione interiore definitiva. Infine, si contempla anche un’ambiguità voluta dal regista di The Young Pope. In questo caso il mistero è la risposta e il finale non va spiegato, ma vissuto. A tal proposito, la fede vera, quella che Lenny cerca per tutta la vita, si fonda proprio sull’assenza di prove, sull’abbandono fiducioso nel mistero.

È impossibile non considerare l’estetica di The Young Pope

Sorrentino (qui la classifica dei suoi migliori film) è maestro nel trasformare ogni inquadratura in un quadro, ogni movimento di macchina in un gesto coreografico, ogni dettaglio in simbolo. Il finale ne è appunto la summa, con il volo della camera verso il cielo, il montaggio sospeso, la luce mistica, il battito cardiaco che cresce lentamente fino a svanire nel buio. È un viaggio visivo tanto quanto spirituale. La fotografia è rarefatta, i suoni ovattati, i colori quasi irreali. È il linguaggio dell’estasi, del sogno, della trascendenza, tanto da sembrare un’esperienza sensoriale.

Una domanda definitiva che molti si pongono a questo punto è: Lenny Belardo è un santo?

La risposta, ancora una volta, dipende dal significato che si attribuisce alla santità. Se per santo intendiamo un uomo privo di peccato, Lenny non lo è mai stato. Ma se pensiamo alla santità come capacità di amare nonostante il dolore, come tensione verso il bene pur tra mille contraddizioni, allora Lenny può esserlo. Sorrentino sembra suggerire che la santità non sta nella perfezione, ma nell’imperfezione accolta. Lenny è un papa giovane, sì, ma soprattutto un uomo ferito, che ha saputo trasformare la sua ferita in cammino spirituale.

Ciò detto, la conclusione di The Young Pope non è un punto d’arrivo, ma un trampolino verso l’invisibile. È un invito alla riflessione, alla sospensione del giudizio, al confronto tra ciò che vediamo e ciò che non vediamo. Non chiude, ma apre. In un mondo narrativo sempre più dominato dalla chiarezza e dalla razionalizzazione, Sorrentino compie un atto radicale restituendo al mistero il suo posto centrale. E così facendo, costruisce un’opera che non si limita a raccontare una storia, ma tenta di toccare l’anima. E forse, in fondo, è proprio questo che ci si aspetta da un’opera sull’incontro tra uomo e Dio: non la risposta esatta, ma la domanda giusta.