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Pete Campbell: letteralmente un enfant prodige

Insoddisfatto, esigente, egocentrico e narcisista, di tutto quello che possiamo dire di Pete Campbell niente mi toglierà mai dalla testa la vivida immagine che mi sono fatta di uno dei protagonisti principali di Mad Men: Pete Campbell è un enfant prodige, nell’accezione più letterale che esista.

Abile nel suo lavoro ma comicamente inadatto alla vita, Peter Dyckman Campbell è il personaggio meno Mad Men di tutti gli impiegati di Madison Avenue: un piccolo e fastidioso ragazzino che gioca a fare il capo e quando si annoia porta il pallone via con sé lasciando tutti scontenti.

Young Campbell è talentuoso, non c’è che dire. Per quanto lo si possa detestare, Pete il suo lavoro lo sa fare e anche bene. Se dovessimo fargli i conti in tasca potremmo dire che a Pete non manca proprio niente per considerarsi soddisfatto: una moglie, una figlia, una villa fuori città e un rinomato lavoro a Manhattan, cosa può volere di più? Spoiler: niente di tutto questo.

Pete ha tutto ma gli sembra di non avere davvero niente.

Passivo nella maggior parte degli aspetti della sua vita, Pete Campbell della sua esistenza non ha mai scelto niente: un matrimonio molto più che suggerito, una casa costosissima di cui avrebbe sicuramente fatto a meno e una famiglia della quale fino all’ultimo è sempre stato incerto, come incerto è il suo senso di paternità, lui che prima di essere padre è innanzitutto figlio.

Un adulto mai davvero cresciuto: è così e in nessun altro modo che visualizzo Pete Campbell mentre goffamente sfila per i corridoi della Sterling Cooper, ridicolmente spavaldo nei suoi abiti eleganti, troppo sformati per poter contenere il suo animo fanciullesco e quel sorriso sardonico degno del preadolescente irriverente che realmente è.

Fedele solo al suo ego, Pete è estremamente ambizioso e non esiste giorno in cui l’idea che le sue capacità siano sottostimate non lo logori dentro.

Pete sa tutto, e come il primo della classe alza la mano e interviene durante la lezione sbaragliando la concorrenza, garantendosi però, il titolo di collega più detestato da tutto l’ufficio.

Al massimo delle sue capacità, arrivando addirittura a raggiungere il punto più alto della sua carriera, Pete rimane comunque in panchina: apprezzato da tutti tranne da chi tacitamente lavora al suo fianco sperando di passare meno tempo possibile in sua presenza.

Quando qualcosa non va secondo i piani suoi o dell’azienda, Campbell alza la voce sbattendo i suoi pugni da lattante sulla scrivania, ma tra le risate di colleghi e superiori e qualche sguardo di commiserazione non c’è nient’altro che Pete porti a casa con sé una volta conclusasi l’ennesima giornata di lavoro.

Cappello e cappotto appesi appena messo piede dentro casa – che poi mamma Trudy si arrabbia – il giovane Pete si autocompiace di sé e di quanto sia bravo nel suo lavoro. Parlando alla moglie di sé stesso come solo il leader nato che goffamente si convince di essere – ma dal quale di certo è ben lontano – parlerebbe.

Ed è proprio lì, nella sicurezza di casa sua che Pete cede il passo ai suoi abiti preferiti: lanciata la cravatta per aria e indossato il tanto e desiderato pigiama, Campbell si sdraia sul divano dove di lì a breve si addormenterà non prima però di aver visto qualche cartone animato alla tv e mangiato dosi esagerate di latte e cereali intesi come pasto sostitutivo alla cena.

‘Quando vieni a letto spegni la tv, mi raccomando’‘Sì mamma…emmh Trudy cara’.

Né avvenente come Don Draper, e nemmeno affascinante come Roger Sterling, Campbell vuole interpretare in tutto e per tutto il ruolo di surrogato sottomarca del suo mentore e nemesi Don, affidando alle case chiuse l’onere di trovargli un amante con cui tradire la moglie.

Con lo scopo di assomigliare un po’ di più a quei Mad Men tutti fumo e belle donne, Pete ricerca in quelle scappatelle di una notte un solo e unico ambito in cui avere il controllo, sentirsi più virile e decidere da sé.

Anche in questo caso però di potere non se ne parla proprio: il tradimento stesso è un accordo di cui Pete è firmatario. La lungimiranza di Trudy di mantenere un pied à terre a New York dove Pete possa giocare al gioco delle donne rappresenta per lei la tacita ma ben calibrata accettazione delle marachelle di suo marito. ‘Gioca pure, basta che poi lasci le scarpe sporche fuori dalla porta.’

Una moglie-mamma protettiva ma severa quando è necessario. Un’ammonitrice pronta a bacchettarlo sulle nocche e a nascondergli il pallone quando si comporta male, una donna che tiene il polso della situazione pur facendo credere a Pete che il gioco lo stia conducendo lui.

Prima Peggy e poi Brenda, le uniche scelte del nostro Mad Men sono riconducibili a queste due sole donne, e sappiamo bene come in nessuno dei due casi l’esito non sia stato affatto positivo. Viziato e capriccioso, Pete prende in mano i suoi giocattoli per poi riporli annoiato a casaccio nella sua cameretta disordinata, finendo immancabilmente per perderli e solo allora desiderarli ancora più ardentemente.

Mad Men

Procacciatore di clienti ma anche di pessime figure, Pete Campbell rappresenta sicuramente la linea comica involontaria di Mad Men.

Mentre gioca a fare il capo, Pete cade per le scale, inciampa nei tappeti, rompe oggetti e salta la cena rimediando con un gelato mangiato direttamente dalla vaschetta. Impacciato e indisponente, Pete fa di tutto per farsi odiare pur rendendosi protagonista di alcune delle scene più divertenti della serie. Come dimenticare ad esempio il duello con Lane Pryce? O quella volta in cui, non si sa come, è andato a finire contro un muro facendosi addirittura sanguinare il naso per l’impatto?

Il piccolo Campbell vuole la gloria, le riverenze e un lungo tappeto rosso ad accoglierlo ogni volta che varca le porte dell’ufficio: neanche troppo lungo però, perché rischierebbe di cascarci sopra.

Ogni discorso, ogni ramanzina perde di credibilità non appena Pete si accinge a proferire parola, che sia per un inconveniente o che sia per il suo vestiario. Pete è un bambino vestito da adulto che non ha la benché minima idea di come si stia al mondo.

Ancora ho impressa indelebilmente nella mia memoria l’immagine di Peter vestito da tennista, in shorts e maglioncino, mentre sfila con sguardo fiero per l’ufficio di Madison Avenue come Richie Rich: un Macaulay Culkin a cui nessuno dà retta. Protagonista di niente, nemmeno della sua vita.

Pete vuole essere considerato un genio ribelle come Don Draper, ma forse ancora non lo sa: per quanto possa sforzarsi non è e non sarà mai come Don. Quel fascino e quello charme sono innati quanto la bravura di Pete nel trattare con i clienti. Certe cose non si imparano e farsi amare nonostante le proprie malefatte non è impresa da tutti.

Mentre siamo intenti a perdonare ogni cosa a Don, con l’altra mano prendiamo nota delle innumerevoli marachelle di Pete facendolo finire dritto negli inferi dei personaggi più detestati di sempre. Non abbastanza affascinante per accedere al purgatorio, e nemmeno altrettanto carismatico per ricevere la grazia, Campbell rimane rilegato al ruolo di petulante e indisponente figurante di Mad Men qualsiasi cosa faccia, anche se è doveroso ammettere che non si impegni molto per dare un’impressione diversa di sé.

Fastidioso e ambizioso come un bambino a cui i genitori non badano troppo, desideroso di attenzioni e ricompense per il lavoro svolto, Pete è tormentato dall’insoddisfazione al punto tale da rendere dura l’esistenza altrui, troppo impegnato a lamentarsi e sbattere i piedi a terra per accorgersi della palpabile antipatia di cui è portatore.

Se a farsi amare son bravi tutti, creare irritazioni cutanee alla sola vista è l’impresa vincente di Pete: non è forse questo il più grande primato di cui dovrebbe fregiarsi?

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