Vai al contenuto
Serie TV - Hall of Series » The Bear » Lo chiamano cugino, ma a Richie abbiamo voluto tutti bene come un fratello in sole due stagioni

Lo chiamano cugino, ma a Richie abbiamo voluto tutti bene come un fratello in sole due stagioni

Se ci avessero detto nella prima stagione che il nostro personaggio preferito di The Bear sarebbe diventato Richie, non ci avremmo mai creduto. Insomma, era scontroso, irritante, ribelle, sgarbato e Fak, senza mezzi termini, lo descriveva nel pilot della serie tv Disney+ come: “sempre e per sempre… fottutamente il peggiore”. Certo, quello non era un bel periodo per Richie: stava attraversando un divorzio, aveva paura di perdere tempo con sua figlia ed era immerso nel dolore e nel senso di colpa per la morte di Michael. Per di più, lottava contro la gelosia verso Carmy, che aveva ereditato il The Beef, e contro Carmy stesso che voleva cambiare tutto del locale del suo amico fraterno. In un ristorante pieno di persone danneggiate, distrutte e senza scopo, Richie sembrava il più danneggiato, il più distrutto e il più senza scopo di tutti; una bomba di risentimento, rabbia e ribellione che nascondeva la paura in quelle urla.

Era facile odiare Richie. Quel cugino non di sangue, eppure così vicino a Michael da entrare ufficialmente nei Berzatto. Così lo chiama Carmy, a sottolineare quel loro strettissimo legame che li rende una vera e propria famiglia. Quasi come se, senza Michael, Richie si sentisse in dovere di essere lui il fratello maggiore di cui Carmy necessitava disperatamente.

Allora, il più grande trucco magico della seconda stagione di The Bear è stato trasformarlo in qualcuno così facile da amare. Nel fratello che tutti vorremmo e a cui vogliamo un bene dell’anima.

The Bear crede sinceramente nell’auto-miglioramento e rifiuta di dare ai suoi personaggi caratterizzazioni superficiali. Li rende umani, veri e con loro ci identifichiamo immediatamente. E Richie non fa eccezione nella serie su Disney+. Perché dietro quel credere che il suo sia l’unico modo per affrontare i problemi della ristrutturazione, dietro il voler dire sempre la sua quasi con prepotenza, c’è semplicemente il desiderio di rimanere nel flusso, aggrappato con le unghie e con i denti a un qualcosa che gli sta sfuggendo di mano. Richie è in quella fase della vita in cui pensa che, gradualmente, lo stiano mettendo da parte, che nessuno si sarebbe più fidato di lui e che stia perdendo quel potere che un tempo aveva. E con il divorzio e il cambio di direzione al locale, teme di aver perso il controllo sulla sua intera esistenza. I suoi continui battibecchi con Sugar e Fak non sono solo espedienti comici, ma rispecchiano il sentire di Richie. Cerca di essere un supervisore anche se non è quello il suo lavoro, per rendersi utile e visibile agli altri. Come dire: “Ci sono e sono ancora importante per il ristorante”. Soprattutto, dietro quel suo fare eccessivo, si cela la paura di sbagliare e deludere così la sua squadra, non prendendosi cura di loro a dovere. Non essendo il fratello di cui hanno bisogno.

Il suo cuore è al posto giusto. Lo è da sempre. Lo evidenzia perfettamente quel gioiello di episodio flashback chiamato Fishes. La sua vita non sta andando bene, perché non riesce a trovare lavoro al di fuori del The Beef, ma non l’abbiamo mai visto così felice. Anzi, è una delle poche volte che lo è in The Bear. È il Natale prima della nascita di sua figlia, sta ancora con Tiffany e sono entusiasti dell’arrivo della loro bambina. Quel tenero momento che condividono insieme in passato aggiunge uno strato di dolore ed empatia sulla nostra prospettiva del Richie di oggi, con ancora indosso speranzoso la sua fede nunziale. Il modo in cui si prende dolcemente cura di Tiffany e cerca di calmare come può un agitato Michael getta le basi per quello che vedremo nello stupendo Forks.

Se Fishes ci aveva mostrato le origini di Richie, Forks si concentra sulla sua crescita e sulla ricerca di uno scopo nella vita.

Richie non capisce all’inizio perché Carmy l’abbia mandato a lavorare in un ristorante di lusso; anzi, pensa sia una punizione. Ma scopre ben presto che si sbaglia. Dopo essersi sfogato sull’inutilità di passare nove ore a lucidare posate, gli viene detto che deve imparare il rispetto. E qualcosa si accende nella sua mente, un qualcosa che lo rende sempre più preciso e attento. Passa a cameriere e si cambia d’abito. Ha un vestito elegante che “sembra un’armatura”, come dice a Garrett. Non è solo una battuta divertente, ma mostra che la mentalità di Richie è cambiata. Con l’abito addosso, si sente professionale e aumenta il suo senso di rispetto non solo verso gli altri, ma anche e soprattutto per sé stesso. Un qualcosa con cui Richie aveva sempre lottato in tutta la sua vita. E da quel momento, l’armatura non se la toglierà più.

Richie, osservando l’attenzione e l’efficienza dei camerieri, impara da loro e scopre così il suo talento. Quello che Carmy aveva già intravisto in The Bear. Inoltre, comprende da chef Terry una lezione importantissima: qualsiasi compito, non importa quanto banale o piccolo sia, vale la pena purché sia ​​tempo ben speso. Perché ogni secondo conta. Ed è mentre pelano funghi insieme che emerge il lato compassionevole di Richie e la sua profonda capacità di connettersi con le persone. Di arrivare ai nostri cuori. Soprattutto, capisce che il suo tempo non è finito, che la vita non l’ha sconfitto e che il treno passa sempre; basta saperlo prendere.

the bear

Ed ecco che ora, con uno scopo e degli obiettivi in The Bear, il suo modo di lavorare e di stare con le persone cambia totalmente. Come con Sugar.

Durante la serata amici e famiglia al The Bear, Richie è in perfetto controllo della situazione. Lavora in sintonia con Syd, supporta i suoi colleghi e li corregge se c’è bisogno, senza però sminuirli. Con la sua armatura si trasforma nel ragazzo pronto a entrare in azione ovunque gli altri abbiano bisogno di lui. Soprattutto per Carmy. Nel loro scontro sembrano ricadere nelle dinamiche della prima stagione, finché Richie non mostra che quelle parole che fanno male perché vere, quel paragonarlo a sua madre Donna e quello sputargli in faccia che lui non lascia mai che gli accada qualcosa di buono, in realtà, sono dettate dalla preoccupazione, non dalla rabbia. Ed è anche l’accettazione del ruolo da leader di Carmy e di quanto quest’ultimo significhi per Richie, dopo aver perso Mickey e aver visto la donna dei suoi sogni rifarsi una vita con un altro. Nel momento più emotivo di The Bear, divisi dalla porta di una cella frigorifera ma insieme nell’inquadratura, l’uno bianco immerso nell’oscurità e l’altro in nero nella luce, Richie comprende che il suo lavoro con Carmy non è finito. Sarà la sua guida, il suo Michael, nonostante le discussioni e le urla.

È scattato qualcosa in Richie e quel “I love you” che dice ripetutamente a Carmy è così impattante, perché inaspettato. Il vecchio Richie non l’avrebbe mai detto se non a sua figlia; forse rimpiange di non averlo fatto con Michael, forse troppo poco con Tiffany. Ma ormai è una persona nuova, che amiamo follemente e che ha compreso il suo ruolo e il suo scopo. Diventando il fratello di Sugar, di Carmy, di tutti noi. E l’ha fatto perché, come canta Taylor Swift:

It’s a love story, baby, just say, “Yes”

Richie ha detto semplicemente sì a sé stesso. Sentendosi libero e vincente per la prima volta. E non potremmo essere più commossi, felici e innamorati di un personaggio così umano, così vicino a noi e che, con pazienza e fatica, ritrova il suo vero io.