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Dal declino alla rinascita: Lovely Boy è una storia ricorrente raccontata con grande originalità

Lovely Boy è il nuovo film di Francesco Lettieri prodotto da Indigo Film e Vision Distribution e trasmesso su Sky a partire dal 4 ottobre. È una pellicola amara e ruvida, perfettamente adattabile sulla realtà contemporanea. Una storia piena di grinze, con un interprete che riesce a colpire nel segno anche stavolta. Andrea Carpenzano è Niccolò, l’astro nascente della scena trap romana. Lovely Boy il suo nome d’arte. I tatuaggi sul viso, i capelli colorati, una certa malinconia nello sguardo. Francesco Lettieri pesca dalle tendenze del nostro tempo un tema ricorrente, quello della giovane star che, raggiunto il successo, conosce un lento e inevitabile declino. È su questo topos che costruisce la sua opera, senza però cadere nel cliché e nel luogo comune. Lovely Boy non è una fotografia del mondo trap, non vuole scandagliare quell’universo per renderlo più comprensibile a chi magari non lo capisce. È un’immersione nella quotidianità allucinata dei suoi protagonisti, ragazzi che dietro l’appariscenza nascondono una sensibilità che fatica ad esprimersi per le vie tradizionali.

Lovely Boy è una spirale di vuoto dalla quale si arraffano pezzi per poter ripartire.

Lovely Boy

Il film (date un’occhiata alla classifica dei 9 migliori film italiani acclamati dalla critica internazionale che puoi trovare su Netflix) si assesta tutto su due registri, che si sovrappongono per tutti i 105 minuti di visione. Due registri diversi in tutto, non solo temporalmente: da una parte c’è Nic nel pieno del suo successo, attorcigliato nelle sue mille pieghe e abbagliato dalle luci dei locali. Dall’altra, c’è lo stesso protagonista dopo la caduta, dopo il tonfo, un Nic che cerca di riossigenarsi e afferrare di nuovo la sua vita. Esistono dunque due linee temporali, presente e passato. I flashback costituiscono un vero e proprio filone narrativo che insegue per tutto il tempo quello principale, affiancandolo e supportandolo. In realtà, è come se avessimo due film in uno. Le musiche sono diverse, le inquadrature variano e la regia cambia completamente. Persino scenografia e fotografia si collocano agli antipodi. Lovely Boy ci parla di due personaggi diversi, dissimili anche nella capigliatura, protagonisti di un percorso che conosce innumerevoli svolte.

Nic è un ragazzo emotivo, che lascia sul tragitto svariati indizi per carpire parte di questa sua sensibilità. È una star che si impone sulla scena musicale trap della Capitale, ricavandone un successo immediato, inatteso, fulminante. Si è buttato in un mondo che fa dell’assenza di contenuti il suo punto di forza – “il rap ha dei contenuti, la trap no” – ma chi prova a cimentarsi in questo genere musicale lo fa con estrema consapevolezza, quasi una sorta di irrimediabile richiamo a un nichilismo vero e proprio. Gli artisti trap trovano nell’insensatezza un senso che nella cultura moderna, impostata su schemi standardizzati e stereotipati, non riescono a rintracciare. Ma sono anche ragazzi folgorati dal successo, che molto spesso non riescono a gestirlo. Da qui la necessità di scappare, di rifugiarsi in un mondo altro, che può anche essere quello della droga e delle dipendenze.

Il Nic dai capelli rosa è esattamente questo: un fuggiasco della vita che trova momentaneo riparo tra le sostanze stupefacenti. Un Lovely Boy destinato irrimediabilmente a diventare un Lonely Boy.

Gli occhi sono la finestra dalla quale ci affacciamo su questo mondo. La camera indugia parecchio sugli occhi, ne mette in risalto le pupille dilatate, li cerca attraverso il finestrino della macchina, li maschera dietro gli occhiali scuri che schermano la realtà e la rendono più accettabile, meno sgradevole. Gli occhi di Nic, resi straordinariamente credibili da Andrea Carpenzano, sono il vero mezzo attraverso il quale possiamo perforare lo strato superficiale del protagonista e indovinarne gli stati d’animo.

C’è un’altezza dalla quale Nic prende consapevolezza della sua vita, dell’annientamento al quale si sottopone quotidianamente. Ed è l’altezza che separa metaforicamente i due film da cui è composto Lovely Boy. Seduto su un ponte, con ancora i capelli rosa, Nic sceglie di cadere, di lasciarsi precipitare nel letto del fiume, estraneo all’esistenza. Anche nel finale del film il ragazzo raggiunge una cima, un’estremità dalla quale riesce a guardare con maggiore chiarezza la sua vita. Ma stavolta non si lascia cadere, sceglie di non capitombolare a terra, di rialzarsi dal fondo. Lovely Boy non ci parla di quel che sarà di Nic dopo la sua esperienza in una comunità riabilitativa. Ci suggerisce un finale che però resta aperto, ci propone delle riflessioni, non traccia una via univoca, ma tratteggia mille altre possibilità.

Lovely Boy

Sul piano stilistico, Francesco Lettieri punta molto sulla differenza tra i due registri narrativi.

La scena romana è dominata dai colori psichedelici, dalla confusione, catturata da una camera sempre in movimento. Le immagini si confondono, le musiche assordanti amplificano il caos. La perdizione trova la sua materializzazione sullo schermo attraverso gli scatti nervosi della telecamera, le luci accecanti delle discoteche, la testa annebbiata del protagonista. Le scene nella comunità di recupero sono invece lente e misurate. I colori sono quelli tenui della natura circostante, le voci dei personaggi sono chiare, limpide, non si fa fatica ad ascoltarle. C’è un senso di rilassatezza che si dilata su tutto lo schermo, le inquadrature sono fisse, ferme, i personaggi sembrano riacquistare una loro stabilità nel mondo circostante.

Il regista ha provato a riprodurre sullo schermo stati d’animo ed emozioni diverse, i due punti intermedi di una parabola che ha voluto raccontarci la caduta e la risalita di un Lovely Boy con una zampetta di troppo.

Lovely Boy

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