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Black Sails ha una grandissima occasione

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 4×01 e la 4×02 di Black Sails

Qui si può scrivere la storia. Stavolta non si parla della crociata piratesca contro il colonialismo britannico, ma dell’Olimpo delle serie tv. Black Sails, dopo esser arrivata alla quarta e ultima stagione di un’incredibile epopea, ha a disposizione dieci episodi per meritare una definizione finora legittima solo a tratti: capolavoro. Un termine del quale spesso si abusa. Un termine che dovrebbe essere utilizzato con il contagocce per una celebrazione realmente all’altezza. Una semplice parola che sintetizzi idealmente un lavoro mastodontico che rasenti la perfezione, come fatto con Breaking Bad o Sherlock.

Una volta arrivata a pochi atti dall’attesissimo series finale, Black Sails è giunta ad un crocevia fondamentale: rimanere la sorella minore di Game of Thrones agli occhi dei più, oppure emergere definitivamente con una forza dirompente. Le potenzialità ci sono, perché il prequel de L’isola del tesoro di Stevenson è scritto bene come in pochi altri casi sia sul piano della costruzione di trama che su quello della caratterizzazione dei personaggi e il percorso intrapreso nella quarta stagione ha tutte le carte in regola per raggiungere picchi di epicità sorprendenti, ma ogni giudizio resterà sospeso fino alla 4×10. I primi due episodi ci hanno detto tanto a riguardo, e hanno confermato provvisoriamente il percorso di crescita inarrestabile intrapreso fin dalla seconda stagione.

Black Sails

La terza stagione si era conclusa con la dolorosa scomparsa di Charles Vane e la configurazione di un equilibrio che avrebbe potuto portare al successo finale dei nostri pirati ma, come abbiamo imparato a capire negli ultimi tre anni, in Black Sails tutto è perennemente in gioco e i capovolgimenti di fronte sono all’ordine del giorno. La Storia ci ha già detto come finirà questa storia e il capolavoro di Stevenson ribadisce chi conoscerà le tristi sfumature del tramonto e chi la gloria effimera di un’alba dai tratti ambigui, però risultava difficile immaginare alla vigilia che quadro ci saremmo trovati di fronte dopo due episodi. John Silver si è trasformato definitivamente nel famigerato “Long”, Flint dovrà cedere il passo all’amico (definizione pericolosa come non mai) e arrendersi alla frantumazione del suo sogno, mentre l’epopea piratesca volgerà al termine per un motivo esplicitato indirettamente a più riprese nell’arco dei primi due episodi: una vera nazione nasce grazie ad un’unità d’intenti inscindibile.

La passione degli individui è il motore pulsante di un collettivo, ma è un’arma a doppio taglio pericolosissima, se non si maneggia con cura. Nel caso dei pirati caraibici, sarà la motivazione principale della rovina: John Rackham e il celeberrimo Barbanera non troveranno mai un’armonia costruttiva se fondata unicamente sulla voglia di rivalsa per la morte di Vane, così come Billy e Flint hanno già dimostrato quanto possano essere incisivi i fantasmi del passato. E poi c’è Silver, il più importante: l’altruismo non è mai stato il suo forte, ed essere un capopopolo non è mai sufficiente per trasformarsi in leader in virtù degli obiettivi più ambiziosi.

Black Sails

D’altro canto, il fronte avversario delineatosi combatte in nome di una nazione sempre più vicina ed una voglia di rivalsa che ha costretto una forza maggiormente strutturata a parlare la stessa lingua dei nemici, fino a ritrovarsi in una guerra civile combattuta ad armi impari. Ce lo dimostra la determinazione del governatore Woodes Rogers, lo conferma l’immane brutalità del capitano Berringer e lo testimonia, per una volta, la chiarezza di Eleonor Guthrie, i cui intenti sono ora definiti come mai erano stati del tutto nelle prime tre stagioni. Non tiferemo mai per loro perché la storia dei pirati caraibici ha molte più sfumature di quante ne avessero proposto i manuali che abbiamo affrontato nei nostri percorsi scolastici e perché, semplicemente, in Black Sails non esistono amici e nemici, ma percorsi umani che corrono perennemente al confine tra il bene e il male, rendendo inutile qualunque scissione netta.

Non tiferemo mai per loro perché la libertà è l’unico valore condivisibile in questa incredibile avventura. Un’avventura da vivere episodio dopo episodio con l’entusiasmo di sempre e il fiato in gola, senza dare mai nulla per scontato. Un’avventura che racconta una storia che potrebbe fare la Storia. Delle serie tv, fino all’Olimpo. Della tv che sposa la letteratura in un connubio armonico senza compromessi, fino a ritrovarci ancora una volta nell’isola del tesoro che abbiamo sognato fin da piccoli.

Appuntamento a domenica 19 febbraio con la recensione della 4×03.

Antonio Casu