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Il concetto di invincibilità in Looking for Alaska

Looking for Alaska o Cercando Alaska è una miniserie composta da otto episodi tratta dall’opera prima di John Green. Lo stesso John Green fautore dell’incredibile successo letterario e cinematografico Colpa Delle Stelle, che ha toccato profondamente una generazione intera con la sfortunata storia d’amore terminale tra Hazel Grace e Augustus Waters.

Looking for Alaska è stata la prima fatica letteraria di questo giovane autore pluripremiato. La piattaforma Hulu e Josh Schwartz – il papà di The O.C. per intenderci – ne hanno tratto una miniserie con protagonista Charlie Plummer e la lanciatissima Kristine Froseth, già vista in The Society e ne La verità sul caso Harry Quebert.

Per chi non avesse letto il libro o visto ancora la serie, avvertiamo che nell’articolo sono presenti degli SPOILER.

Looking for Alaska

La serie, così come il libro, narra l’adolescenza di Miles Halter, ragazzo timido e con notevoli difficoltà a relazionarsi con il mondo che lo circonda, curiosamente affascinato dalle ultime parole delle persone famose che ricorda e ripete come dei mantra esistenziali.

Deciso a dare una svolta alla sua vita e in cerca del “Grande Forse”, che gli indicherà finalmente la via da prendere, si ritroverà lontano dalla famiglia alla Culver Creek Academy. È lì che si imbatterà nella giovane e ribelle Alaska Young, nel Colonnello e negli altri suoi primi veri amici.

A una visione dei primi episodi la serie può sembrare la classica storiella sugli adolescenti e sul loro primo amore.

La realtà non è proprio questa. Sì, Miles si innamora di Alaska al primo sguardo (e come potrebbe non farlo?). Alaska è la personificazione di tutto ciò che c’è di bello nella giovinezza.

Bellezza, freschezza, energia, passione e sconsideratezza. Una ninfa che vive in un mausoleo cartaceo in omaggio ai più talentuosi scrittori della storia, che beve vino scadente e che non tace un secondo. Che guarda il mondo con quello sguardo avido e curioso che solo da giovani si può possedere.

Come dicevamo, però, in Looking for Alaska ci sono sì le amicizie, i primi amori e le prime esperienze sessuali ma non solo.

Quello che di più bello viene raccontato nel libro di Green, e di conseguenza nella serie, è l’impatto che il mondo degli adulti e le sue inaccettabili difficoltà hanno sulla mente di un adolescente che il mondo lo ha appena iniziato a scoprire.

E niente riesce meglio a Green di descrivere come la scoperta della morte e il peso del lutto siano concetti alieni alla mente invincibile di un adolescente.

O come il ruolo degli adulti cambi in base alla prospettiva stereotipata che abbiamo di loro da ragazzini. Buoni, cattivi, simpatici o pesanti. Concetto messo a fuoco con il ruolo dell’Aquila che ci viene presentato come una specie di antagonista da detestare e che invece non è altro che un adulto a cui capita l’ingrato compito di tenere a bada un gruppo di bimbi sperduti che di stare a bada non è hanno nessuna voglia.

La serie prende tutto un altro sapore e un’altra consistenza quando perdiamo Alaska e capiamo davvero qual è il senso della storia che ci viene raccontata.

Non quello di un amore estivo o del coraggio di uscire dal gruppo e farsi contaminare dagli universi paralleli dei nostri coetanei che ci ruotano attorno, ma quello di cosa vuol dire quando il concetto dell’addio, improvviso e inamovibile, si abbatte su una mente che non lo aveva mai neppure concepito.

Il senso di incredulità e di disarmo che si prova quando qualcuno un giorno c’è e il giorno dopo no.

Sentimento reso alla perfezione dal monologo finale di Miles che prova, dopo aver tentato ossessivamente di spiegarsi il perché della morte improvvisa della ragazza, ad accettare la sua perdita e andare avanti.

Ma ecco che cosa mi dà speranza.

Se prendiamo il codice genetico di Alaska e aggiungiamo le sue esperienze e le relazioni che ha intessuto con la gente e poi prendiamo la taglia e la forma del suo corpo non otteniamo lei. C’è qualcosa di completamente diverso. C’è una parte di lei più grande della somma di tutte le sue componenti note. E questa parte dovrà pur andare in qualche luogo, perché l’energia una volta creata non può essere distrutta. Capire che nella vita ogni cosa può sopravvivere perché noi siamo indistruttibili proprio come crediamo di essere. Non possiamo nascere e non possiamo morire, possiamo solo cambiare forma e manifestazione

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