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Dobbiamo assolutamente parlare di Manhunt: Unabomber

C’è un pezzo di storia del quale l’America parla mal volentieri. Ma è un pezzo di storia che attraversa tre decenni e che, da qualunque lato la si guardi, ha segnato profondamente la società statunitense. Ed è la storia di un genio che ha messo in ginocchio una nazione intera, solo per poter comunicare con essa.

Manhunt: Unabomber, la prima Serie Tv targata Discovery Channel, ricalca quel periodo storico nella sua totalità, tenendosi ben alla larga dagli stereotipi, senza giudicare ma limitandosi ad esporre i fatti, tra romanzo e realtà. E sono questi gli ingredienti che portano la Serie su un territorio quasi mai esplorato prima dal crime e che ha raggiunto con Mindhunter il picco massimo.

Ecco, partiamo da lì. Il paragone con la Serie Tv prodotta da Fincher ha senso e Manhunt: Unabomber non fa proprio nulla per evitare il confronto. Ce ne rendiamo conto già dal font del titolo, per non parlare dello stile della locandina, che in parte lo richiama, e dagli sviluppi della trama, più interessata ad approfondire minuziosamente il tramite che il fine.

Anche in questo caso, inoltre, un criminale offre lo spunto per inaugurare un nuovo campo scientifico applicato alla criminologia, nella fattispecie quello della linguistica forense. E aggiungiamoci anche che, come Holden Ford in Mindhunter, anche il protagonista di Manhunt: Unabomber è talmente ossessionato dall’indagine da arrivare alla più totale alienazione con il mondo circostante.

Ma qui le similitudini si fermano, perché Manhunt, forte dell’essere una storia vera, riprodotta con uno stile quasi documentaristico, diviene il teatro per rappresentare al meglio il dualismo tra i due personaggi principali.

Manhunt è il connubio tra genio e follia dei suoi due protagonisti, James Fitzgerald e Ted Kaczynski. La trama procede alternando due livelli temporali – che poi diventano tre nella spettacolare sesta puntata, tutta incentrata sui flashback del giovane Kaczynski – in cui riusciamo a entrare nella psiche dei due personaggi, apparentemente agli antipodi ma in realtà fin troppo simili.

Da un lato vi è Fitz, profiler dell’FBI, talmente focalizzato sul suo obiettivo (quello, appunto, di catturare Unabomber) da fare terra bruciata intorno a sé. Senza riserva alcuna, infatti, egli decide di abbandonare la propria famiglia, a più riprese contravviene agli ordini dei superiori, senza parlare del tradimento riservato ai pochi colleghi rimastigli accanto.

Dall’altro vi è Ted Kaczynski, alias Unabomber. Un genio, un matematico, un ecologista, un anarchico, ma soprattutto un individuo incapace di socializzare. Rintanato nella sua capanna, in una sperduta foresta è attraverso i pacchi bomba, inviati ai simboli della società industriale, che egli cerca di far valere le proprie idee. Quelle che gli sono state taciute sin da bambino.

E allora ecco che la Serie si fa portatrice di altri temi, penetrando in tutte le falle della società americana. Su tutti, spicca il tema dell’incomunicabilità familiare, che permea tutta la Serie e che è una delle chiavi per giungere alla cattura di Unabomber. Ma che rappresenta anche la causa primaria del profondo disagio interiore vissuto da Ted Kaczynski.

Fitz e Ted, pertanto, rappresentano due facce della stessa medaglia, due geni incompresi che riescono a esprimere se stessi solo al culmine della loro solitudine sociale. E in questo scontro tra due forze uguali, le loro azioni si mischiano e si confondono, tanto che è difficile per lo spettatore schierarsi apertamente col buono.

Mentre il profiler si rivela un egoista compulsivo (l’ossessione, una volta catturato Ted, lo porta a vivere come quest’ultimo, in un’affascinante riproposizione della dialettica schiavo-padrone), l’agire di Kaczynski è reglato da un egoismo etico, che punta a preservare il libero arbitrio dell’essere umano. Impedendo, con la forza se è necessario, che l’individuo sia schiavo inconsapevole della società in cui vive.

Ed è quindi nel monologo iniziale che ritroviamo l’essenza di questa Serie brillante e per nulla scontata. Perchè Manhunt: Unabomber è un manifesto (termine utilizzato non a caso) dell’ineluttabilità dell’essere umano che vive nell’illusione del libero arbitrio e si crogiola di ciò.

Voglio che pensi un attimo alla posta. Non darla per scontata come una pecora compiaciuta e sonnambula, pensaci davvero: ti prometto che scoprirai che le Poste USA sono degne della tua contemplazione. Un pezzo di carta attraversa un continente come i bigliettini passati in classe. Posso mandarti biscotti dall’altro capo del mondo e devo solo scrivere il tuo nome sul pacchetto, metterci dei francobolli e depositarlo nella buca. E vedi, funziona solo perché ogni persona nella catena agisce come un automa senza cervello. Io scrivo un indirizzo e loro obbediscono. Nessuna domanda. Nessuna deviazione. Nessuna fermata a contemplare l’eternità, la bellezza o la morte. Anche tu che rivendichi il tuo libero arbitrio, se arriva un pacchetto con sopra il tuo nome non puoi nemmeno immaginare di non obbedire. Beh, non è colpa tua. La società ti ha reso così. Ma sei una pecora e vivi in un mondo di pecore. E proprio perché siete tutti pecore, incapaci di fare altro se non obbedire, posso allungare la mano e toccare chiunque, ovunque. Posso allungare la mano e toccare te, proprio ora….

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