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Killing Eve è la perfetta allegoria dei rapporti tossici

Tratto da una serie di romanzi di Luke Jennings, la serie tv Killing Eve, firmata Sally Woodward Gentle e Phoebe Waller-Bridge, è spiazzante, divertente, cruda e onesta. Ed è la perfetta allegoria dei rapporti tossici.

All’apparenza potrebbe essere descritta come “un crime originale”, ma, procedendo nella visione, è facile rendersi conto che Killing Eve è ben più di questo.

Killing Eve

Eve Polastri (la sempre amatissima Sandra Oh) lavora per il Security Service inglese e si imbatte in una folle e abilissima assassina: Villanelle, uno dei migliori personaggi seriali mai incontrati (interpretata superbamente da Jodie Comer). Nonostante, o forse proprio perchè diametralmente opposte, quantomeno all’apparenza, le due donne finiranno per sviluppare un rapporto morboso, ossessivo e profondo.

Villanelle, Oksana all’anagafe, è una sociopatica del tutto sfornita di empatia che impiega il suo talento per la violenza e l’omicidio per sbarcare il lunario ed esprimere sè stessa e la frustrazione di una vita sbagliata, origintasi in una famiglia evidentemente disfunzionale.

Sensuale, affascinante, tutto quello che fa Villanelle è stiloso e sanguinante al tempo stesso. Brillante e brutale. Folle e comico.

killing eve 2

Eve è una donna intelligente, tutto sommato dimessa, dedita al lavoro e a un marito che sembra amare molto. Ha una vita equilibrata e piuttosto ordinaria, nonostante sia disordinata e ritardataria. Insomma, Eve è quanto c’è di più lontano da Villanelle. Ma, se la nostra protagonista inizialmente sembra trovarsi di fronte alla sua antitesi, ben presto vi si specchia e scopre una sè stessa più vera. Tra le due si crea un rapporto di co-dipendenza totalizzante che ha tutte le caratteristiche delle relazioni tossiche. L’iniziale curiosità reciproca sfuma velocemente in un’ossessione dai tratti profondamente erotici e sentimentali. I punti d’incontro e di scontro tra le due assumono le medesime coordinate: Eve e Villanelle spesso non si capiscono, parlano due lingue diverse eppure capita che lo spettatore colga che tra loro c’è una comunione profonda, un livello di comprensione più viscerale.

Possiamo intendere Killing Eve come un’allegoria dei rapporti tossici anche riflettendo sul genere a cui è ascrivibile la serie.

Si tratta infatti di un thriller che si fonda su una sorta di cospirazione, ma quali sono gli ingredienti tipici che questo genere narrativo ha in comune con le relazioni tossiche? Diversi: il senso di mistero, la violenza, il non detto, l’attrazione e la rabbia, il carnefice e la vittima (qualche volta invertibili). A questi aggiungiamo il totale oscuramento di tutto ciò che è di contorno alla persona oggetto di desiderio, la centralità ossessiva e soffocante, ma apparentemente vitale, che essa prende nell’esistenza dell’altro.

Anche i ruoli delle due donne ci aiutano nell’intepretazione di questa allegoria.

Infatti, se inizialmente Eve e Villanelle si collocano ai due poli opposti della scala di valori comune, assumendo una connotazione quasi manichea (Eve è quella pulita, buona, dalla parte della giustizia; Villanelle è la pazza squinternata, omicida impenitente, totalmente priva di un qualsiasi senso morale), con il procedere delle stagioni queste loro caratteristiche si sfumano lasciando sempre più emergere il lato oscuro di Eve e quello umano di Villanelle.

Personalità narcisistica una, affetta da sindrome da crocerossina l’altra, le due si consumano e si scoprono, si cambiano a vicenda. Si avvicinano e si allontanano e piano piano si trasformano sempre più nell’altra e forse in sè stesse, perchè se esiste davvero una possibilità di definizione è nel confronto con l’alterità.

Ed ecco che le coordinate narrative iniziali perdono di defizione: alcuni amori, si sa, ti fanno perdere la bussola, scompigliano i punti cardinali, le certezze.

Il loro è un rapporto intenso e profondo, il cui scopo, anche se talvolta ce ne dimentichiamo, è solo uno, quello dichiarato, palese, che dà il titolo alla storia: uccidere Eve. E non funzionano così le relazioni tossiche? Che da vita tua, vita mea si trasformano spesso in mors tua, vita mea? Non è nella sopraffazione dell’altro che risiede parte consistente di questa tossicità?

Una delle peculiarità di Killing Eve è che l’ambientazione delle scene viene riportata con una scritta, ogni volta che cambia. Se siamo a Barcellona, quindi, comparirà sullo schermo la scritta: BARCELLONA. Allo stesso modo sarà per Londra e le altre ambientazioni. Eppure, quando ci troviamo in quel punto della storia in cui la distanza emotiva e reale tra Eve e Villanelle è ridotta al minimo, l’identificazione dei luoghi è meno definita. Sostituisce la toponomastica specifica una assai più vaga, talvolta addirittura per negazione “NON A CUBA” o “NEI DINTORNI” (episodio 3×07). Perchè? Perchè, come abbiamo già detto, si perdono le coordinate e l’unica cosa che si sa è che Villanelle non è fuggita, non ha cambiato vita, è ancora in quella parte di mondo (reale e interiore) che la tiene così legata a Eve.

Killing Eve è uno show unico nel suo genere, originale e leggero, ma non privo di possibili punti di riflessione. È al contempo un thriller appassionante e la storia di un rapporto complesso, oscuro e profondo, sicuramente disfunzionale e tossico, ma capace come pochi di farci emozionare. Eve e Villanelle sono due donne che si guardano così in profondità da scoprirsi più simili di quello che credevano. Nel corso della serie crescono nel confronto con l’altra e si scoprono diverse dall’immagine così socialmente definita che si sono sempre attribuite. La loro storia comincia con una killer spietata, sessualmente e moralmente disinibita e una funzionaria dell’MI-5, moglie fedele e dolce e finisce con due donne dalle mille sfumature, che hanno forse capito chi sono in quel rocambolesco tentativo di uccidersi e amarsi. E noi non vediamo l’ora di vedere come andrà a finire.

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