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La coda del diavolo – La recensione del thriller di Sky con Luca Argentero

Luca Argentero è il protagonista de La coda del diavolo
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ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler sul film Sky La coda del diavolo

Dimenticatevi il rassicurante medico Andrea Fanti (a proposito, qui le ultime notizie sulla prossima stagione di Doc). La coda del diavolo ci presenta un Luca Argentero assolutamente inedito, nei panni di un membro della polizia penitenziaria in fuga dopo essere stato incastrato per un misterioso omicidio in carcere. Il film, realizzato da Sky, adatta l’omonimo romanzo di Maurizio Maggi, e mette in scena un’adrenalinica caccia all’uomo che si svolge in una Sardegna molto cruda e suggestiva. Sante Moras (questo il nome del personaggio interpretato da Luca Argentero), si trova d’un tratto braccato e, con l’aiuto dell’intrepida giornalista Fabiana Lai (Cristiana Dall’Anna), tenta di svelare il complotto che lo ha costretto alla fuga.

Siamo di fronte a un film interessante. Denso, dalla durata di circa un’ora e mezza, e capace di mantenere costante il ritmo narrativo. Oltre al lato intrattenente, La coda del diavolo riesce anche a stimolare alcuni ragionamenti intriganti (di cui in parte si è parlato nella conferenza stampa di presentazione a cui abbiamo partecipato), come quelli che avvolgono e intrecciano la moralità e la giustizia e fanno i conti col dilagare del male nella società. Se non nell’umanità stessa. Un’operazione interessante, dunque, che come detto ci offre anche uno sguardo su un Luca Argentero diverso dal solito, in un ruolo cupo e per certi versi oscuro. Gettiamoci, dunque, nel racconto del film Sky, parlando delle varie componenti che ci hanno colpito.

La struttura narrativa de La coda del diavolo

Iniziamo parlando della struttura narrativa de La coda del diavolo. Questa risulta particolarmente aderente al genere scelto, con un ritmo costante, determinato più dalla fuga di Sante che dal mistero della scomparsa delle ragazze. L’inizio è molto adrenalinico, con la scena della giovane che prima riesce a scappare e poi viene uccisa. Da qui comincia a figurarsi il dramma del protagonista, che viene incastrato dopo la visita inquietante di un misterioso avvocato, che gli propone di uccidere l’aguzzino di inizio film in cambio di una lauta ricompensa.

La fuga di Sante occupa gran parte del racconto ed è oggettivamente la componente più interessante. Resta un po’ più sullo sfondo, tematicamente ma non concettualmente, il mistero della “coda del diavolo” e del traffico di ragazze, che stimola riflessioni più di quanto intrattiene. Nonostante questo leggere squilibrio, comunque, le diverse componenti del racconto risultano tutto sommato ben amalgamate, e si crea un equilibrio godibile in cui rimane costante la giusta tensione. Aiuta anche la durata concisa del film, che con un minutaggio di poco più di 90 minuti non permette grosse dispersioni di ritmo.

Un insanguinato Sante Moras in fuga
Ph Credits: Francesca Ardau

La durezza della Sardegna

Particolarmente riuscita è l’ambientazione del film. La Sardegna è una terra che possiede un’anima ben definita, che si coniuga alla perfezione col tono del racconto. Tutta la narrazione è segnata da una certa durezza, che si esprime anche nei piccoli dettagli. Le facce bruciate dal sole. La mani segnate dal lavoro. I suoni cacofonici delle celle che sbattono. I tintinnii delle chiavi che aprono quelle celle. Tutto concorre a creare un clima di particolare asprezza, esaltato proprio dall’ambientazione sarda, presentata sopratutto nella sua parte più selvaggia e naturale.

La natura regna incontaminata. I boschi e il mare sono i due poli di un’ambientazione quasi sospesa nel tempo, che esalta quell’assoluto che, come vedremo presto, rappresenta un po’ la cifra concettuale di tutto il racconto. C’è una coniugazione ben riuscita tra il dilagare incontrollato del male e il dominio incontrastato della natura. E la Sardegna si presta benissimo a questa volontà espressiva del film.

La moralità e la giustizia: i due poli de La coda del diavolo

Dopo aver parlato delle componenti narrative e contestuali, andiamo più a fondo del cuore ideologico de La coda del diavolo. La storia di Sante ruota intorno a due concetti fondamentali, che come anticipato nel paragrafo precedente si fanno assoluti in questa narrazione: la moralità e la giustizia. I due elementi si intrecciano a fondo (d’altronde intrecciati lo sono per natura) nella parabola del protagonista, che prima viene messo di fronte a una difficilissima scelta morale (uccidere per dare giustizia) e poi si trova beffato da quella stessa giustizia, che lo cerca e lo bracca. Alla fine possiamo asserire che, in un certo senso, la “giustizia trionfa”, ma in realtà il discorso è un po’ più profondo.

La giustizia personale di Santo trionfa. E senza bisogno di macchiare la propria moralità. Ma che ne è della giustizia globale? E della moralità? Torneremo su questo aspetto parlando del finale, che sancisce una sorta di trionfo dell’inevitabilità del male. È interessante, però, sottolineare come La coda del diavolo costruisca il proprio ragionamento su concetti elevati ma ambigui, come la moralità e la giustizia, per arrivare a delineare un male assoluto, che certamente si può sfidare, ma che probabilmente non sia può pretendere di poter sconfiggere.

Fabiana Lai diventa la principale alleata di Sante durante la sua fuga
Ph Credits: Francesca Ardau

Il triangolo dei personaggi principali

Facciamo una piccola digressione per parlare di un altro aspetto importante del film. La cosa del diavolo ci presenta un Luca Argentero inedito. E questo lo abbiamo detto. Ma ci presenta anche una bravissima Cristiana Dell’Anna e un Francesco Acquaroli sempre sul pezzo. Loro tre, con i rispettivi personaggi, dominano la scena e intessono una fitta rete di rapporti che orienta il racconto. Il polo di riferimento di questo triangolo è Sante Moras, posto sempre al centro della scena. La telecamera si sofferma spesso e volentieri su di lui. Ne esalta movimenti e le espressioni, ne accentua lo smarrimento quando inizia la fuga e la decisione quando passa al contrattacco.

Siamo di fronte a un uomo chiuso, riservato, quasi inaccessibile, che si trova però a dover improvvisare per trovar prima un piano di fuga, e poi uno di attacco. Al suo fianco la giornalista, idealista e spregiudicata, Fabiana Lai, che ci restituisce anche lei un senso di moralità davvero elevato. A concepimento del triangolo c’è il commissario Lago, chiamato a riscattare gli errori del passato e a discernere, stavolta, tra la vera giustizia e quella fallace. Tornano gli elementi di cui abbiamo parlato nelle parabole dei protagonisti. E tramite queste arriviamo al finale, il passaggio più denso concettualmente di tutto il film.

Il finale de La coda del diavolo

C’è più riflessione che narrazione nel finale de La coda del diavolo. O meglio, l’azione sicuramente non manca, ma è meno interessante del messaggio che racchiude l’epilogo. Nella conclusione assistiamo al trionfo di Sante, ma si delinea solo vagamente l’organizzazione criminale, i cui contorni vengono lasciati volutamente sfumati. In questa scelta c’è la dimostrazione di ciò che dicevamo prima. Di quanto sia dilagante e inevitabile il male.

“Fermare quelle persone è come fermare le onde del mare” afferma nel finale Sante, e l’idea che La coda del diavolo vuole propinare è proprio quella dell’esistenza un male vasto, diffuso e implacabile. Come il mare. Questa è una metafora potentissima, che racchiude un po’ tutti gli elementi toccati sinora. Il male è immenso e all’apparenza inarrestabile. Eppure qualcuno deve affrontarlo (e qui torniamo alla moralità e alla giustizia). È un po’ come il mare, impervio e imprevedibile. Potenzialmente pericolosissimo Ma ciò non impedisce di tentarne la navigazione.

Questo è lo splendido finale de La coda del diavolo. Un epilogo denso, che apre sicuramente a scenari futuri, ma che allo stesso tempo conclude alla perfezione l’esperienza di Sante di morte e resurrezione. Un viaggio all’inferno andata e ritorno, tra i gironi di una Sardegna meravigliosamente selvaggia. Questo apparato concettuale impreziosisce sicuramente un thriller molto valido, che rispetta il proprio genere di appartenenza e regala una visione appassionante. La coda del diavolo, dunque, è un buonissimo film, che ci fa vedere un Luca Argentero inedito, ci fa vivere una Sardegna magnetica e ci fa ragionare su come giustizia e moralità si interfacciano con un male immenso e implacabile.

Se amate i thriller, non perdetevi l’adrenalinica The Day of the Jackal