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Cosa non ha funzionato nella prima stagione di Odio il Natale

ATTENZIONE: L’articolo contiene spoiler sulla serie di Netflix Odio il Natale

Il Natale quest’anno su Netflix ha portato una grande novità: la prima commedia natalizia italiana prodotta dalla piattaforma di Los Gatos. Non si tratta, in realtà, di un prodotto originale in assoluto, perché la serie è l’adattamento del format norvegese Natale con uno sconosciuto, ma rappresenta comunque un esperimento interessante perché Netflix ha provato a imbattersi in un terreno sconosciuto e ricco di insidie. La commedia natalizia è una delle produzioni italiane per eccellenza, soprattutto di taglio comico, ma spesso anche sentimentale. Odio il Natale, dunque, ha provato a muoversi su un vero e proprio campo minato, perché, in Italia, questo genere è contrassegnato da una parte dalla grande tradizione e tutto ciò che lo spettatore si aspetta, dall’altra dalla volontà di vedere qualcosa di nuovo e la speranza che ciò possa arrivare grazie alla produzione Netflix.

Alla fine, in realtà, Odio il Natale se la cava abbastanza bene, accontentandosi di incastrarsi quasi alla perfezione nella tradizione delle commedie natalizie. Aggiunge qualcosa di nuovo, prova un po’ a staccarsi da determinati stilemi concettuali e narrativi, ma globalmente si attiene a un copione ben assodato ed evita troppi rischi. Il risultato è che la serie di Netflix con protagonista un’eccellente Pilar Fogliati è un prodotto decisamente godibile, in linea con l’atmosfera del periodo, senza enormi pretese ma anche senza grandi passi falsi. Insomma, Odio il Natale fa ciò che ci si aspetta da una commedia natalizia: intrattiene, prova ad emozionare e conserva quell’aura di leggerezza sempre associata alle feste. Come gran parte dei prodotti seriali, dunque, anche il remake italiano di Natale con uno sconosciuto ha i suoi lati più o meno riusciti: andiamo a scoprire, qui, cosa ha funzionato meno nella serie con Pilar Fogliati.

Odio il Natale e i cliché natalizi

Come detto, Odio il Natale finisce per aderire abbastanza in toto agli stilemi della commedia romantica natalizia. La serie è ricca di cliché, il che di per sé non è un male perché questo è un genere talmente specifico che determinati standard sono richiesti. Anzi, la serie ruota proprio intorno a questo concetto, perché parte dall’idea di voler abbattere il cliché del portare il fidanzato a casa per la cena di Natale e prova a ridicolizzarlo con l’intento di Gianna di trovare una persona in appena un mese. Insomma, i cliché sono proprio il cuore di Odio il Natale, per cui la loro presenza, anche in chiave parodistica, è abbastanza scontata. In alcuni casi, però, questi finiscono per stringere i fianchi alla narrazione.

Manca un po’ di mordente alla serie di Netflix, che rimane ancorata a schemi classici, distaccandosi solo in talune occasioni dalla via maestra. Non ci aspettavamo un prodotto rivoluzionario, però si poteva osare un po’ di più. Soprattutto nelle trame secondarie si riconoscono schemi ben noti: la moglie che pensa solo alla famiglia che finisce per tradire il marito, la donna che vuole stare sola che invece trova l’amore a Natale. Insomma, l’azione si muove soprattutto in ragione dei cliché. Da una parte è anche giusto che sia così data la natura del prodotto, dall’altra però le premesse lasciavano intravedere qualcosa di diverso, che è arrivato solo a tratti.

Odio il Natale
Odio il Natale (640×360)

Una grande Pilar Fogliati e poco supporto

Nella serie domina letteralmente la scena Pilar Fogliati. L’attrice piemontese, nota al grande pubblico per i suoi ruoli in Un Passo dal cielo e Cuori, veste i panni di Gianna, una trentenne single, che ama il suo lavoro da infermiera e che, a seguito delle costanti pressioni sociali e familiari, decide di dover trovare un fidanzato da portare a casa per la cena di Natale. Pilar è semplicemente straordinaria nel dare risalto alla figura di Gianna, nel sottolineare con leggerezza i tormenti propri di una donna che a trent’anni inizia a sentire il peso della mancanza di una persona al suo fianco. La sua crisi sembra essere innescata da pressioni esterne, ma in realtà è anche la stessa Gianna che cerca di mettersi alla prova, che vuole trovare il modo di approcciarsi all’amore e lei stessa nasconde molte incertezze, dovute soprattutto al trauma del momentaneo abbandono della madre da piccola.

Insomma, il personaggio di Gianna presenta molte più sfaccettature di quello che può sembrare a primo acchito e in tal senso Pilar Fogliati è maestosa nel renderle al meglio. Il problema di Odio il Natale, però, è che l’attrice sembra predicare un po’ nel deserto. Al fianco di Gianna, mancano personaggi intensi, forti, capaci di reggere il suo passo. Alcuni sono anche interessanti, come il padre della protagonista o la sua coinquilina Titti, ma nessuno sembra minimamente supportare adeguatamente Gianna. Quest’assetto rende un po’ la sensazione che l’intera serie sia un assolo della protagonista, quando in realtà ci sono tematiche secondarie che potevano essere approfondite meglio coi personaggi comprimari. Molti mettono in scena diverse sfumature di amore: quello che deve fare i conti coi segni del tempo dei genitori di Gianna, quello ossessivo e impostato della sorella Margherita, quello che non si lascia andare di Titti e quello sognante di Caterina. Tutti spunti abbandonati un po’ lì, oscurati dalla vicenda di Gianna a causa anche di uno sviluppo un po’ faticoso dei personaggi secondari.

Odio il Natale e il rapporto con il suo originale

Nell’analisi della serie di Netflix, non possiamo mai perdere di vista il fatto che si tratti del remake di Natale con uno sconosciuto. Il format originale norvegese è stato prodotto sempre dalla stessa piattaforma streaming, con due stagioni in onda nel 2019 e nel 2020. Una delle incertezze maggiori di Odio il Natale si percepisce proprio in virtù del rapporto con la sua serie originale. Manca un po’ d’identità: la serie con Pilar Fogliati rimane un po’ troppo ancorata al format norvegese. Introduce alcuni elementi innovativi, dalla centralità del presepe agli incantevoli scorci di Venezia, però il cambio di rotta si ferma alla forma, la sostanza rimane pressoché invariata. Forse manca quell’elemento d’italianità che avrebbe distino Odio il Natale da Natale con uno sconosciuto, ma il risultato rimane comunque molto gradevole.

Proprio questo seguire le linee già tracciate è con tutta probabilità un limite della serie di Netflix. Era lecito attendersi un po’ di spregiudicatezza in più, almeno a livello narrativo, un lavoro che andasse oltre il canovaccio delle commedie natalizie. Odio il Natale opera in questa direzione, ma non abbastanza. La serie rimane un po’ incastrata tra il suo originale norvegese e gli stilemi della commedia romantica, non riuscendo ad acquisire un’identità forte. Ciò, chiaramente, non pesa sulla godibilità del prodotto, Odio il Natale si fa guardare piacevolmente e, al di là di quanto vuole fare intendere il titolo, offre anche una dolcezza molto adatta al periodo festivo. Però, chiaramente, rimane un prodotto meno ambizioso di quanto avrebbe potuto essere. Se avesse osato di più avrebbe potuto sicuramente distinguersi maggiormente.

Ad ogni modo, come abbiamo visto, stiamo giocando sui dettagli nell’analisi di cosa non ha funzionato nella prima stagione di Odio il Natale. Globalmente la serie è buona, piacevole, molto adatta al periodo. Splende sicuramente Pilar Fogliati nel ruolo di protagonista, calata in una cornice pazzesca come quella della Venezia addobbata a festa. Non si distinguerà da molti altri prodotti simili, ma tutto sommato la serie di Netflix fa il suo, non osa e non inciampa, rimanendo in una comfort zone comprensibile.