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Avete presente quando aspettate a lungo qualcosa che alla fine porterà solo tanta delusione? Quando aspetti il treno di una vita ma sei in ritardo e lo perdi? Master of None mi ha fatto più o meno lo stesso scherzetto. Le prime due stagioni della serie Netflix sono state brillanti sotto ogni punto di vista perché riuscivano a coniugare egregiamente risate e un pizzico di malinconia, frullando tanti aspetti della vita sentimentale di ogni uomo. La storia di Dev è una di quelle per cui speri ci sia un finale degno e, dopo la sua fuga in Italia per imparare a fare la pasta, ho sperato che una eventuale terza stagione potesse regalarci un’ultima grande prova nel teatro comico della vita. Ma come ho detto poche righe sopra, la spasmodica attesa non sempre rispetta le aspettative che ci siamo posti: Master of None 3 mi ha deluso tanto, forse troppo. Andiamo a vedere perché.

Ciò che accade a un certo punto a Master of None ha le sembianze di uno spin off, non di una terza stagione

Il motivo principale per cui la terza stagione della serie Netflix ha cambiato (in negativo) il mio parere è perché mi è sembrata, più che una terza stagione o un finale risolutivo di una trama avvincente, una sorta di spin off gestito male. Pensate, mi ero ripassato tutti gli episodi delle prime due stagioni per ricordare qualche dettaglio in più sulle origini di Dev e sul suo grande obiettivo di diventare un attore, ma Master of None 3, paradossalmente, non parla di Dev. Il protagonista delle prime due stagioni è messo da parte per raccontare la parabola di vita di Denise, l’amica gay con ambizioni da scrittrice e il suo viaggio sentimentale nella New York a fari spenti. Pur delineando bene le difficoltà coniugali tra le due donne e riuscendo, come avevano fatto le prime due, a parlare in modo sublime del peso esistenziale di ogni essere umano all’interno di una vita in cui il futuro è sempre un po’ incerto, Master of None 3 si è dimenticata, improvvisamente, di tutti gli altri personaggi a cui ci siamo affezionati precedentemente: Arnold, il simpaticissimo amico di Dev sparisce nel nulla come pure Francesca, la fiamma sentimentale che aveva acceso la luce nella vita di Dev. Che fine hanno fatto queste storie?

Ovviamente la causa di questo cambio di rotta è quell’elefante nella stanza delle accuse che hanno colpito Aziz Ansari. Al di là di questo e di un aspetto che riguarda solo i protagonisti della vicenda, Master of None 3 ha perso anche un’altra bussola o partita, ovvero quella ironica e sarcastica che abbiamo ammirato nelle vecchie stagioni, tutti quei momenti in cui ci siamo chiesti come fa una serie a farci ridere così tanto mentre ci spinge a pensare, riflettere, interrogare. Se la storia che ruotava attorno a Dev riusciva a bilanciare dramma e commedia, questa nuova storia finge di aver dimenticato come si provoca il sorriso degli spettatori per soffermarsi, il più delle volte, su eventi più maturi. Ma ne valeva la pena? Master of None ha brillato negli anni proprio perché si riusciva a prendersi una pausa dal ‘nero’ attraverso attimi di ‘giallo’, ossia momenti divertenti e lontani dalla tragicità. La storia di Denise e Alicia non è banale ma è raccontata con distacco, quasi come se la familiarità dei personaggi fosse caduta nel baratro – come se ci dovessimo concentrare solo sulle difficoltà, le perdite e i dolori che le relazioni importanti comportano. Non è assolutamente un male ma non è più Master of None. O almeno non è là Master of None a cui eravamo abituati.

Molti cambi di rotta che non sempre fanno centro

Il radicale cambio di prospettiva ci lascia subito perplessi e impreparati, soprattutto quando a cambiare non è solo un aspetto interno ma è anche lo stile, il confezionamento degli episodi. Se Master of None ci aveva abituati anche a colpi di scena e a improvvisi cambi di prospettiva che rendevano il prodotto più corale, la terza stagione si sofferma spesso su inquadrature fisse e silenzi che pretendono di dire qualcosa senza dire niente. Il flusso continuo di sentimenti si prende tutto lo spazio per emergere in un contesto completamente nuovo, quello rurale, dove le campagne spegnono i rumori della città, mentre Denice e Alicia affrontano i loro drammi interiori in un lunga e eterna fissità. Non c’è più una città che accoglie i protagonisti, non c’è più Dev che cerca di ottenere qualsiasi cosa e neppure voci secondarie che ci permettono di conoscere più a fondo l’intero contesto della storia, proprio perché la prospettiva è sempre e sola una.

Master of None continua ad essere un gioiellino sul piano della scrittura: come poche serie fino ad ora, la storia di Netflix cerca di allontanarsi sempre da ogni modello prestabilito, toccando sempre le corde giuste dello spettatore attraverso dialoghi brillanti. Anche questa terza stagione racconta una parte di realtà e lo fa con una coerenza tangibile, come se fossimo tutti calati nella storia che ci viene raccontata. Certo è che il ritmo delle stagioni precedenti non c’è più e questo è un rammarico perché Master of None ci aveva abituato a spunti repentini e a ribaltamenti di fronte continui, più che altro al marchio dell’imprevedibilità. Ogni puntata riusciva a tenere insieme gli elementi migliori della televisione moderna mischiando i guizzi antologici della prima parte seriale degli anni 70’, con un approccio diverso rispetto a qualsiasi altra serie moderna. 

Alla fine mi aspettavo solo di vedere Dev tra le strade di Modena, pensare che in qualche modo la vita ti consegni, prima o poi, tutto quello che hai sempre sperato. Ma Master of None è cambiata lasciandomi senza preavviso. Come qualcosa che aspettavo da tempo ma che non è mai arrivata.