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Normal People è lo struggente ritratto di una generazione

Che cosa significa essere persone normali? È una domanda così semplice, così diretta, eppure così lontana dal poter mai ottenere una risposta. Essere persone normali. Comportarsi da persone normali. Seguire le regole, provare le emozioni che sembrano giuste, fare quello che ci si aspetta venga fatto, nascondere le debolezze, alzarsi giorno dopo giorno e cercare di camminare con convinzione su una strada che nemmeno vediamo. Normal People – persone normali – è un tentativo di risposta doloroso e provocante, ma straordinariamente riuscito.

Com’è possibile che un racconto di co-dipendenza, depressione, solitudine, precarietà e impossibilità di comunicare sia la storia di persone normali? Perché quella che potrebbe sembrare una miniserie che esplora un vissuto drammatico ed esasperato è invece un ritratto ferocemente realistico di una generazione che, privata di prospettive future per proseguire sul cammino della vita, si smarrisce.

Normal People

Connell Waldron e Marianne Sheridan, i protagonisti di Normal People (attualmente disponibile su StarzPlay), sono persone normali.

La serie li segue in alcuni degli anni più incerti dell’esistenza umana, quelli a cavallo tra la fine del liceo e la fine dell’università, quelli in cui si è obbligati a diventare adulti, a crescere, a prendere decisioni definitive, a diventare persone normali. Vedere Connell e Marianne attraversare questa fase della loro vita è straziante quanto catartico, soprattutto per chi si trova proprio lì con loro. Come i due protagonisti di Normal People, un’intera generazione di persone si trova infatti in piedi davanti a tutte le possibili strade che ciascuno potrebbe intraprendere, paralizzata dalla paura di sbagliare e non poter tornare indietro, terrorizzata che un piccolo errore potrebbe essere la causa di una caduta che la società non potrebbe mai perdonare.

Trovarsi al crocevia della vita è un’esperienza straniante, è un momento in cui ci viene detto che siamo liberi di perseguire la nostra strada, ma in realtà è piuttosto un attimo di puro terrore, di comprensione dei meccanismi dell’esistenza, di tremenda solitudine. Vuol dire essere costretti ad assumersi la responsabilità della propria vita. C’è chi, come Marianne, in questo momento ritrova se stesso, riesce a reinventarsi, a smettere di porsi limiti. Marianne che a Carricklea, la sua cittadina natale, era un’aliena e veniva tenuta a distanza tanto dalla famiglia quanto dai compagni di scuola, nel mare delle possibilità che la vita universitaria le offre riesce ad affermarsi per la prima volta, per poi precipitare nel buio ogni volta che è costretta a fare i conti con le sue ferite preesistenti.

Normal People

Connell invece, nel momento in cui si affaccia incerto all’età adulta, alla vita fuori da Carricklea, lontano dal nido e dalle sue certezze, crolla.

Attraverso i suoi occhi pieni di terrore e rimpianti, veniamo esposti alle dolorose conseguenze della solitudine autoindotta, di quel creare muri che tengano fuori chiunque (o quasi), dal mondo interiore che ci tormenta. La depressione di Connell è rappresentata con un realismo straziante, il senso di impotenza e irrimediabilità che avverte il ragazzo ci entra dentro con una forza rara, che solo le rappresentazioni di un disagio collettivo riescono a trasmettere.

Vi è in Normal People una sensazione d’intimità che attraversa tutta la narrazione, che non lascia scampo allo spettatore. È l’intimità di Connell e Marianne, due anime così profondamente simili da riempire l’uno i vuoti dall’altra, ma anche così incapaci di comunicare da sembrare venire da universi distanti e inconciliabili. Ma è anche la nostra intimità con una storia che sentiamo come nostra, che ci appartiene profondamente nel suo dispiegarsi tra le incertezze di una vita ancora da vivere e la paura di sbagliare, tra il continuo cercare un contatto umano e il terrore di non poter essere compresi, tra la solitudine dei demoni interiori e la dipendenza dal supporto degli altri.

Gli scorci di vita che Normal People ci mostra sono permeati di intimità. Entriamo nelle case dei protagonisti, nelle loro stanze, nelle loro menti, nei meandri più profondi della loro psiche. Non ci viene nascosto nulla della vita di Connell e Marianne, nonostante i loro tentativi costanti di nascondersi dagli altri, l’uno dall’altra, a volte persino da se stessi. Siamo così testimoni delle loro paure più profonde, ma anche di ciò che non vorrebbero potesse mai essere visto. Siamo lì con Marianne quando si lascia abusare, anzi a volte proprio ricerca la violenza, convinta di non meritarsi altro che dolore. Siamo al fianco di Connell quando si accorge di non essere la persona che credeva di essere, di aver ferito nel profondo o ignorato chi amava, lo vediamo mentre sprofonda nella depressione e taglia tutti i ponti.

Siamo testimoni di tutti i tentativi di Connell e Marianne di essere persone normali, quando a loro sembra così ovvio di non esserlo nemmeno lontanamente. Eppure lo sono, sono loro quelle Normal People a cui fa riferimento il titolo della serie. La loro normalità è racchiusa nel loro sentirsi anormali, strani, sbagliati. Perché è così che hanno imparato a sentirsi le persone quando si affacciano all’età adulta nel mondo contemporaneo, come se avessero molto più da perdere che da guadagnare, spaventate che essere se stesse possa far crollare l’apparenza di normalità che si cerca a tutti i costi di mostrare. Il prezzo è altissimo, e lo pagano tanto i nostri protagonisti quanto la generazione di cui diventano simboli: è l’incapacità di comunicare, di creare ponti. Siamo soli perché abbiamo paura che creare legami implichi mostrarsi deboli e mostrarsi deboli è inaccettabile.

Normal People

Come due magneti, Connell e Marianne si attraggono e si respingono, si feriscono per poi curarsi a vicenda. Sono due anime profondamente incerte, spaventate, terrorizzate dalla solitudine e da quello che potrebbe essere, che si aggrappano con tutta la forza possibile l’uno all’altra. Connell e Marianne sono il perfetto ritratto di una generazione che si trova davanti alla paralizzante paura di fallire, ma che non può ammetterlo a nessuno o rischierebbe di sembrare debole e non potrebbe sopportarlo. Comunicare diventa difficile nel momento in cui vorrebbe dire esporsi, mettersi a nudo. E le persone normali non possono rischiare di non apparire tali, perciò si chiudono nel loro guscio, aspettando il momento in cui il mondo farà un po’ meno paura.

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