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Mad Men non è solo emozionante, è didattica

Mad Men è una serie tv che oseremmo definire sontuosa, in cui il particolare contesto degli anni ’60 è il miglior personaggio della serie. Ecco quindi che la sontuosità della serie si esplica in vestiti d’epoca mozzafiato, interni autentici ed elegantissimi, elementi glamour che hanno segnato la storia. A braccetto con l’estetica c’è l’aspetto sociale degli anni ’60 che nasconde tutta l’ipocrisia di cui l’essere umano è capace. Prima di una serie tv brillante, infatti, potremmo definire Mad Men un romanzo dell’inadeguatezza, dove sotto allo strato sfavillante si muove tutta l’inadeguatezza di uomini e donne “costretti” dal contesto a vivere di apparenze.

Eppure Mad Men non si limita a dipingere un bel quadro degli anni ’60 da ammirare e magari anche criticare con una scrollata di spalle, ma ne sottolinea il mutamento inevitabile attraverso pennellate quasi casuali (non lo sono) di progressismo. Parlare di “progressismo” sembra una bestemmia all’interno di una serie che fa dei disgustosi stereotipi misogini uno dei suoi fulcri principali, ma la verità è che esso filtra sotto l’eleganza retrò che ci abbaglia, lento ma inesorabile come la Storia. Inutile tentare di contrastarlo: prima o poi trova il suo sfogo, come acqua sotto pressione tenuta ferma da una diga. Non è un caso che il progressismo si manifesti nelle figure femminili che, poche ma varie, rappresentano il vero motore del cambiamento in Mad Men.

Ed è proprio nel punto di congiunzione tra l’inganno della società e l’autenticità dell’individuo che Mad Men diventa didattica e ci insegna qualcosa. Innanzitutto, ci insegna che per quanto un contesto sociale possa sembrare radicato e terribile, esso è sempre destinato a trasformarsi. Non importa quanto lentamente e con quanta resistenza contraria. Prendiamo il personaggio di Betty Draper: più di altre donne della serie, Betty incarna lo spirito puro degli anni ’50 in tutti i suoi aspetti positivi e negativi. Perfetta padrona di casa, moglie e madre devota, sempre elegante, Betty è una donna senza passioni, senza hobby, spenta. Resa incapace addirittura di piangere la morte della madre, somatizza in una forma depressiva tutte le negatività che non sa neanche di avere. E nel momento in cui qualcosa in lei comincia a scalpitare alla ricerca di aria, si sente quasi in colpa e si auto-punisce (e viene punita da Don) come pessima moglie, madre, donna.

Betty è l’esempio più lampante del lento è inesorabile sviluppo della storia, perché il suo cambiamento avviene senza grandi clamori, aggiungendo mattone su mattone fino alla progressiva costruzione di una nuova figura. E quando riesce ad ottenere ciò che vuole – la verità assoluta dal suo ipocrita, bugiardo e infedele marito – è ormai già troppo tardi. Betty è una donna nuova ed è già andata oltre. Concedersi a Henry, un uomo che la ama sinceramente, e affrontare un divorzio in un’epoca in cui le divorziate erano ancora “le disperate”, dimostra quanto la forma mentis di Betty fosse mutata enormemente dalla prima alla terza stagione.

Ci insegna che non è mai troppo tardi per ricercare la felicità, che non è mai tutto oro ciò che luccica in una vita apparentemente perfetta, che c’è un limite massimo a ciò che si può sopportare contro se stessi. Betty “Birdie” Draper spara agli uccelli del vicino e si libera dalla sua gabbia dorata.

Il passaggio da Betty a Megan è un altro efficace punto per sottolineare quanto il progresso di Mad Men passi più attraverso le sue personagge che non il protagonista maschile. Anzi, l’incapacità di Don nel seguire i numerosi cambiamenti che la quasi perfetta Megan gli pone sulla strada, dimostra solo un’altra lezione di vita: è difficile cambiare quando ci si porta dietro dei veri e propri traumi interiorizzati. Così, se Don ricade nei vecchi schemi, Megan vuole affrancarsi dalla sua condizione di donna-e-basta, cercando fortuna come modella. E qui la differenza con la Betty degli inizi è abissale e marca a distanza tra gli anni ’50 e la metà degli anni ’60. Megan è da subito molto più libera, meno disposta a sottostare al modello di madre/moglie che asseconda il volere del marito. Megan ha un temperamento forte, contrasta Don dove Betty somatizzava, fin da subito vuole essere più di una segretaria, mostra la sua femminilità più prorompente, se ne frega di “stare al suo posto”.

Mad Men ci mostra in modo quasi didascalico il risvolto della medaglia, con un ufficio di uomini (compreso Don) infiammati dalla sua performance di compleanno e la riconferma che – prima di essere semplicemente Megan – lei è una donna, una moglie e poi la donna del capo. La situazione si risolve in cavalleria grazie alla lussuria, ma Megan comunque non cede di un passo e non chiede scusa. Megan ci insegna che è possibile comunque ribellarsi e agire di testa propria, seguire il proprio sogno anche a scapito di una relazione che non fa più per noi. I tempi sono passati, un nuovo tipo di società si sta costruendo: un contesto dove è possibile diventare la prima copywriter donna di un ambiente totalmente maschile.

Peggy è sicuramente l’epitome delle spinte progressive di Mad Men e soprattutto del suo lato puramente didattico, una sorta di manuale su come competere in un ambiente quasi completamente maschile – a tratti applicabile anche oggi. Peggy inizia come una delle tante segretarie della Starling Cooper ma attua una scalata sociale quasi perfetta, che alterna momenti in cui il suo essere donna è essenziale a momenti in cui è quasi una zavorra, qualcosa da nascondere sotto strati di whiskey e facciate algide. Durante il suo primo giorno di lavoro Peggy viene additata soprattutto per le sue belle gambe e la gonna lunga, sottolineando quanto le due cose potrebbero aiutarla nel lavoro con Don Draper. Una misoginia terribilmente attuale, alla quale però Peggy risponde rompendo tutte le regole: parla quando non dovrebbe parlare, dice ciò che non dovrebbe dire, si fa vedere in posti dove non dovrebbe andare.

Purtroppo il risvolto della medaglia è quello di sacrificare una parte di quella femminilità che gli uomini di Mad Men tanto esaltano, ma in realtà trovano inferiore a loro. Così Peggy nega la maternità, nega il suo essere donna e si avvicina il più possibile al modello imposto dal suo capo. Peggy inizia a modellare il suo umorismo su quello cameratesco maschile, comincia a bere, a partecipare alle “uscite di lavoro” nei night club. Peggy riesce ad eccellere perché mette la sua brillantezza davanti alle gambe e cerca di fare in modo che questa risalti sulla sua persona. La cosa funziona in parte, perché a un certo punto si rende conto di aver represso una parte di sé importante. In qualche modo Peggy insegna che la propria natura non si può cambiare, anche se si può modellare per renderla flessibile al contesto, cercando di prendere il meglio da esso senza pretese di rivoluzioni totalizzanti, ma cambiando un pezzettino alla volta.

Peggy incarna in sé tutte le mosse migliori e peggiori da fare in un contesto come quello degli anni ’60 e, sebbene ben incastonata nel suo periodo storico, è un modello da cui farsi ispirare anche oggi.

Ultima, ma non per importanza, Joan è l’esempio principe del cambiamento interiore, quello che porta dal volere una cosa al realizzare che quella cosa in realtà non fa veramente per noi. Perfetta in ogni aspetto del lavoro, Joan non “voleva di più” come Peggy ma era pienamente soddisfatta nel suo ruolo. Quello che voleva, era essere felice e trovare un uomo con cui formare una famiglia. Quello che non sapeva – e che farà tutta la differenza del mondo – era che avrebbe voluto un uomo all’altezza di lei. Perché quello che Joan scopre, in contrasto col suo marito dall’apparenza perfetta, è che lei anche è molto di più di quel che lei stessa è disposta a credere. Joan accetta una relazione nata nella violenza solo perché la società esige che lei sia sposata e solo perché il suo bellissimo marito è un dottore. Col tempo capirà che non ne ha bisogno: ha la sua indipendenza economica, suo figlio, un luogo in cui è stimata, la sua casa. E ciò basta per farla sentire realizzata e felice.

Il momento in cui Joan manda via il marito è forse uno dei punti più alti di Mad Men, uno degli snodi (insieme a tanti altri) che ci ha fatto capire che Mad Men è sì emozionante, ma soprattutto didattica, perché senza quasi farci caso ci ha insegnato molto. Sul nostro passato, sul progresso, sul combattere per sé e per la propria realizzazione personale, sul non accettare condizioni che alla lunga ci spengono e deprimono. E sebbene abbiamo preso in esame i personaggi femminili, gli insegnamenti di Mad Men passano anche attraverso le reazioni (purtroppo molto spesso negative) dei personaggi maschili e della loro mancanza di flessibilità ai cambiamenti, che inevitabilmente li fa ricadere sempre negli stessi schemi e negli stessi errori.

E, a ben vedere, è un insegnamento anche questo.

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