Vai al contenuto

Quando fu annunciata Only Murders in the Building devo ammettere di esserne stata immediatamente entusiasta, un po’ come una bambina che per la prima volta arriva al Luna Park e che – per qualche fortuita ragione – gode dell’accesso illimitato a qualunque attrazione e/o carretto di porcherie che di solito dolci dell’intero parco.

L’idea di avere nella stessa serie la mia amata Selena Gomez, idolo d’infanzia e protagonista di una delle mie serie Disney Channel preferite (I maghi di Waverly), Selena le cui canzoni sapevo meglio delle preghiere del catechismo e quelle due icone gigantesche che sono Steve Martin e Martin Short che quando recitano insieme funzionano alla perfezione (qui la straordinaria alchimia tra i tre personaggi), mi piaceva così tanto che non vedevo l’ora di guardarlo. E ammetto che, non c’è voluto niente perché mi innamorassi follemente di questa serie.

Mi sembra giusto premettere che impazzisco per il genere crime e, dunque, per i gialli fin dalla tenera età. Gli altri bambini giocavano alla famiglia con le bambole e io risolvevo i loro omicidi e di solito il colpevole era il Big Jim di mio cugino Matteo, non mi è mai piaciuto quel tipo aveva un non so che di losco, avrà assassinato almeno una ventina di volte le mie Winx e non fatemi nemmeno cominciare sulla quantità di My Scene, Bratz e Barbie (ma soprattutto Ken) che ha fatto fuori.

Detto questo e tornando a noi, quando ho cominciato Only Murders in the Building non c’erano assolutamente dubbi sul fatto che mi sarebbe piaciuto, ma di una cosa avevo paura: avevo paura che sarebbe potuto essere un po’ troppo noioso o al contrario che fosse di una superficialità e di una banalità mostruose. E fortunatamente – devo dire – non è stato per niente così.

Questa serie tv che segue le vicende di tre inquilini che non hanno davvero niente in comune se non la passione per i gialli e una vaga connessione con il mondo dell’arte (uno per la televisione, uno per il teatro e l’altra per la pittura). Ciononostante si ritrovano, a seguito della morte di un inquilino dell’Arcadia, l’edificio mastodontico in cui vivono, ad indagare sull’accaduto e a creare un podcast al riguardo.

E questo è il punto in cui di solito mi ritrovo a ridacchiare come un’imbecille perché il mio cervello ha la malsana tendenza ad affiancare e collegare robe senza un motivo preciso, in questo caso non fa altro che ripetermi che ciò che fanno i nostri protagonisti non è altro che una versione più entusiasmante ed eccitante di un episodio della nostra italianissima (e qui mi sento di dover mettere la mano al patriottismo) Elisa True Crime che spopola su Youtube e da poco anche sulle piattaforme di podcast più disparate raccontando storie che l’hanno particolarmente scioccata.

Ma, tornando a noi, tra una teoria e l’altra, tra raccolte di prove e interrogatori assurdi, i nostri tre protagonisti si avvicinano sempre di più alla risoluzione del crimine, non però senza prima trovarsi in situazioni decisamente improbabili e proprio per questo estremamente divertenti o incredibilmente necessarie per l’investigazione che stanno seguendo. Chiaramente, siccome stiamo parlando di una serie tv crime, alla fine di ogni stagione troveranno chi ha ammazzato la vittima della stagione.

Adesso, detta così, non si capisce quasi perché è una delle serie più amate del momento o quantomeno non si capisce cosa abbia di così speciale che possa differenziarla da qualunque altro prodotto crime che è possibile guardare a qualunque ora del giorno e della notte ai canali 38 (Giallo) e 39 (Top Crime) della televisione. E dunque, viene spontaneo chiedersi: cosa rende così speciale Only Murders in the Building?

Ci ho riflettuto per un po’ in attesa che fosse rilasciato l’ultimo episodio della seconda stagione e vi devo confessare che, banalmente, avevo ricollegato tutto alla leggerezza della serie. Un giallo leggero, quando mai si è visto? Ma poi, mentre guardavo la scena della rivelazione dell’assassino, mi si è accesa una lampadina nella testa, l’ultima che ho deciso di tenere ancora avvitata dopo il caro bollette: non è solo la leggerezza a rendere Only Murders in the Building così speciale, ma è soprattutto la sua ironia e il modo in cui i personaggi rompono costantemente, ma senza mai farlo notare così palesemente, la quarta parete dando voce allo spettatore.

Only Murders in the Building

I personaggi di Only Murders in the Building sono personaggi veri. Non fraintendetemi, mi rendo conto che siano assolutamente bizzarri, fuori dagli schemi e a volte così folli da non potersi neppure avvicinare alla definizione di realismo che per di più vivono in un palazzo immenso con i passaggi segreti, ma paradossalmente sono reali. Quando dico che rompono la quarta parete costantemente lo dico perché quasi in ogni scena in cui i tre protagonisti sono insieme, qualcuno di loro si farà portavoce di uno dei pensieri che sicuramente è passato per la testa di ciascuno spettatore. Parlano come se dessero voce ai nostri pensieri plausibili di gente che osserva dall’esterno e si rende conto del surrealismo costante di ciò che combinano.

Proverò ad essere più chiara utilizzando il metodo che Law & Order ci ha insegnato: esibire delle prove (una per non annoiarvi troppo) come esempi.

Exhibit A: siamo nell’ultimo episodio, la scena è quella del Killer Reveal Party dove i nostri tre improbabili investigatori dovrebbero rivelare l’identità dell’assassino di Bunny. Abbiamo appena assistito a Mabel che illustra il caso e gli elementi che li hanno condotti alla risoluzione con il classico metodo dei gialli, metodo a cui – personalmente – mi ha abituato la grande e immensa Jessica Feletcher, quello che Cinda Canning definisce giustamente “il finale alla Scooby Doo“, e dopo aver finito di raccontare come sono andati i fatti è la stessa Mabel a dire la seguente battuta:

Jesus, is that what we’re telling people?
(Gesù, è davvero questo che stiamo raccontando alla gente?)

Come se lei stessa non riuscisse a credere alle assurdità che stava dicendo. E non è la prima volta. Ciascun personaggio conserva al suo interno una dose massiccia di realismo che in questo scenario assolutamente lontano dalla realtà, quando emerge, diventa comicamente distruttivo. Un modo di fare ironia che personalmente trovo esilarante, qualcosa che non mi trattengo dal paragonare un po’ alla sottilissima e irriverente ironia di Fleabag. E qui so che potrei aver forzato un po’ troppo il collegamento, ma come vi dicevo prima c’è il caro bollette e l’unica lampadina che si accende nel mio cervello, funziona a risparmio energetico un po’ come funzionano gli utenti basic di Upload.

Only Murders in the Building

Il collegamento con Fleabag perché? Perché in entrambe le serie abbiamo una trama orizzontale (ovvero una storia che si estende per diversi episodi o per tutta la durata della stagione) che ha una matrice di fondo seria. Nel primo caso e prendendo in analisi la prima stagione troviamo SPOILER la morte dell’amica della protagonista, in Only Murders in the Building abbiamo gli omicidi. Ma, attraverso la trama verticale (ovvero una narrazione in qualche modo provvisoria, che attraversa solo l’episodio) la vicenda narrata diventa profondamente ironica e addirittura comica.

Tra l’altro sia il personaggio geniale di Phoebe Waller-Bridge che i personaggi di questa serie hanno la tendenza a rompere la quarta parete: la prima guardando dritta in macchina e comunicando così direttamente con lo spettatore; i secondi parlando attraverso lo spettatore, smascherando e tirando fuori gli espedienti e i cliché narrativi del genere giallo (o crime) e ridicolizzandoli, ma paradossalmente senza farli perdere di intensità, ma facendogliela addirittura acquisire.

Probabilmente dopo questo paragone così tirato mi verrà revocata la cittadinanza di residente di Hall of Series e verrò esiliata, ma dovevo proprio farlo.

Only Murders in the Building

Perché è il modo in cui Only Murders in the Building si prende in giro da sola, il modo in cui ironizza sulla storia che racconta, sui suoi assurdi personaggi e sulle numerose personalità che gravitano attorno al mistero, è il modo in cui i personaggi di Mabel, Charles e Oliver si mescolano dando vita al trio più improbabile della storia, ma anche al più divertente, assurdo, ma straordinariamente efficace e realistico nella sua assurda irrealtà che rende questa serie così speciale e bella ed è anche il motivo per il quale, non importa quanti inquilini dell’Arconia dovranno crepare per farla continuare, io sarò sempre lì, seduta sul divano a gustarmi le loro mirabolanti imprese assolutamente idiote, divertenti, fuori di testa, ma straordinariamente interessanti.

P.S. quanti di voi sono ancora totalmente prigionieri di Angel in Flip-Flops? Io pure.

LEGGI ANCHE – Only Murders in the Building 2×10 – Il gran finale