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Sissi può essere il vero crocevia della serialità Mediaset

Sissi, la miniserie tedesca trasmessa sui canali Mediaset (disponibile gratuitamente in streaming sulla piattaforma Mediaset Extra) è arrivata lo scorso dicembre a scuotere il palinsesto dell’emittente televisiva. Una versione audace e profondamente diversa dalla maggioranza delle fiction trasmesse da Canale 5 e che, proprio per il suo spirito monello, ha fatto storcere il naso agli spettatori più affezionati. Buona parte del pubblico abituale è rimasta delusa. Gli appassionati di storia hanno sguinzagliato i mastini, polverizzando ogni incongruenza dopo la prima manciata di frame. Il pubblico abituato a vedere la tv con i propri figli, invece, si è gettato sul telecomando per cambiare canale, preoccupato per la sovrabbondanza di scene esplicite. Infine i più nostalgici hanno edificato una roccaforte inespugnabile al grido di “Romy Schneider non si tocca“. Un vero e proprio scandalo a corte, insomma. L’imperatrice ha resistito come trend topic per diverse settimane sui social, fomentando il chiacchiericcio a tal punto che l’ultima puntata della miniserie è stata vista da 3.201.000 di italiani (14.7% di share). A detta della rete nostrana, la serie, ottenuta in esclusiva, ha superato ogni aspettativa. Non solo, ma potrebbe aver riaperto una nuova partita per Mediaset. Sembrerebbe infatti un tentativo di riguadagnare terreno in un campo da cui – quanto a innovazione – l’emittente è assente da decenni. Perché, nonostante sia una serie d’importazione e non un prodotto Made in Mediaset, Sissi rappresenta indubbiamente qualcosa di diverso. Una novità in un catalogo composto per lo più dalle fiction tradizionali e da prodotti esteri che, seppur gradevoli, non attirano troppa attenzione.

Una miniserie come Sissi potrebbe quindi riavvicinare sia un pubblico più giovane che quegli spettatori che hanno abbandonato la rete per mancanza di contenuti di loro interesse? Si tratta di un prodotto davvero diverso dalla programmazione seriale di Mediaset oppure è solo un’altra soap-opera in chiave moderna? Proviamo a capirlo insieme.

Non si tratta di un documentario

Dominique Devenport

Mediaset non faceva tanto parlare di sé con una serie tv, forse, dai tempi di Elisa di Rivombrosa: un esperimento diverso per la rete, che ha segnato un’era mediatica. La nuova Sissi con Dominique Devenport e Jannik Schümann è scandalosa. Volutamente. Il canale televisivo tedesco RTL+ ha prodotto una versione dichiaratamente sfacciata e poco attinente alla storia. L’intenzione di fondo, a giudicare dal risultato finale, sembra essere quella di distruggere gli stereotipi culturali creati dalle numerose versioni cinematografiche. Prima fra tutte: l’incensata trilogia con Romy Schneider. In nessun caso l’intento dei suoi creatori, il regista Sven Bohse e la sceneggiatrice Brigitte Müller, è mai stato quello di realizzare una versione storicamente accurata.

La miniserie ha scelto una figura storica nota al solo scopo di veicolare dei messaggi attuali e urgenti. L’imperatrice Elisabetta d’Austria è entrata nell’immaginario collettivo soprattutto per il suo spirito libero e per la sua bellezza. La leggenda, poi, è stata edificata dal cinema e dalla tv. L’idea che l’opinione pubblica ha della “principessa” è sostanzialmente viziata ed alquanto edulcorata. Dagli storici sappiamo, più o meno tutti quanti, che dietro alla leggenda si cela una vicenda ben diversa e una sovrana dall’animo irrequieto, infelice e tormentato. Una storia che il pubblico, probabilmente, si aspettava di conoscere, magari proprio grazie a questa ultima miniserie. La serialità attuale è finalmente matura e senza dubbio raccontare l’altra faccia del mito sarebbe un ottimo spunto narrativo. Tutti quanti gradiremmo seguire una vicenda storica dove emerga un’immagine verosimile di sua maestà imperiale. Eppure non spetta alle serie tv il compito di indagare il passato. Per quello abbiamo già ottimi divulgatori e documentaristi. L’incontro tra storia e finzione può certamente dare degli ottimi frutti; basta pensare a Downton Abbey o L’impero Ottomano. Sissi però non ha mai espresso questa volontà. E ce lo fa capire sin dalla prima puntata. Certamente si può scegliere di non seguire la serie perché non si amano le libere interpretazioni. Ma le continue, e polemiche, comparazioni con la vicenda storica, viste alla luce di queste premesse cristalline, sono superflue.

Sissi vuole distruggere la fiaba

Sissi

Il lavoro che hanno condotto i nostri cugini tedeschi non è dissimile da quello che stanno compiendo in casa Shondaland. Sia Bridgerton che Sissi, infatti, raccontano una storia attuale ambientata nel passato per offrire nuovi riferimenti culturali. I limiti di questa delicatissima operazione di riscrittura li conosciamo benissimo e non è facile prendere una posizione univoca. Il rischio di incappare nella cancel culture è sempre dietro l’angolo. Ma se allo spettatore vengono fornite subito le chiavi di lettura, come è stato fatto, tutto diventa più chiaro. Per apprezzare la vicenda del Duca e Daphne e quella di Sissi e Franz bisogna dimenticare il contesto storico. L’ambientazione è solo una scelta stilistica.

Gli intenti di entrambi i prodotti sono artistici e provocatori perché ciò che vediamo è una vicenda volutamente anacronistica. La cornice storica serve allo spettatore solo per comprendere meglio ciò che ancora non funziona nella società attuale. La nuova Sissi tedesca perciò propone una lettura del presente piuttosto che una rilettura del passato. Ma si serve di una figura impressa nell’immaginario collettivo. Non guarda alla figura storica in sé, bensì a quella idealizzata della “principessa”, incarnata appunto da Romy Schneider e, nella versione Mediaset, da Cristiana Capotondi. E il fatto che i nostalgici gridino allo scandalo è la dimostrazione che l’intento è più che riuscito.

Da archetipo della principessa bella e infelice, come direbbe Barbero, la giovane duchessa diventa così un modello di donna emancipata, sia sessualmente che politicamente. La figura storica, ovviamente, già si prestava a questa rilettura contemporanea. Dalle cronache sappiamo dell’insofferenza di Elisabetta verso i costumi e i dettami dell’epoca. La miniserie però si spinge oltre, manifestando un’intenzione dichiaratamente progressista. Ciò che propone è però un modello femminile libero dai cliché e dagli stereotipi consolidati negli anni ’50, con i film. Sissi guarda alla storia: non a quella di fine XIX, ma a quella del secolo scorso, quella che proponeva dei modelli femminili irraggiungibili. Non solo, ma fa a pezzi anche il mito della mascolinità tossica, ancora preponderante in troppe produzioni, proponendo una versione di Franz fragile, impacciata politicamente e poco “principesca”. L’intenzione della miniserie è dunque quella di distruggere la favola. Scardinare i presupposti della cavalleria e quel modello femminile che vede la donna come una fanciulla indifesa e da salvare, la cui unica virtù risiede nella bellezza estetica canonica. In questa storia, invece, la principessa ha un aspetto semplice e seduce il principe non inchinandosi e sfoggiando la faccia tosta di chi sa cosa vuole essere.

La miniserie tedesca è una serie davvero diversa da quelle del palinsesto Mediaset?

Sissi

A un primo sguardo Sissi sembrerebbe solo una soap-opera contemporanea che strizza troppo l’occhio al politically correct, come la versione di Shonda Rhimes. Eppure nessuna delle due serie presenta gli elementi caratteristici delle soap, come ad esempio gli intrecci sentimentali improbabili, i primi piani basiti, una recitazione mediocre e le scene piccanti a rallentatore. Sissi non è nulla di tutto questo. Anzi, propone una narrazione piuttosto dark, realistica e crudele. Però, come è successo anche a Bridgerton, l’intensa attività sessuale dei protagonisti ha monopolizzato l’attenzione, attirando più polemiche che elogi. Sul web abbiamo letto fin troppi pareri offensivi. Dagli spettatori sconvolti dalle scene di autoerotismo femminile, definite “inaccettabili”, a quelli che accusano sia Sissi, sia Daphne di essere “sessuomani impenitenti” oppure “modelli fuorvianti e peccaminosi per le ragazzine”. Delle accuse retrogradi, mosse da un perbenismo obsoleto che i due prodotti, appunto, vogliono combattere. Sissi può non piacere. Non è certo un prodotto tra i più eccelsi, tecnicamente e narrativamente parlando. Tuttavia non propone né una visione frivola né superficiale. Pur non dicendo nulla di nuovo, ha il coraggio di cavalcare quell’onda di programmi e serie tv che guardano a un futuro più inclusivo, più libero e paritario.

La serie tedesca di RTL+ ha dato vita a una vera e propria Sissi-mania, seguendo la scia di quei prodotti seriali che sfruttano la storia per smascherare le contraddizioni che la società ancora nasconde. Una tendenza che risponde all’urgenza sociale di costruire dei nuovi modelli di riferimento, almeno per i più giovani.

Mediaset, aggiudicandosi in anteprima una miniserie evento come questa, manifesta quindi l’intenzione di sedersi allo stesso tavolo dove, da anni, siedono anche Netflix, Sky, Amazon e i principali player della serialità. La conquista di Sissi è da vedere quindi come un cenno di apertura della rete verso un intrattenimento più sensibile al presente. Un’operazione che forse cerca di essere solo più concorrenziale, ma che potrebbe aprire scenari davvero interessanti per la tv generalista.

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