Vai al contenuto
Serie TV - Hall of Series » Odio il Natale » Odio il Natale è la figlia ideale dell’algoritmo italiano di Netflix

Odio il Natale è la figlia ideale dell’algoritmo italiano di Netflix

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su Odio il Natale.

La notizia è di alcuni giorni fa: la seconda stagione di Odio il Natale, rilasciata da Netflix lo scorso 7 dicembre, ha conquistato in meno di una settimana il gradino più alto sul podio delle serie più viste sulla piattaforma in Italia. Fin qui, niente di sorprendente: le produzioni tricolori tendono a ricevere sempre una grande attenzione da parte del pubblico nazionale, e vista anche la pochezza di nuovi titoli di rilievo non è un risultato tanto spiazzante. Ma c’è di più: oltre al podio italiano, Odio il Natale ha conquistato anche un posto nella top ten mondiale dedicata alle serie tv dalla lingua originale diversa dall’inglese. Qua la situazione cambia, almeno in parte: cos’ha di tanto speciale una comedy del genere? Beh… niente. Al contrario, è quanto di più ordinario si possa trovare in circolazione. Nonostante ciò, l’articolo non intende scagliarsi contro la serie né, tantomeno, menarla per l’ennesima volta sulla presunta mancanza di qualità all’interno delle produzioni seriali italiane. Al contrario, siamo qua per elogiare il successo di Odio il Natale, una serie tv talmente normale da esser diventata in qualche modo speciale. E rappresentare, allo stesso tempo, un modello di riferimento importante per il futuro di Netflix. Soprattutto in Italia, ma non solo.

odio il natale

Ma perché? La risposta sta tutta nella risposta che l’azienda statunitense sta cercando di dare alla crisi profonda del mondo dello streaming. Ne avevamo parlato in un articolo di alcuni mesi fa e avevamo poi ripreso il tema in diversi altri approfondimenti, arrivando sempre alla stessa soluzione: il futuro dello streaming, la cui parabola sembra aver assunto ormai la traiettoria di un volo pindarico, passerà attraverso un ritorno al passato. Gli abbonamenti costeranno di più in cambio di un numero inferiore di contenuti, c’è e ci sarà la pubblicità, il modello settimanale dominerà la scena e, soprattutto, si punterà su target sempre più trasversali. Meno vincolati alla “qualità” – al di là di quel che potrebbe significare davvero questo termine – e più legati a contenuti generalisti ideali per intercettare un pubblico più vicino a quello della vecchia tv lineare. In poche parole: Odio il Natale, quanto di più generalista possa esserci in circolazione in questo momento tra le varie piattaforme di streaming disponibili nel nostro Paese, sarà sempre meno un’eccezione e sempre più una regola. Una regola buona per chi avrà l’abilità di interpretarla al meglio.

Dovremmo lamentarcene? A prescindere dai gusti, no. Qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte alla prospettiva di pagare un abbonamento per poter guardare un prodotto associabilissimo a una fiction Rai di medio livello, ma se pensiamo al nostro Paese è evidente che uno zoccolo duro di pubblico stia attualmente là. E abbia voglia di guardare una qualunque Odio al Natale più di un ricercato prodotto d’autore. Non è tutto: anche tanti tra i più raffinati cultori di cinema d’essai hanno bisogno di disimpegnarsi, ogni tanto. E una serie così la guardano eccome, seppure distanti dagli sguardi più indiscreti. Allora diciamolo: il successo di Odio il Natale è un bene per tutti, anche per chi non avrà di meglio da fare che rimarcare il proprio sdegno per la popolarità di un prodotto del genere. Dovranno mettersi il cuore in pace, prima o poi: titoli come questo rappresentano una base imprescindibile per permettere al modello di streaming on demand di sopravvivere ed entrare in una fase storica economicamente più sostenibile. Una base che permetterà a Netflix e le altre di continuare a produrre allo stesso tempo dei titoli più impegnati. Con una condizione intrattabile: dovranno essere economicamente redditizi e non più connessi all’idealismo che ha generato il corto circuito degli ultimi mesi.

Si dovrà arrivare in sostanza a quelli che il The New Yorker ha definito “cheeseburger gourmet”, in riferimento alla tipologia di produzioni che prediligerà Netflix nei prossimi anni: una combinazione ideale di “qualità” e quantità alla Bridgerton, quindi. E anche alla Odio il Natale? Non esattamente.

odio ll natale 2

Odio il Natale è un cheeseburger, al massimo. E non c’è niente di male. Perché la variante gourmet non può non associarsi a titoli del genere. Al contrario, è un motivo d’elogio e di vanto: è una serie che costa poco e che rende tantissimo, fruibile da tutti e scritta con la precisa volontà di regalare tre ore che intrattengono il pubblico senza voler andare in alcun modo oltre questo. Tutto ciò ne fa un titolo impregnato di grande intelligenza, capace di rispondere nel modo ideale alle esigenze del pubblico di riferimento – italiano, in primis – e del network. Attraverso l’applicazione di un modello che tanto ha a che fare con una combinazione matematica di fattori che si amalgamano perfettamente all’interno di una serie mai vista – e sì, sappiamo che è il remake di una serie norvegese – che ne contiene molte altre già viste mille volte, garantendo così una solidità preliminare invidiabile. Odio il Natale è quindi la figlia ideale dell’algoritmo di Netflix, quello deliziosamente preso per i fondelli nella quarta stagione di Boris, attraverso alcuni basici fattori che l’hanno portata a ottenere un successo assicurato fin dal momento della sua genesi. Elenchiamoli brevemente, con un presupposto: una fiaba natalizia funzionerà sempre a Natale, ma non tutti sanno scriverle. Gli autori di Odio il Natale, sì.

  • Una storia rassicurante con una protagonista riconoscibile e dall’identità peculiare, brillante e comicamente efficace. Qualcuno l’ha definita la Fleabag all’italiana, qualcun altro la nuova Bridget Jones, ed è tutto vero: Gianna sosteneva tesi e illusioni facendo un gran casino. Al pubblico italiano piacerà sempre una così: una maschera tradizionale, ma non abbastanza tradizionale da stancare.
  • Il cast è molto italiano ed è pieno di nomi e volti notissimi al grande pubblico, spessissimo presenti – se non onnipresenti come nel caso di Nicolas Maupas, ormai dotato del dono dell’ubiquità – all’interno di una miriade di altre produzioni generaliste di grande successo. Sono bravi e credibili, popolari e ricercati da un pubblico trasversale alla ricerca di leggerezza, dalle massaie ai ventenni.
  • È romantica senza essere stucchevole. Comica senza essere frivola. Disimpegnata senza scadere nel trash.
  • Presenta una componente medical. E col medical si va sempre sul sicuro.
  • È ambientata in una cittadina deliziosa in cui ognuno di noi ha voglia di trascorrere alcuni giorni.
  • Per qualcuno potrebbe essere addirittura una Sex and the City all’italiana, e anche in questo caso avrebbero ragione.
  • Anche qua, sembra scontato ma non lo è per niente: è una serie con cui si ride parecchio.
  • La seconda stagione ha persino la “sottotrama teen”, suvvia.

Cosa ci dice tutto ciò? Che Odio il Natale rappresenta tutto quello di cui ha bisogno gran parte del pubblico medio italiano: Netflix l’ha capito e farà tesoro della lezione nei prossimi anni. Non a caso, l’attuale vice presidente delle serie originali italiane dell’azienda è l’abilissima Eleonora Andreatta, ex direttrice di Rai Fiction: visti i risultati da lei ottenuti ai tempi del lavoro all’interno dell’azienda pubblica, si è deciso di affidare le chiavi a una donna che i gusti italiani li conosce fin troppo bene.

odio il natale

Dopo anni in cui Netflix sembrava avere un problema non da poco con le produzioni italiane, spesso insoddisfacenti sia su un piano qualitativo che di resa complessiva, la strada intrapresa sembra essere quella giusta: qualcuno continuerà a storcere il naso e con ogni probabilità lo faranno anche tra i commenti che accompagneranno la pubblicazione di questo pezzo, ma tutto sommato conta poco. Accontentare un numero più ampio possibile di abbonati rappresenta la chiave ideale per poter osare in futuro con produzioni più esclusive, garantendosi allo stesso tempo la possibilità di ottenere il massimo risultato possibile col minimo sforzo sul piano economico. A patto che la serie sia ben fatta, perché tirar fuori un prodotto del genere non significa tirar fuori un prodotto scadente. E Odio il Natale non lo è, per niente.L’impresa eccezionale è essere normale”: pochi, però, ne sono davvero in grado.

Antonio Casu