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Ares, la recensione della prima stagione

La serie tv Ares è sbarcata su Netflix il 17 gennaio, presentandosi come il primo show originale olandese della piattaforma. La storia ruota attorno al personaggio di Rosa, giovane studentessa al primo anno di medicina. La sua è una vita monotona, infelice, col ritmo scandito dagli impegni familiari e dalle responsabilità a cui deve sottostare. Le cose, tuttavia, cambiano bruscamente con l’arrivo inaspettato di una misteriosa società, Ares, della quale entra a far parte.

Lo show olandese si apre con un’introduzione accattivante. Soltanto quando finiremo lo show ci renderemo conto che quel brevissimo filmato iniziale, il cui epilogo è indubbiamente angosciante, rappresenta il fulcro della storia. Lo spettatore conosce una giovane adepta senza nome, dalla brillante e soddisfacente vita accademica, che decide improvvisamente di togliersi la vita. Questo colpo di scena ambisce quindi a catturare l’attenzione, anticipando il grottesco disagio causato dalla partecipazione all’inquietante setta.

Ares è una serie tv complessa, dal macabro fascino, il cui genere horror si mischia al soprannaturale.

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Occorre parecchia attenzione per seguire il filo della narrazione, senza perdersi nei numerosi plot twist che, in ogni episodio, dominano la scena. Malgrado la trama non sia ricca di particolari e di approfondimenti, probabilmente per mantenere viva la curiosità dello spettatore sino alla fine, la sceneggiatura è ben curata. Ogni dialogo mira a lasciare qualche dettaglio che si riallaccia alle precedenti conversazioni, in modo da ricostruire lentamente un puzzle enigmatico che solo alla fine della stagione offrirà un quadro completo della vicenda.

I sacrifici di Rosa riflettono un animo tormentato dalla costante ricerca di uno scopo nella propria vita. L’ambizione e la voglia di ottenere successo scavalcano ogni morale, divenendo una priorità per la protagonista. La società d’élite, quindi, si inserisce nella vita della ragazza promettendole lussi e privilegi.

Purtroppo, il prezzo da pagare per condurre una vita talmente perfetta è altissimo. Ad Ares infatti può accedere solo chi è disposto a tutto pur di avere successo nella vita. In questo micromondo crescono gli uomini e le donne del futuro e, per tale ragione, il compito principale della società è quello di aiutarli a raggiungere il loro massimo potenziale senza alcun intralcio.

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Affinché le scelte migliori per il mondo possano coincidere con le soddisfazioni personali, è infatti imperativo debellare la debolezza principale: la propria coscienza. Quest’ultima è infatti il tema principale della serie tv, giacché col tempo scopriamo che il bene più prezioso è proprio l’umanità dei protagonisti. Non cedere a essa diviene la sfida più grande e non tutti riescono a superarla.

L’anima è così dipinta nera, macchiata dagli orrori commessi dai seguaci della setta.

Il simbolismo di Ares è originale, unico. Rimettendo le proprie emozioni, la propria morale, i personaggi divengono apatici, freddi e manipolatori. In questo show non troveremo mostri o creature spaventose, poiché l’antagonista più terrificante non è materiale.

Il vero nemico di Ares è la morale, che viene rimossa e allontanata affinché si possa avere successo. Si entra nella psiche dei protagonisti con facilità, scoprendone paure e tormenti schiacciati dall’autoaffermazione. Succubi di una potente e dissoluta società, essi divengono schiavi consenzienti, disposti ad annientare la propria coscienza pur di ottenere ciò che desiderano.

L’obiettivo di Ares è quello di evidenziare la voglia di rivalsa dell’uomo, il bisogno di affermarsi malgrado tutto. Ma anche le sue fragilità davanti a delle scelte eticamente controverse. I personaggi, piuttosto che convivere con i propri fantasmi e con i delitti commessi, li ripudiano per condurre una vita più semplice, libera da ogni codice etico.

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La serie tv si presenta come un horror psicologico, poiché non ci sono jumpscare o mostri spaventosi. A far paura è la freddezza con la quale si affronta la morte e la disumanità delle azioni compiute da Ares. Nessuno si assume la responsabilità morale degli orrori commessi, poiché il dolore e il senso di colpa vengono espulsi via. Dalla consistenza flaccida e dal colore nero, i sentimenti che i personaggi rifuggono riflettono la natura malefica delle loro azioni. Essi vengono così offerti a una specie di pozzo, denominato Beal, che rappresenta il reale nemico della società.

Ares parte col piede giusto, regalando un finale di stagione davvero sorprendente. L’ultimo cliffhanger, che vede Rosa personificare Beal e trasformarsi nell’arma che può distruggere Ares, è anticipato da un crescendo di ansia e frustrazione. La prima stagione si conclude con un interessante colpo di scena, che trasmette così l’evidente messaggio dello show olandese: il successo più grande è quello di saper convivere con i propri tormenti, imparando a gestire il dolore e le proprie emozioni.

La prima stagione della serie è formata da otto episodi, ognuno da trenta minuti circa.

La brevità delle puntate è purtroppo uno dei punti deboli dello show, la cui impegnativa narrazione avrebbe dovuto curare maggiormente i particolari. Sono infatti parecchi i buchi di trama presenti, così come i dubbi e le domande lasciate in sospeso. Molti personaggi sono privi di un passato ben delineato, così come la stessa società Ares.

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A livello tecnico, la regia è impeccabile. La macchina da presa cattura dei fotogrammi chiari e proporzionati, dove i personaggi si fondono con scenografia. Inoltre, l’atmosfera angosciante e misteriosa creata dall’alternarsi di luci e ombre è travolgente, poiché spesso associata a un’ottima interpretazione da parte degli attori.

Tuttavia, l’ambizioso esperimento di Ares non è andato benissimo.

Non è infatti esente da difetti, legati principalmente alla superficialità con la quale è narrata la storia. Combinare un ritmo eccessivamente veloce a una trama così impegnativa svalorizza effettivamente l’intero show. La confusione causata dai dubbi accumulati episodio dopo episodio, rende la visione stressante e poco coinvolgente.

Nonostante ciò, lo show olandese non è totalmente un disastro. L’originalità con la quale tratta lo scontro tra l’affermazione personale e la moralità (e il sottile confine tra bene e male) è infatti interessante. La prima stagione ha lasciato molti punti interrogativi che meritano una risposta. Non sappiamo ancora se Ares avrà un seguito ma potrebbe sfruttare questa opportunità per migliorarsi e correggere i difetti che rischiano di trasformarla nell’ennesimo flop di Netflix.

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