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Pax Massilia – Recensione della nuova serie francese su Netflix

ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste incappare in spoiler su Pax Massilia.

Da un po’ di anni a questa parte i nostri cugini d’Oltralpe hanno deciso di investire nel mondo della serialità televisiva per scrollarsi di dosso quella ormai desueta patina di eccessivo buonismo che aveva così ben caratterizzato i prodotti francesi.
Il salto di qualità che le serie TV transalpine hanno fatto negli ultimi anni è sotto gli occhi di tutti. Comedy, dramedy, crime, thriller ma anche fantasy: nessun genere è stato risparmiato, fortunatamente, regalandoci alcune perle davvero, davvero interessanti.
Anche Pax Massilia (Blood Coast, il titolo in inglese), uscita lo scorso 6 dicembre 2023, non è da meno rientrando perfettamente nel solco oramai tracciato.

Massilia è il nome latino di Marsiglia, la seconda città più importante di Francia dopo Parigi. Affacciata sul Mediterraneo è sede di uno dei più importanti porti europei ed è considerata una tra le città più pericolose di tutto il mondo. Non stupisce quindi che questa prima stagione composta da sei puntate della durata circa cinquanta minuti l’una sia ambientata nelle sue strade, tra il Vieux Port e le sue banlieues, luoghi abbandonati dalle istituzioni dove regna il caos e vige la legge del più forte.
Ideata da Kamel Guemra (Proiettile vagante e C’est tout pour moi) questa prima stagione ha come protagonista una squadra di poliziotti della narcotici di un commissariato cittadino. Il gruppo è composto da tre uomini e due donne impiegati nella continua lotta contro la criminalità collegata al traffico di droga. Ognuno di loro è ben lontano dall’essere un cavaliere senza macchia e senza paura e nel corso delle puntate le magagne di ciascuno verranno a galla intralciando il corso della giustizia e mettendo a dura prova i legami di amicizia e di fedeltà.

Pax Massilia, 640×360

Pax Massilia, però, non si limita a seguire l’eterna lotta tra il Bene e il Male. Sarebbe troppo semplice e scontato. Così, la squadra di sceneggiatori (alcuni dei quali alla loro prima esperienza) decide di complicare le carte in tavola affinché per lo spettatore non vi siano certezze alle quali appigliarsi. Con risultati non proprio eccezionali, bisogna dire.
Ma andiamo con ordine. La serie si apre con un funerale. Il peggiore al quale si possa assistere. La bara, infatti, è bianca ed è quella di un bambino. Una nutrita folla è distrutta dal dolore. A essa se ne aggiunge un’altra composta da agenti di polizia in borghese e in tenuta d’assalto. Scortano un detenuto venuto rendere omaggio alla salma. L’uomo ha i capelli e la barba lunghi, e l’aria decisamente affranta. Nel bel mezzo di un lungo momento di cordoglio un terzo gruppo comincia a sparare per liberare il detenuto riuscendo nell’impresa e lasciando a terra un nutrito numero di vittime.
Un inizio davvero strong, che ben predispone lo spettatore al prosieguo. L’azione riprende otto mesi dopo la carneficina e nell’arco di qualche scena ci vengono presentati i protagonisti. Da una parte, come detto, c’è la polizia. Dall’altra i malviventi. In mezzo, una serie di personaggi più o meno loschi, distribuiti equamente da una parte e dall’altra, a fare da sottobosco e arricchire la storia. Almeno nelle buone intenzione degli autori.

A dirigere le puntate di questa nuova produzione Netflix è stato chiamato niente meno che Claude Marchal, considerato ormai il maestro del polar (neologismo francese nato dalla fusione di due generi cinematografici e letterari: policier e noir). Marchal, prima intraprende la carriera di regista, è stato un poliziotto e conosce molto bene le atmosfere e le dinamiche del genere. Suoi sono, infatti, il celeberrimo 36 Quai des Orfèvres (indirizzo della sede della polizia giudiziaria di Parigi) con Daniel Auteuil e Gerard Depardieu, e Braquo.
La mano del regista è chiara, netta. Nonostante le giornate soleggiate l’atmosfera è cupa, carica di fatalità. Si respira un’aria pesante, impiombata dall’enorme quantità di proiettili sparati per le strade. La violenza di certe scene è edulcorata dalla musica che spezza i lamenti dei morenti, come a voler alleggerire il tutto, risultando, invece, ancora più spietata e sanguinaria.
È palese la mano di un regista che conosce molto bene il suo mestiere. E proprio per questo, complice una sceneggiatura della quale parleremo tra poco, si ha l’impressione di essere di fronte a un esercizio di stile. Perché c’è tutto, in Pax Massilia: sesso, droga, violenza, morti ammazzati. Ma manca quel quid che l’avrebbe resa un indimenticabile capolavoro del genere.

La sensazione che resta sulla pelle è quella di aver già visto tutto. Brutale, molto efficace, sempre sull’orlo del precipizio ma incapace di spingersi oltre, di gettare il cuore al di là dell’ostacolo. Come se gli autori non avessero osato prendersi dei rischi preferendo restare là, sull’orlo del baratro, per non precipitare nel vuoto.
Marsiglia è meravigliosa, sullo sfondo. Pulsa, si agita, freme. Fa venire voglia di andare a visitarla, di viverla, di capirla. Non solo per la sua particolare bellezza ma anche, e soprattutto, per i personaggi che l’abitano, che lo fanno con quella sicurezza e sfrontatezza che ricorda un po’ la prima Gomorra che tanto abbiamo amato. Con una differenza sostanziale: da una parte la polizia, i buoni. Dall’altra i malavitosi, i cattivi.
Ed è proprio qui che sta il grosso problema. Probabilmente troppo inquadrati nei rispettivi ruoli tanto da risultare persino macchiettistici in alcuni frangenti (e certi dialoghi, purtroppo, non aiutano) gli autori hanno voluto confondere i confini tra legalità e illegalità regalando a ciascun personaggio una doppia faccia. Così il buono lascia intendere di non esserlo del tutto e il cattivo dimostra di avere un cuore e un’etica, tutta sua.
Risultato? Fantasmi del passato che ritornano, demoni da esorcizzare, colpe da espiare e trasgressioni da espletare. Molti cliché e non abbastanza coraggio, da parte degli autori, di prendere posizione. Una posizione che faccia esclamare, in positivo, allo spettatore: cosa cavolo ho appena visto?

Pax Massilia, 640×360

Pax Massilia non brilla per l’originalità dei suoi intrighi, d’accordo, ma i suoi interpreti sono bravi nei rispettivi ruoli, questo va detto.

Ripuliti ciascuno dei relativi stereotipi, hanno tutti il giusto physique du rôle che permette loro di essere credibili. Tewfik Jallab, nei panni del capitano Lyès Benamar, è carismatico e trasuda una intensa oscurità sublimata dalle scelte e quel mezzo sorriso a fine stagione. L’incertezza che lo accompagna non è una discriminante e la sua credibilità nel ruolo di poliziotto determinato non viene mai minata. Accanto a lui troviamo Jeanne Goursaud, già vista in Barbari, nel ruolo di Alice Vidal, vendicativa poliziotta con la funzione di bussola morale del gruppo, l’unica capace di superare l’istinto in favore di una ragione che spesso tende a latitare.
Nel gruppo dei poliziotti ci sono anche Olivier Barthélémy, nei panni di Arno, poliziotto con famiglia e una moglie malata di cancro; Lani Sogoyou, nei panni di Audrey, poliziotta che subisce l’ira e la violenza dei cattivi; e Idir Azougli, nei panni di Tatoo, poliziotto apparentemente sciocco e problematico ma dotato di un gran cuore e una sete inestinguibile di giustizia.
Per i cattivi ci sono Samir Boitard nei panni di Ali Saïdi, richiamato in Francia per vendicare la morte del fratello, spacciatore; Nicolas Duvauchelle, nei panni di Frank Murillo, sanguinario e vendicativo, in cerca della sua vendetta personale e niente altro; e Moussa Maaskri, già visto ne L’Immortale, nei panni di un crudele e spietato assassino disposto a tutto pur di riuscire a emergere nel mondo della delinquenza.

Questa nuova produzione Netflix, estremamente nervosa e con ritmi da far girare la testa, non sfrutta pienamente il potenziale che i suoi personaggi offrono, in particolare quelli di contorno. Un po’ meno adrenalina e un po’ più di background e il risultato sarebbe stato quasi eccellente. Nonostante gli autori ci provino non si raggiunge mai una intensità emotiva tale da empatizzare con questo o quel personaggio e si rimane un po’ troppo spettatori e un po’ meno parte integrante della storia.
Nell’insieme Pax Massilia arriva troppo in fretta dritta al dunque, girando poi su se stessa e tralasciando una quantità di dettagli che l’avrebbero resa certamente epica. Non è per nulla un prodotto da dimenticare, anzi. Va ben oltre il semplice intrattenimento ma lascia un po’ di amaro in bocca, un senso di incompiutezza, di occasione mancata.